«Io non voglio innalzarmi fino agli dèi. Ci vado per un altro motivo» disse il mago, poi tornò a guardare l’acqua nera che avvolgeva la carena della barca.
No, lui non andava alle Arshet per erigersi al di sopra degli dèi, ma sapeva di essere comunque un profanatore, perché le sue mani erano impure e non potevano toccare le pietre. Scosse la testa e decise di non pensarci.
La barca scivolava lenta, mentre la luna splendeva minacciosa in cielo. Sennar vi lesse una specie di monito e sentì un brivido freddo percorrergli la schiena. L’amuleto nella sua tasca emanava un calore sempre più forte. Le foglie avevano iniziato di nuovo a corrodersi e Sennar dovette inspirare profondamente per combattere il senso di oppressione al petto.
Nihal non diede riposo a Oarf; lo costrinse a volare per tutto il giorno, e poi ancora per la notte seguente, senza sosta. I muscoli del drago tremavano per lo sforzo.
«Coraggio, coraggio!» lo supplicava Nihal.
All’alba del giorno successivo si fermarono, ma Nihal non toccò cibo. Durante la notte, quando nonostante i suoi sforzi si era addormentata per qualche istante, aveva intravisto in sogno il volto di Sennar. Era fra quelli degli altri morti. Un viso spento, pallido, con lo stesso sguardo vacuo che aveva avuto Fen. Si era svegliata di soprassalto.
Laio, che mangiava accanto al drago ansimante, cercò di tirarla su. «Non temere, ce la faremo. Il vecchio non ti avrebbe mai parlato in quel modo se non fosse stato sicuro che potevi salvare Sennar. Andrà tutto per il meglio, stai tranquilla.»
Quelle parole, però, non le diedero alcun conforto. C’era una sola persona che potesse rassicurarla, ed era in pericolo di vita.
Si rimisero in viaggio e sorvolarono il Piccolo Mare e il deserto centrale. Quando giunse il tramonto, Nihal e Laio videro il sole immergersi nel mare. Erano in prossimità del golfo di Lamar.
Dopo un’ora di navigazione silenziosa, Sennar poté finalmente scorgere da lontano la sagoma delle Arshet. Erano davvero due enormi ombre nell’oscurità della notte. Erano altissime e anche da quella distanza si distinguevano con chiarezza gli spuntoni aguzzi che ne costellavano le pareti. Il loro profilo risplendeva di strani bagliori argentei, come se le rocce riflettessero la luna. Sennar sentì crescere la paura.
«Sei ancora in tempo a cambiare idea» disse l’uomo.
Sennar restò in silenzio, a contemplare quelle figure che si ingigantivano. «No» esclamò infine. «Quel che devo fare è troppo importante.»
L’uomo scosse la testa. «Io ti lascio a qualche braccio, per il resto te la vedi tu. Quelle non sono semplici rocce, sono idoli sacri agli dèi, nessun piede profano può toccarle. Io non voglio averci nulla a che fare.»
Giunsero in un paio d’ore e, come stabilito, l’uomo si fermò a una certa distanza dalla roccia. Ora che erano più lontani dalla costa, il mare era più agitato e le onde si infrangevano sulla base delle Arshet per poi innalzarsi in muri di spuma. Il vento ululava. Era tutto come aveva detto Nihal.
«Siamo a destinazione. Scendi e fila» ordinò il pescatore.
Sennar si alzò, ma sentì le gambe cedere e la testa girare. Dovette appoggiarsi al fianco dell’imbarcazione per non cadere.
«Tutto bene?» chiese l’uomo.
Sennar annuì. Nella tasca sentiva il peso dell’amuleto e il suo calore. Si fece forza e guardò l’acqua.
Doveva essere gelida. «Grazie del passaggio» disse, ma l’altro non rispose. Gli fece soltanto cenno di andarsene e voltò le spalle al mago e a quelle rocce tenebrose.
Sennar recitò la formula e una tenue passerella luminosa si disegnò sull’acqua. Per fortuna soltanto poche braccia lo separavano dal muro di roccia e le percorse rapido. Vide l’uomo remare a tutta forza per allontanarsi, quindi si ritrovò solo dinanzi ai due colossi. Già il loro aspetto sembrava rifiutare la sua presenza.
