Cercarono un luogo dove Oarf potesse fermarsi, ma non lo trovarono. A quel punto, Nihal prese una decisione. «Laio, torna a riva con Oarf.»
Lo scudiero la guardò, stupito. «Ma...»
«Niente ma, qui non c’è un posto dove Oarf possa appoggiarsi. Andate a riva e aspettatemi là.»
Nihal non aggiunse altro e sguainò la spada. Fece planare Oarf e con un balzo atterrò davanti a una fenditura che doveva essere l’ingresso. Col cuore in gola, entrò nell’oscurità.
A un tratto Sennar si fermò. «So che ci sei!» urlò. «Vieni fuori!»
Gli rispose solo l’eco, che si rifletté sulle pareti della sala tessendo un coro di voci confuse. Poi, silenzio.
«Vengo per il potere! Per la pietra!» insistette Sennar, ma l’eco coprì le sue parole. In quella confusione di suoni, lui perse la testa. «Dannazione, vieni fuori! Non sono qui per combattere, sono qui per la pietra!»
Le voci continuarono a sovrapporsi e a riecheggiare intorno a lui.
«Esci!» urlò il mago fuori di sé.
Non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di quel che stava accadendo: un enorme tentacolo lo afferrò per il collo, lo sollevò fino alla luna, fino all’aria gelida, e poi lo gettò di nuovo giù nell’abisso. Sennar avrebbe voluto urlare, era terrorizzato, ma non riuscì a emettere un suono perché la stretta lo soffocava. Fu sbattuto di nuovo sulla scalinata e perse i sensi.
Quando rinvenne, uno strano mostro, con dieci teste e infiniti tentacoli ritorti, si avvolgeva lungo il pinnacolo.
Da dove diavolo è uscito?
Una delle facce si fece incontro a lui e ghignò, mostrando una chiostra di denti lucenti e affilati. Di nuovo, un tentacolo lo afferrò e lo sollevò, questa volta per un piede. Il mago urlò con quanto fiato aveva in gola e sentì l’amuleto scivolare fuori dalla tasca e sprofondare nell’oscurità.
Il mostro continuò a issarlo e Sennar capì che voleva schiantarlo contro il pinnacolo. Provò a recitare una formula, ma nessun potere fluì dalle sue mani. Era in balia del nemico.
È la fine. Questa è davvero la fine.
Poi udì un urlo, e un liquido caldo e vischioso lo coprì da capo a piedi. La stretta si sciolse e Sennar si trovò a precipitare nel vuoto. Quando cadde sulla scala e sbatté contro i gradini, la coscienza l’aveva già abbandonato.
Nihal si ergeva davanti al mostro con la spada in pugno, ansimante. Stette solo un istante a contemplare il nemico, poi si avventò di nuovo su di lui.
Si mosse con agilità, schivando le sferzate dei tentacoli che arrivavano da ogni direzione. Sgusciò come una serpe e si portò fin sotto il corpo della bestia, quindi inflisse il secondo colpo.
Uno dei tentacoli si contorse e cadde nel vuoto. Un liquido maleodorante e caldo sgorgò dal moncherino e l’urlo della bestia sovrastò il ruggito del mare.
Nihal non si fermò. Schivò, parò, approfittò del momento di debolezza della bestia e gli balzò addosso. Un nuovo colpo, poi un altro ancora, e ancora, e a ogni affondo un nuovo grido del mostro, altro sangue.
Il mostro infine perse l’equilibrio e si abbandonò nel vuoto. Nihal lo seguì, cadde con lui. Quando furono a terra, la mezzelfo si rialzò in posizione di combattimento e si preparò a un nuovo balzo. Qualcosa però la fermò.
Sentì un’enorme ondata infrangersi sullo scoglio. Una montagna di schiuma penetrò nel santuario attraverso le fenditure sulle pareti, si innalzò rapida verso il foro sulla sommità, poi scese a precipizio, fragorosa come una cascata, e quando toccò terra assunse la forma di una figura che pareva umana, armata di un tridente. La punta centrale del tridente brillava con intensità.
«Placa la tua furia» tuonò.
Nihal con un urlo si avventò sul guardiano. «Levati di mezzo!»
L’uomo di spuma piantò a terra il tridente, a poca distanza dalla faccia di Nihal. «Non credere di potermi battere» mormorò. La sua voce era così bassa e tonante che la spaventò. «Cosa siete venuti a cercare, tu e il tuo amico?»
