Minnim disapprovava. «Agente, lei è passato per una dura prova. Ha bisogno di riposo, e ne avrà. Un mese di vacanza, a paga piena, e una promozione subito dopo.»
«La ringrazio, ma questo non è tutto ciò che voglio, voglio che mi ascolti. In un vicolo cieco c'è solo una direzione per uscirne, ed è verso l'alto, verso lo spazio. Lassù ci sono milioni di mondi, e gli spaziali ne possiedono solo cinquanta. Loro sono pochi e hanno una lunga vita. Noi siamo molti e abbiamo una vita breve. Siamo più adatti per l'esplorazione e la colonizzazione. Abbiamo la pressione demografica che ci sollecita e un rapido ricambio generazionale ci mantiene giovani e avventati. Dopo tutto sono stati i nostri antenati a colonizzare i Mondi Esterni.»
«Sì, capisco… Ma temo che il nostro tempo sia scaduto.»
Baley percepiva l'ansietà dell'altro di sbarazzarsi di lui e rimase stolidamente al suo posto. Proseguì: «Quando la prima colonizzazione realizzò mondi con tecnologia superiore alla nostra, siamo scappati dentro degli uteri che abbiamo costruito sotto terra. Gli spaziali ci hanno fatto sentire inferiori, e noi ci siamo andati a nascondere. Questa non è una risposta. Per evitare il ritmo distruttivo di ribellione e repressione, dobbiamo competere con loro, seguirli, se dobbiamo, guidarli, se possiamo. Per far questo dobbiamo affrontare l'aperto: dobbiamo insegnare a noi stessi ad affrontare l'aperto. Se è troppo tardi per insegnare a noi stessi, allora dobbiamo insegnarlo ai nostri figli. È vitale!».
«Agente, lei ha bisogno di riposo.»
«Mi ascolti, signore!» esclamò Baley con violenza. «Se gli spaziali sono forti e noi rimaniamo come siamo, la Terra sarà distrutta entro un secolo. Questo è già stato calcolato, me l'ha detto lei. Se gli spaziali sono davvero deboli e stanno diventando sempre più deboli, allora possiamo scamparla, ma chi ha detto che gli spaziali sono deboli? Lo sono i solariani, sì, ma è tutto ciò che sappiamo.»
«Ma…»
«Non ho finito. C'è una cosa che possiamo cambiare, che gli spaziali siano deboli o forti: possiamo cambiare quello che siamo. Affrontiamo lo spazio aperto e non avremo bisogno di ribellarci. Possiamo disseminarci in altri mondi e diventare spaziali anche noi. Se restiamo ammassati sulla Terra, allora non si potrà evitare un'inutile e fatale ribellione. E sarà peggio se la gente avrà costruito delle false speranze su una supposta debolezza degli spaziali. Lo chieda, lo chieda ai sociologi. Riferisca le mie argomentazioni. E se fossero ancora in dubbio, che trovino un modo di mandarmi su Aurora. Lasciatemi fare un rapporto sugli spaziali veri, poi deciderete che cosa fare.»
Minnim annuì. «Sì, sì. Ora buon giorno, agente Baley.»
Baley uscì con una sensazione esaltante. Non si era aspettato un'aperta vittoria contro Minnim. Vittorie su modi di pensare radicati non si ottengono in un giorno o in un anno. Ma aveva visto dell'incertezza pensosa attraversare il volto di Minnim, offuscando, almeno per un po', l'iniziale gioia acritica.
Sentiva di poter vedere nel futuro. Minnim avrebbe chiesto ai sociologi, e uno o due di loro sarebbero stati incerti. Si sarebbero posti domande. Avrebbero consultato Baley.
Diamogli un anno, pensò Baley, un anno, e sarò partito per Aurora. Una generazione, e saremo di nuovo fuori nello spazio.
Baley camminava sulla Linea celere diretta a nord. Presto avrebbe rivisto Jessie. Avrebbe capito? E poi c'era suo figlio, Bentley, di sette anni. Quando Ben ne avrebbe avuti diciassette, sarebbe stato su un mondo vuoto a costruirsi una vita da spaziale?
Era un pensiero spaventoso. Baley temeva ancora l'aperto. Ma non temeva più la paura! Non era qualcosa da cui fuggire, la paura, ma qualcosa da combattere.
Baley sentiva come se una ventata di follia lo pervadesse. Fin dall'inizio aveva avuto una sconvolgente attrazione per l'aperto: fin da quando aveva indotto Daneel con l'inganno ad aprire il tetto del veicolo per poter stare all'aria aperta.
Allora non aveva capito. Daneel pensava che la sua fosse una perversione. Anche Baley pensava di affrontare l'aperto per una necessità professionale, per risolvere un delitto. Soltanto quell'ultima sera su Solaria, con quelle tende strappate dalla finestra, si era reso conto del suo bisogno di affrontare l'aperto in quanto tale: per l'attrazione che esercitava e per la promessa di libertà che conteneva.
Sulla Terra c'erano milioni di individui pronti ad avvertire lo stesso impulso, se l'aperto fosse stato portato alla loro attenzione, se avessero potuto fare il primo passo.
Si guardò intorno.
La Linea celere andava veloce. Intorno a lui c'era luce artificiale ed enormi strati di appartamenti che scorrevano all'indietro e insegne luminose e vetrine di negozi e rumore e folla e altro rumore e gente e gente e gente…
Tutto quello che aveva amato, tutto quello che aveva temuto di abbandonare, tutto quello a cui aveva tanto pensato su Solaria.
E ora gli era tutto estraneo.
Non riusciva più ad adattarcisi.
Se n'era andato a risolvere un delitto e gli era successo qualcosa.
Aveva detto a Minnim che le Città erano uteri, e lo erano. E qual era la prima cosa che un uomo deve fare per essere un uomo? Deve nascere. Deve lasciare l'utero. E una volta uscitone, non ci può più rientrare.
Baley aveva lasciato la Città e non poteva più rientrarci. La Città non era più sua: gli Abissi d'acciaio erano alieni. Doveva essere così. E sarebbe stato così anche per gli altri e la Terra sarebbe rinata e avrebbe raggiunto lo spazio.
Il cuore gli batteva pazzamente e il rumore della vita intorno a lui si attuti in un mormorio inaudibile.
Ricordò il sogno che aveva fatto su Solaria e finalmente lo capì. Alzò il capo e poté vedere attraverso tutto l'acciaio, il cemento e l'umanità sopra di lui. Poteva vedere il faro posto nello spazio per attirare all'esterno gli uomini. Poteva vederlo brillare. Il sole nudo!