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Lo studio personale del Tecnarca McKenzie, con le pareti di pietra scura e il lucido pavimento di marmo, aveva una semplicità aspra, quasi monastica. La stanza senza finestre era stata disegnata con lo scopo di impressionare sia l’occupante, che i visitatori, sottolineando l’austera importanza della reponsabilità di un Tecnarca. L’effetto pensò Martin Bernard, è stato raggiunto in pieno. Nel seguire McKenzie in quel locale, il sociologo aveva provato infatti un senso di riverenza, quasi di sacro timore.

Solo poche parole erano state scambiate dopo l’atterraggio della VUL-XV, avvenuto un’ora prima nel cuore dell’Australia Centrale. I viaggiatori si erano fatti avanti, e forse il Tecnarca aveva capito dai loro volti tesi e cupi che le notizie di cui erano portatori andavano date con una certa prudenza. In ogni modo, non aveva fatto domande, e si era limitato a rivolgere loro un breve cenno di saluto mentre essi mettevano piede a terra. Poi Bernard gli si era avvicinato.

«Agli ordini, Eccellenza.»

«Salve, Bernard. Quali notizie?»

«Potrei fare il mio rapporto in privato?»

Il colloquio era stato accordato. Uno alla volta, entrando nel campo transmat, i parlamentari avevano attraversato la distanza dal campo spaziale alla Sede dell’Arconato. Ora Dominici, Stone e Havig aspettavano nell’anticamera del Tecnarca, mentre Bernard, da solo, si accingeva ad affrontare McKenzie.

Il Tecnarca prese posto dietro la scrivania ampia e sgombra, e fece cenno a Bernard di accomodarsi di fronte a lui. Contentissimo di non dovere restare in piedi, perché le gambe gli tremavano, Bernard sedette. Si era preparato bene quel che doveva dire, ma era ugualmente preda di una viva tensione.

Fissò bene in faccia il Tecnarca. Quegli occhi scuri e pensosi, quel naso grande, quelle labbra carnose e serrate, la mascella sporgente, il collo dalle vene ingrossate. McKenzie sembrava forte come un toro. Bernard si chiese di quanta di quella forza il Tecnarca avesse bisogno per sopportare il colpo che stava per ricevere.

«Volevate fare rapporto a me, dottor Bernard. Benissimo. Sono estremamente interessato al vostro viaggio. Vorrei i particolari, insomma.» La voce del Tecnarca era piana, ben modulata, e scandiva con precisione ogni sillaba.

«Comincerò dall’inizio, allora, Eccellenza» disse Bernard.

«Ottima idea.»

Smettila di tergiversare! ordinò a se stesso Bernard. Lo sguardo del Tecnarca rifletteva l’impazienza, forse una certa ironia. Con voce calma, Bernard cominciò: «Non abbiamo incontrato difficoltà tecniche nel raggiungere il pianeta della colonia aliena. Atterrati, osservammo per un poco quegli esseri sconosciuti, e finalmente ci presentammo tutti insieme. Il dottor Havig svolse un ottimo lavoro per insegnare ad alcuni di quegli esseri a parlare il terrestre. Tra parentesi, rispondono al nome di Norglani. Facemmo loro comprendere che eravamo andati là per negoziare un trattato, dopo di che i Norglani da noi avvicinati ci lasciarono e ritornarono, qualche tempo dopo, con due superiori… fisicamente più grandi ed evidentemente molto più intelligenti, dato che erano stati in grado di assorbire una settimana di lezioni di terrestre nel giro di poche ore. Quando s’incontrarono con noi, parlavano già benino, e miglioravano di minuto in minuto.»

«Cosa dissero?» volle sapere McKenzie.

Bernard si protese in avanti. «Spiegammo loro con assoluta chiarezza che i confini delle nostre rispettive sfere di espansione avrebbero finito inevitabilmente per sovrapporsi creando così le premesse per un conflitto. Dichiarammo loro che era desiderio della Terra arrivare subito a un compromesso pacifico, invece di lasciare che le cose procedessero autonomamente fino all’irreparabile.»

«Sì? E come reagirono?»

«Malissimo. Ascoltarono quello che avevamo da dire, e infine ci presentarono una contro-proposta: che la Terra si limitasse ai mondi già colonizzati, lasciando tutto il resto ai Norglani.»

