«M’è sembrato un’eternità, comunque.»
«Gli uomini spaziali dell’ultimo Medioevo erano contenti quando potevano raggiungere Marte in un anno» disse Clive. «E voi vi lamentate? Dovreste provare un po’ cosa significa spostarsi da una stella all’altra a propulsione normale. Che ne direste di passare cinque anni in una navicella come questa solo per andare a impiantare un transmat su Betelgeus’e XXIX? Allora sì che imparereste ad essere pazienti, signori miei.»
«Quanto tempo resteremo nell’iperspazio?» chiese Stone.
«Diciassette ore. Poi occorrerà qualche altra ora per decelerare. Diciamo un giorno intero, tutto considerato, da qui all’atterraggio.» Il piccolo astronauta mostrò i denti in un sorriso scherzoso. «Pensate un po’! Un giorno e mezzo per coprire una distanza di diecimila anni-luce, e voi vi lamentate!» Ruppe in una risata omerica, battendosi una coscia. Bernard e gli altri tre osservavano quella manifestazione d’ilarità senza fare commenti.
Poi Clive riprese serio. «Ricordate… quando sentirete il gong, imzierà la manovra di conversione.»
«Dovremo legarci?»
Clive scosse la testa. «Non ci sarà cambio di velocità, non sentirete alcuno sbalzo.» Sorrise. «Chissà, forse non sentirete proprio niente del tutto. Siamo ancora alle prime armi con questa storia della velocità ultra-luce… Speriamo in bene.»
Non ci fu risposta. Clive si strinse nelle spalle e uscì, lasciando che la portina a molla della paratia si richiudesse da sola.
Bernard rise. «Ha ragione lui, naturalmente. Siamo idioti a mostrarci così impazienti. Il fatto è che siamo abituati a trovarci in un luogo nell’istante medesimo in cui formuliamo il pensiero di andarci. Per loro, questo viaggio dev’essere ridicolmente breve.»
«Non m’importa un corno di come sembra a loro» brontolò Dominici. «Io so che, per me, dovermene restare seduto in una cabina per tante ore è una penitenza spaventosa. E anche per voi, penso.»
«Forse ora potrete constatare com’è utile imparare a rassegnarsi a un’esistenza scomoda» sentenziò Havig in tono solenne. «L’impazienza non è degna dell’uomo saggio. Essa conduce all’ira, l’ira conduce all’impulsività, e l’impulsività al peccato. Se invece…»
Dominici si girò di scatto per affrontare il Neopuritano, mentre le vene del collo gli si gonfiavano. Il biofisico sembrava fuori di sé. «Non state a seccarmi con le vostre teorie balorde, Havig! Ho i nervi a fior di pelle, non ne posso più di sentirmi rinchiuso in questa scatola, e le vostre chiacchiere non contribuiscono certo a farmi stare meglio! Eppoi…»
«Le chiacchiere no, d’accordo» rispose Havig conciliante. «Però, le verità che sono alla base delle mie chiacchiere sono importanti. Per esempio, la verità di vedere noi stessi in relazione all’Eternità, di rendersi conto che un ritardo momentaneo non ha alcuna importanza, di meditare sul posto che ciascuno di noi occupa nell’immensità dell’Universo. Questo aiuterebbe chiunque a superare la tentazione di abbandonarsi all’impazienza.»
«Volete tenere la bocca chiusa, sì o no?» urlò Dominici.
«Calma, calma, signori miei!» intervenne Stone. Il roseo diplomatico pareva destinato a fare continuamente da paciere in quella turbolenta spedizione. «Calmatevi, Dominici. Diamine! Non rendete certo la vita facile agli altri se continuate a perdere il controllo. Pigliatevela con calma, perbacco!»
«È stato provocato» lo difese Bernard, lanciando una occhiata ad Havig. «Mister Malinconia, laggiù in quell’angolo, si è messo a distribuire consigli non richiesti. Questo darebbe sui nervi a chiunque, è logico. Mi sorprende che non si sia portato anche degli opuscoli di propaganda da distribuire.»
Un insolito lampo di luce divertita apparve nello sguardo del Neopuritano. «Le mie scuse, signori. Stavo cercando di dissipare la tensione generale che vi opprime, non di aumentarla. Forse ho fatto male a parlare. M’era sembrato mio dovere, ecco tutto.»
