Il mattino seguente Sennar andò in giro per la città a chiedere informazioni circa la loro meta. Tornò per l’ora di pranzo e disse che il pianoro che cercavano era sui Monti della Sershet, al confine con la Terra dei Giorni, verso est. A quanto ne sapeva chi gliene aveva parlato, un vecchio mendicante appostato alle porte della città, non ci andava più nessuno da secoli, perché, a parte la neve, il gelo e il ghiaccio perenne, non c’era nulla.
Nihal pensò che fosse un posto ben strano per collocarvi il santuario del sole. Ora, poi, erano nel pieno dell’inverno, chissà che cos’avrebbero trovato lassù.
«Qual è il problema?» chiese tranquillo Laio. «Oarf si è riposato a sufficienza, ci porterà lui fin lì. Sarà un gioco da ragazzi.» Poi gli occhi dello scudiero si illuminarono. «Sarà la prima volta che metto piede in un santuario.»
«Fossi in te non sarei così contento» ribatté Sennar.
Le cose non si prospettarono facili come sperava Laio e quando, dopo un giorno di viaggio, giunsero alle pendici dei Monti della Sershet, fu chiaro che l’impresa non sarebbe stata una passeggiata.
Innanzi a loro si ergeva una parete di nuda roccia. I monti si alzavano pigri dalla pianura, in dolci pendii erbosi, ma poi la salita si faceva ripida e infine vertiginosa. Le vette erano invisibili, avvolte nelle nubi. Persino Laio, che non era portato al pessimismo, assunse un’espressione scoraggiata di fronte a quella vista.
«A giudicare dalle nuvole sulla cima» commentò Sennar «lassù non dev’esserci bel tempo.»
Nihal guardò preoccupata la parete di roccia. «Oarf non ce la farà. Le sue ali si stancano quando il volo è verticale, e il maltempo non migliora le cose...»
«Non abbiamo scelta» tagliò corto il mago. «O andiamo con Oarf, o passeremo la vita su quei monti.»
Per quella sera si accamparono ai piedi delle montagne e il mattino dopo partirono che il sole si era appena levato.
«Ti devo chiedere di nuovo un grande sforzo, Oarf» disse Nihal al drago. «Ma ti giuro che farò in modo che sia l’ultimo.»
Oarf la guardò fiero con i suoi occhi rossi e si eresse in tutta la sua statura. Nihal sorrise. Quindi montarono in groppa e iniziarono l’ascesa.
Da principio non incontrarono troppe difficoltà. Il drago volava ad ali spiegate, mantenendo un’andatura sostenuta e senza sforzo. Ma il peggio doveva ancora venire.
Per tutta la mattina sorvolarono i pascoli erbosi che costeggiavano i piedi della montagna, ma d’un tratto la massa rocciosa si eresse minacciosa innanzi a loro, e la vera e propria scalata ebbe inizio. Oarf non poteva più volare orizzontalmente, doveva tendere le ali per procedere in diagonale. Dapprima la pendenza fu lieve, poi si fece sempre più ripida. Nihal sentiva i muscoli delle ali del drago tendersi sotto le sue gambe.
«Coraggio, coraggio» gli sussurrava in un orecchio, china sulla testa dell’animale, e Oarf si sforzava ancora di più.
La sera si accamparono ad alta quota e Laio si prese cura di Oarf. Di ora in ora il vento si faceva più gelido e il cielo più minaccioso. Prima ancora che potessero coricarsi, arrivò la neve.
«Perfetto!» commentò Sennar.
Per tre giorni non fecero che salire. Il terzo giorno si accamparono proprio sotto il limitare delle nuvole. Quando guardarono speranzosi verso l’alto, non riuscirono a distinguere nemmeno la parvenza di una cima.
La prima sera Sennar aveva provato ad accendere un fuoco magico perché li riscaldasse, ma quel debole tepore durava poco e cessava appena il mago si addormentava. Così furono costretti a dormire avvolti nei mantelli e rannicchiati sotto le ali di Oarf, per non rischiare di morire assiderati.
Il giorno successivo si addentrarono nelle nuvole, e le cose si misero ancor peggio. Il vento era gelido e la neve impediva loro di vedere e di respirare. Oarf faceva del suo meglio, ma la salita era ardua e la strada che riuscivano a percorrere dall’alba al tramonto era sempre più breve.
«Forse saliremo così per sempre. Forse la cima di queste montagne non esiste e oltre le nuvole ci sono gli dèi» disse a un tratto Laio, e Nihal non capì se il pensiero lo spaventasse o lo eccitasse.