«Cosa?» Gli occhi del Tecnarca scintillarono di collera. «S’è mai sentita una sciocchezza come questa?! Vorreste dire che vi proposero senza cerimonie di accettare che l’espansione terrestre avesse fine immediatamente? Che noi abdicassimo a tutti i poteri galattici?»

Bernard assentì. «Si espressero precisamente in questi termini. La galassia era loro. Ci consentivano di tenerci i mondi già colonizzati, ma nient’altro.»

«E voi, naturalmente, respingeste una proposta così infame.»

«Non ne avemmo nemmeno il tempo, Eccellenza.»

«Come?»

«I due ambasciatori Norglani lanciarono il loro ultimatum e sparirono… se ne tornarono al loro pianeta d’origine. Evidentemente posseggono l’equivalente dei nostri viaggi transmat per spostarsi tra i loro mondi. Protestammo con il sovrintendente della colonia, ma ci rispose che non poteva fare niente; gli ambasciatori se n’erano andati e non sarebbero tornati indietro. E così, i colloqui vennero sospesi. Noi partimmo immediatamente per la Terra.»

McKenzie ascoltava incredulo, ribollente di sdegno. Macchie di colore gli chiazzavano le guance, le narici gli si dilatavano per la collera repressa. «Vi rendete conto di ciò che significa quest’ultimatum? Siamo praticamente in guerra con queste creature, nonostante tutti i…»

Bernard alzò una mano, sforzandosi di mantenerla ferma. «Chiedo scusa, Eccellenza. Non ho finito di esporvi gli avvenimenti del viaggio.»

«C’è dell’altro?»

«C’è molto di più. Vedete, nel viaggio di ritorno ci siamo smarnti. Il Comandante Laurance e i suoi uomini tentarono di ritrovare la rotta. Invano. Emergemmo dall’iperspazio, alla fine, nella regione della Nuvola Magellanica Maggiore.» Bernard sentiva un nodo alla bocca dello stomaco. Le parole gli uscivano dalle labbra faticosamente, sebbene, ne era certo, ognuna di esse sollevasse un inferno nella mente del Tecnarca. «Eravamo fuori strada, a cinquantamila parsec dalla Terra, e non c’era modo di fare ritorno. All’improvviso la nostra astronave venne afferrata da una forza irresistibile. Fummo trascinati su un pianeta della Nube Magellanica, abitato da esseri che si presentarono a noi come Rosgollani. Strani esseri, dotati di incredibili poteri mentali. I Rosgollani lessero nelle nostre menti. Ci interrogarono. Scoprirono della nostra missione presso i Norglani. E poi… poi portarono i due ambasciatori Norglani, attraverso lo spazio, fin sul loro pianeta, su Rosgolla, per costringerli a incontrarsi con noi.»

L’espressione del Tecnarca cambiava di continuo man mano che Bernard proseguiva nella sua relazione. Ora McKenzie pareva fissare un punto nel vuoto, sempre più pallido, con occhi vitrei e riflessivi.

«Continuate» ordinò il Tecnarca, con voce mortalmente calma.

«I Rosgollani inscenarono una specie di processo. Esaminarono le nostre pretese e le bocciarono. I Norglani si indignarono, e allora i Rosgollani li umiliarono… con la levitazione, facendoli restare sospesi a mezz’aria, e poi lasciandoli ricadere come due sacchi di stracci. Era una dimostrazione di potenza inimmaginabile. Dopo di che, non ci fu più niente da fare. Quando i Rosgollani ci ebbero dimostrato come fosse impossibile opporsi ai loro ordini, pensarono loro stessi a come dividere la nostra galassia in due sfere: la terrestre e la norglana.»

«L’hanno divisa?»

«Sì. Ecco… ho la mappa. È una linea che passa proprio attraverso il cuore della nostra galassia. Da questa parte, è tutto nostro, da quest’altra è tutto dei Norglani. E se uno dei popoli attraverserà il confine, o se tenterà di uscire dalla galassia, le pattuglie Rosgollane se ne accorgeranno subito e provvederanno alla punizione. Che sarà fatale e definitiva.»

Il Tecnarca prese la carta stellare che Bernard gli porgeva, la fissò per un istante, la buttò bruscamente da un canto. Sospirò.