Sennar vi girò intorno, ma non riuscì a scorgere un’entrata. Erano due scogli, due blocchi di pietra. Che il santuario fosse sulla vetta?
D’un tratto la passerella cedette, senza preavviso, e Sennar cadde nell’acqua gelida. Evidentemente il potere dell’amuleto era cresciuto, la seconda pietra doveva essere lì.
Il mago pensò che fosse meglio risparmiare le forze per lo scontro con il guardiano e non fece altri incantesimi. Nuotò fino alla base di una delle due Arshet e per poco un’onda non lo sbatté contro la roccia. Si aggrappò con entrambe le braccia alla pietra e riprese fiato.
Quando alzò lo sguardo, notò una fenditura, a tre braccia di altezza. L’ingresso del santuario. Sopra c’era una scritta, che però Sennar non riuscì a leggere.
Iniziò ad arrampicarsi sulla roccia viscida e tagliente. Gli ci vollero parecchi minuti, ma alla fine giunse alla meta. Si issò con un ultimo sforzo e fu davanti all’ingresso. Minacciosa, sull’architrave, troneggiava una scritta: "Sarephen".
Sennar fece mente locale. Sareph, "mare", aveva detto Nihal. Era arrivato. Esitò un istante davanti all’ingresso, mentre cercava di riprendere fiato. Guardò sotto di sé e rabbrividì.
Tra il nero delle rocce appuntite baluginava qualcosa di bianco. Ossa. Ossa di naufraghi, forse, o ossa di chi, prima di lui, aveva tentato la sua stessa impresa blasfema. Per scacciare la paura, Sennar entrò senza indugiare e il buio lo avvolse.
La notte era scura e gelida. Oarf era sfinito. Fu allora che dall’oscurità emerse la sagoma delle Arshet. Immense, sinistre, più nere della notte. Ricordavano in modo inquietante la Rocca.
«Eccoci!» urlò Nihal. «Siamo arrivati!»
Resisti, Sennar, ti prego, resisti!
Spesso, in passato, Sennar si era soffermato a guardare la Rocca e a immaginarne l’interno. Ora che era dentro il santuario, scoprì meravigliato che coincideva con le sue fantasie sulla dimora del Tiranno.
C’era un foro, sulla sommità, tanto in alto da sembrare minuscolo, benché dovesse essere enorme; illuminava l’interno e lasciava intravedere uno spicchio di cielo e la luna. La base era larga e tondeggiante, e al centro si innalzava un pinnacolo di roccia, che si elevava fino a sfiorare il foro. Lungo il pinnacolo si avvolgeva una scala, dai gradini piccoli e malsicuri, scavata nella roccia. Sulle ripide pareti si aprivano strette feritoie, attraverso le quali di tanto in tanto il mare penetrava con spruzzi di candida schiuma.
Sennar rimase per un po’ in contemplazione, senza avere il coraggio di avanzare. Quando si incamminò verso il pinnacolo, il rumore dei suoi passi produsse un’eco spettrale.
Sennar appoggiò il piede sul primo scalino, viscido e stretto, e iniziò a salire. Sembrava non ci fosse nessun guardiano. Si sentivano solo l’urlo del mare, che sbatteva contro gli scogli, e il sibilo straziante del vento. E i passi incerti del mago sulla roccia, il suo respiro sempre più affannoso.
Sennar aveva paura, ma non era quello a rendere malsicuri i suoi passi. Era l’amuleto che scalpitava nella tasca, che cercava di ricongiungersi alla seconda pietra. Più di una volta scivolò e fu sul punto di cadere, ma continuò quella salita che sembrava non avere fine. Quando guardava in basso, il punto da cui era partito pareva a miglia di distanza; quando guardava in alto, la vetta era altrettanto lontana.
La cosa peggiore era che il luogo sembrava deserto, ma non poteva esserlo, Sennar ne era sicuro. Nell’ombra doveva esserci un guardiano, che attendeva che lui fosse sfinito per colpirlo. Il mago sentiva una presenza, la avvertiva, ma non vedeva nulla.
Nihal fece fare a Oarf un giro attorno alle Arshet. Nessuno. Solo il baluginio bianco di ossa e teschi sul nero della roccia e l’urlo del mare agitato.