I due giorni seguenti volarono fra le nuvole e quando ne riemersero e alzarono gli occhi quello che videro parve loro uno spettacolo straordinario. Fu allora che Nihal capì perché proprio quel luogo fosse stato scelto per il santuario.
Quelle montagne erano il trionfo della luce. Il sole era incredibilmente luminoso e perfino il blu cobalto del cielo sembrava rifulgere; il ghiaccio che li circondava, poi, rifletteva i raggi del sole e li rifrangeva in mille tonalità accecanti. Tutto intorno vi erano centinaia di altre cime, a perdita d’occhio; solo roccia, ovunque. Quello sfoggio di bellezza li rincuorò; ora che la salita era finita, credettero che tutto sarebbe andato per il meglio.
Il tepore della luce abbagliante non riusciva a combattere il freddo e il vento, ma l’ultima parte del viaggio si prospettava più facile. Volarono fra centinaia di picchi marrone stagliati contro il cielo, che si innalzavano da un mare bianco e lanuginoso, e Laio si sporgeva in continuazione da Oarf per guardare in basso.
«C’è il nulla sotto di noi!» esclamò divertito lo scudiero, mentre indicava le nuvole che celavano la valle.
Nihal e Sennar invece iniziavano a preoccuparsi. Non riuscivano mai a volare abbastanza in alto da poter dominare tutte le montagne e individuare il pianoro. Non restava che interrogare di nuovo il talismano. Nihal si concentrò e tutto quel che vide fu ancora il fulgore abbacinante del santuario; percepì vagamente che dovevano proseguire verso est e che al centro esatto delle montagne avrebbero trovato quel che cercavano.
Il loro viaggio durò altri due giorni. All’alba del terzo, l’oggetto delle loro ricerche si presentò di fronte ai loro occhi stupiti. Restarono ammutoliti a fissarlo, chiedendosi come fosse possibile che in pieno inverno e a quelle altezze esistesse un luogo simile.
7
Glael o della solitudine
Nihal, Sennar e Laio guardavano allibiti la macchia di verde che si stagliava sul marrone delle montagne. Videro il sole rischiarare una piana ricolma di fiori colorati e talmente profumati che il loro aroma giungeva fino a loro. Meravigliati, scesero su quel pianoro e non appena vi posero piede furono stupiti dalla mitezza del clima. In quel lembo sperduto di terra era già primavera. Era l’alba e i raggi rosei del sole si posavano su migliaia di petali carnosi e sull’erba bagnata di rugiada. Sembrava un mondo a parte, isolato e lontano da tutto.
Laio gettò subito il mantello e iniziò a rotolarsi tra i fiori, con una risata cristallina. «Questa è davvero la dimora gli dèi!»
Il pianoro non era molto vasto e, quando si avvicinò al limite, Nihal scoprì che gran parte della Terra del Sole e qualche lembo di altre Terre erano visibili da lassù. Vide la macchiolina chiara di Makrat, distesa pigra a poca distanza dal Grande Affluente, e poi il Piccolo Affluente, suo fratello minore, e il lago Hantir, argenteo alle prime luci dell’alba. Vide la Foresta della base e le parve persino di intravedere la base stessa. Da lassù forse poteva scorgere anche la regione dove si trovava il villaggio di Eleusi e Jona. Poi, il suo sguardo si spinse oltre e il cuore rallentò i battiti.
In fondo, dove i lussureggianti boschi della Terra del Sole cedevano il passo a un deserto, c’era la sua Terra d’origine, la Terra dei Giorni, tutto ciò che restava del suo popolo.
«Guarda laggiù» esclamò Laio. «Vedi quella macchia nera a sud?»
«Cos’è?» chiese Sennar, che era avanzato per ammirare anche lui il panorama.
«È la Terra della Notte» disse lo scudiero. «Io ci ho vissuto poco, non la conosco bene, ma è la mia Terra...»
«Dobbiamo cercare il santuario» disse Nihal.
«E c’è bisogno di cercarlo?» Laio si voltò e puntò il dito innanzi a sé.
Nihal seguì la sua indicazione e vide un’immensa costruzione sorgere in un angolo del pianoro. Era imponente, completamente d’oro. La mezzelfo si chiese come avesse potuto non notarla. Il corpo centrale era tondo e schiacciato, chiuso da una vasta cupola d’oro a cipolla che terminava con una sfera: un sole, anch’esso d’oro. Ai lati c’erano altre costruzioni più basse e tutte terminavano con cupole simili. L’intero edificio era un tripudio di pinnacoli e volte, e riluceva accecante.