Per la mezzelfo tutto era lontano e nebuloso, in quel momento: la missione, il talismano, ogni cosa. Erano rimaste soltanto una furia cieca e l’angoscia per la sorte di Sennar.
«Dunque?»
Nihal cercò di ordinare i suoi pensieri. Poi vide un luccichio in un angolo della sala. Il talismano.
«Siamo... siamo qui per l’amuleto.»
L’essere sorrise beffardo. «Ancora brama di potere, altri due sciocchi...» Rise, una risata crudele. «Perché siete così stolti?» chiese con voce stentorea. «Da secoli veglio su Sarephen, nella solitudine di queste torri che gli dèi innalzarono a monito per voi. Ho visto tanti giungere fino alla bocca di questo santuario: molti erano eletti, e ho concesso loro la pietra, ma molti altri erano impuri, e calcavano questo sacro suolo unicamente per ottenere il potere. I loro cuori ardevano della brama di soggiogare altri cuori, tutto ciò che li animava era il desiderio smodato di regnare, di possedere, di disporre a piacimento della vita altrui. Molti di loro sono morti prima ancora di giungere al mio cospetto, i rimanenti li ho uccisi io stesso. Eppure non temevano la morte; per il potere, per la brama di dominio, erano pronti a pagare ogni prezzo. Come il tuo amico, che pur sapendo di non essere degno di sfiorare Sarephen è giunto fin qui.»
«Non è per questo... non è per il potere.»
L’uomo la contemplò a lungo. «Una mezzelfo» mormorò.
«Sì» urlò Nihal. «Sì! Una mezzelfo! Io posso toccare la pietra! Lasciaci andare, dacci la pietra e permettimi di salvare il mio amico...»
«A cosa ti serve la pietra?»
«Per battere il Tiranno.»
L’uomo sorrise beffardo. «Il Tiranno... un altro omuncolo accecato dal potere.»
«Ho con me il talismano.» Nihal corse verso il brillio, prese in mano l’amuleto e dimostrò che poteva toccarlo. «Vedi? Ho già una pietra con me!» Indicò Ael.
Il guardiano fissò la pietra. «Com’è possibile che Ael sia stata data a te, un essere così colmo d’odio e di furia?»
Nihal non seppe che cosa rispondere. Era vero. Ma la smania a poco a poco svaporava lasciando posto all’angoscia per il destino di Sennar.
«Perché vuoi la pietra? Non per ciò che mi hai detto...»
«No...» mormorò Nihal. «Voglio solo uscire di qui, adesso. Desidero semplicemente abbracciare il mio compagno e sentire che è vivo. Prendere la pietra è l’unico modo per poter andare avanti.»
Il guardiano la osservò, impassibile. Con un colpo del tridente, fece cadere l’amuleto dalle sue mani.
Nihal cadde a terra, come se fosse stata svuotata di ogni forza.
Il guardiano girò il tridente e liberò una pietra dalla punta luccicante. Era di un blu cupo e sembrava racchiudere le profondità dell’oceano. Lui la sollevò e la pietra dapprima brillò alla luce della luna, poi parve assorbirne il riflesso. Quindi il guardiano la depose sul pavimento, innanzi a Nihal.
«Sei appena all’inizio del tuo viaggio, il tuo cuore è confuso e spaventato. Guardiani meno indulgenti di me non ti avrebbero concesso la pietra. Ma non smettere di cercare, mai, o il potere non sarà mai tuo.»
Quindi, com’era venuto, il guardiano si dissolse in mille rivoli di acqua marina e tornò all’oceano dalle fessure dell’Arshet. Anche il mostro si dileguò e Nihal restò sola nell’immensità del santuario, di nuovo silenzioso. Si gettò rapida sulla pietra, la levò in alto e mentre la alloggiava nell’alveo pronunciò la formula rituale. «Rahhavni sektar aleero.» La voce le tremava.
La pietra si collocò salda nel suo alveo. Nihal si alzò di scatto e corse verso Sennar.
Il mago giaceva riverso sugli scalini, la mano appoggiata sulla roccia viscida era fredda e bianca.
Nihal lo girò e iniziò a chiamarlo, ma lui, pallido, non le rispondeva. Lei continuò a chiamarlo, a voce sempre più alta. Poi prese a singhiozzare. «Mi avevi promesso che non saresti morto...» disse tra le lacrime.