«Non siamo disposti a convertirci» replicò brusco Bernard.
«Noi insegniamo, ma non pretendiamo di fare proseliti» replicò Havig seccato. «Io volevo solo essere di aiuto.»
«Nessuno ve l’ha chiesto.»
Stone sospirò. «Che bel gruppo di parlamentari formiamo! Se andiamo avanti così, altro che trattative di pace. Ci scanneremo tra noi…»
Il gong risuonò all’improvviso, echeggiando per la cabina pauroso e solenne. Un rintocco profondo e sonoro, ripetuto tre volte, che si spense infine con lugubre lentezza.
La baruffa si placò come se una coltre fosse scesa a sedare i litiganti.
«Stiamo operando la conversione di velocità» mormorò, rauco, Dominici. Girò la testa verso la parete, e Bernard si accorse sorpreso, seguendo i movimenti descritti dal gomito destro del biofisico, che quell’uomo apparentemente scettico si stava facendo il segno della croce.
Bernard si sentì a disagio. Sebbene non fosse un individuo religioso, avrebbe voluto essere capace di raccomandarsi a una qualsiasi deità protettrice, non fosse altro che per trarne conforto. Invece, doveva solo sperare nella sua buona stella. Si sentiva spaventosamente solo, circondato dalla buia notte dell’Universo che si stendeva a pochi passi da lui, oltre lo scafo dell’astronave. E, ben presto, perfino l’Universo conosciuto sarebbe stato abbandonato.
Angosciato, Bernard osservò i compagni di viaggio. Havig moveva le labbra in una silenziosa preghiera, con gli occhi aperti ma persi nella contemplazione dell’eternità che adesso era così vicina. Il brontolio rauco di Dominici risonava piano nella cabina, intonando parole latine che Bernard ricordava solo per averle apprese a scuola. Stone, evidentemente incapace di credere, come Bernard, aveva perso un po’ della sua cera rosea, e sedeva rigido fissando la parete di fronte e sforzandosi di apparire disinvolto.
Tutti aspettavano.
Se le ore dopo la partenza da Terra erano sembrate lunghe, i minuti che seguirono i rintocchi del gong parvero eterni. Nessuno parlava. Bernard sedeva immobile, assaporando il gusto metallico della paura e chiedendosi cosa mai lo terrorizzasse a un punto tale da inaridirgli la gola.
Non sapeva proprio quali effetti aspettarsi mentre veniva eseguita la conversione. I minuti passavano, poi sentì una vibrazione cupa, un rumore sordo e monotono: i poderosi generatori Daviot-Leeson stavano accumulando potenziale. Bernard sapeva in proposito ciò che ogni profano intelligente poteva sapere. Da un istante all’altro, una carica spaventosa di energia sarebbe esplosa dai generatori con violenza cosmica, lacerando il continuum spazio-temporale e creando così una fessura attraverso la quale la VUL-XV sarebbe scivolata nell’iperspazio.
Cos’era l’iperspazio? E a quale tipo di Universo portava?
La mente di Bernard non riusciva a raffigurarselo. Bernard sapeva soltanto che sarebbero penetrati in una specie di Universo attiguo in cui le distanze erano solo numeri irrazionali, in cui gli oggetti potevano occupare simultaneamente lo stesso spazio. Un Universo la cui mappa era stata tracciata, ma fino a che punto, e con quale precisione? Un Universo tutto da scoprire, si disse Bernard. Un Universo che ha dietro solo cinque anni di ricerche sperimentali, e che adesso è navigato da uomini intrepidi che lo affrontano pur avendo solo una concezione vaghissima di dove si trova e di dove sono diretti.
Il ronzìo dei generatori si fece più acuto.
«Quando accadrà?» chiese Stone.
Bernard si strinse nelle spalle. Nel silenzio generale, si accorse di rispondere: «Immagino che ci vorranno un paio di minuti perché i generatori accumulino la carica necessaria. Poi squarceremo…»
Il passaggio si verificò.
Il primo segnale fu dato dall’oscillare delle luci, che per un attimo divennero fioche mentre l’immenso tumulto di forza prosciugava le dinamo. L’altro effetto, che seguì immediatamente, fu di ordine psicologico: Bernard si sentì stranamente fluttuante, strappato via da tutto quello che sapeva e in cui credeva, proiettato in un’oscurità così assoluta da trascendere ogni umana comprensione.