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Nihal si fece scudo con un braccio dalla luce che proveniva dal santuario, sguainò la spada e avanzò.

«Chissà che meraviglie ci sono là dentro!» urlò Laio, e si lanciò di corsa verso la costruzione.

«Aspetta!» Nihal lo afferrò per un braccio. «Nei santuari ci sono i guardiani, e loro non vogliono che gli uomini varchino la soglia. È meglio che tu e Sennar restiate qui.»

«Neanche per idea!» protestò Laio divincolandosi. «Cosa saremmo venuti a fare, allora, io e il mago? Se c’è da combattere e aiutarti, dovremo essere al tuo fianco. O entriamo tutti, o non entra nessuno.»

Nihal guardò Sennar, interrogativa.

«Se le cose si mettono male, corriamo fuori. Tu va’ avanti» disse il mago.

Procedettero in fila indiana e arrivarono sotto l’ingresso, dove in caratteri contorti e arzigogolati, tanto che era difficile leggerli, era scritto: "Glael". Luce. Nihal non si soffermò a guardare ed entrò con la spada sguainata.

«Seguitemi a qualche passo» disse ai suoi compagni, ma Laio si era già gettato innanzi.

Sennar lo afferrò per la spalla. «Capisco la tua ansia di cacciarti nei guai» disse in tono acido «però credo sia saggio seguire il consiglio del tuo Cavaliere.»

Laio lo guardò seccato, ma rallentò il passo.

L’interno del santuario era opprimente nel suo splendore: un tripudio di oro e fregi ovunque. C’era un’ampia navata centrale, delimitata da colonne che si innalzavano a sorreggere l’ampia volta interamente traforata, in modo tale che i raggi del sole, penetrando dalla cupola, disegnavano decori geometrici sul pavimento. C’erano poi due navate laterali, più piccole, e sulle pareti molte nicchie, stracolme di statue. Sotto ciascuna di esse, un nome in caratteri che Nihal non riconobbe. La sua attenzione fu attirata dalla rappresentazione di un uomo imponente. Era alto, aveva uno sguardo fiero e indomito. In una mano troneggiava una fiamma gagliarda, che lui sembrava dominare con la forza delle dita, e nell’altra c’era una lunghissima lancia.

Senza sapere perché, Nihal fu affascinata da quella figura e restò per un po’ a guardarla. Le sembrava che gli occhi di quell’uomo fossero puntati su di lei, le pareva quasi che la chiamasse.

«Qualcosa non va?» sentì la voce di Sennar sussurrare dietro di lei.

Si riscosse. «Tutto bene.»

Nihal riprese il cammino e notò che la navata centrale si apriva su un altare, decorato con i rami dorati di una pianta rampicante. Sospesa su un alto piedistallo e investita da un sottile raggio di luce c’era la pietra, che brillava di una luce innaturale.

«È quella?» chiese Laio circospetto.

«Credo... credo di sì» mormorò Nihal.

Era confusa. Possibile che fosse tutto così semplice? Niente guardiani? Rinfoderò la spada e si avvicinò all’altare. Fu allora che iniziò a sentire qualcosa di strano. Tese l’orecchio.

«Cosa...» fece per chiedere Laio, ma Sennar lo zittì.

L’aria iniziava a riempirsi di una specie di canto, una nenia, forse, o una filastrocca. Non proveniva da un punto preciso della sala, era ovunque, e non c’era eco, non c’era profondità in quel suono. Sembrava esistere soltanto nelle loro menti, al punto che si guardarono l’un l’altro per avere conferma che anche gli altri la udissero.

Dapprima le parole non furono chiare, poi si iniziarono a distinguere suoni articolati, frasi forse. Il senso era oscuro, ma all’orecchio di Nihal le parole suonarono simili a quelle che le aveva rivolto il guardiano del santuario dell’acqua, o alla formula rituale che lei stessa recitava quando si appropriava del potere racchiuso nella pietra. Era un canto elfico, dunque. La voce era di fanciulla, triste e inquietante.

«Chi sei? Chi è che canta?» chiese Nihal.

La voce tacque.

«Sono Sheireen, una mezzelfo, e sono qui per Glael» disse Nihal a voce alta.

Ancora silenzio.

«Voglio il potere per sconfiggere il Tiranno che sta distruggendo questo mondo. Sei il guardiano?»

La voce riprese a cantare, ma stavolta le parole erano chiare, non più nella lingua degli Elfi:

Luce, mia luce, Dov’è la mia luce? L’ombra l’ha avvolta Nel suo tenebroso seno l’ha accolta. Sole, mio sole, Dov’è andato il mio sole? La notte l’ha rubato Nel buio profondo l’ha agguantato. Vita, mia vita, Dov’è la mia vita? Dalle mia dita è fuggita Come un fiore tra i rovi è appassita.

Una risata suggellò l’ultimo verso e una fredda inquietudine iniziò a farsi strada nel cuore di Nihal. Estrasse la spada e il rumore del cristallo nero che scivolava nella guaina risuonò nel silenzio.

Un grido seguì quel rumore. «Niente sangue, su questi pavimenti! Niente odio tra queste mura!

Abbassa la lama!»

Nihal rinfoderò subito l’arma. «Sono Sheireen, te l’ho già detto... ti prego, fatti vedere.»

«Oh, io conosco Sheireen, e conosco Shevrar. Del resto, la luce possiede il fuoco, no? Ma Shevrar distrugge e la luce crea, non è così?» fu la risposta della voce. «Però, se la luce è vita, perché qui tutto è morto? Fa tanto freddo... Io ho tanto freddo... Riscaldami fanciullo...»

A quel punto Laio strillò.

Sennar corse subito da lui. «Che c’è?» chiese.

«Niente... È solo che mi è sembrato di sentire una mano che mi toccava, una mano gelida...» rispose il ragazzo.

«Dannazione!» Sennar si guardò intorno.

«Non c’è ragione di temere, fanciullo, io ho solo freddo...» disse la voce. «Il calore è celato nella carne e non nell’oro di queste pareti.» Quindi ricominciò a cantare.

Nihal non capiva che cosa dovesse fare. Aguzzava gli occhi, guardava in ogni direzione, ma non vedeva nulla. Eppure la pietra era lì, davanti a lei, incustodita. Che la voce continuasse pure a cantare, a lei serviva solo il potere. Avanzò in direzione dell’altare e tese le dita verso la pietra. Il buio calò improvviso. Rimase un solo raggio di luce, al centro della sala.

«Ferma!» urlò la voce. D’un tratto il tono era divenuto deciso e autorevole. «È mia, nessuno deve prenderla... Coloro che potevano stringerla nelle mani sono tutti morti.»

«No, ti sbagli! Non sono tutti morti! Io sono una mezzelfo, posso controllare il potere. Sono qui per questo.»

Il raggio di luce iniziò a danzare per la sala, da un angolo all’altro, ma soprattutto intorno a Laio.

«Tu menti, tu menti!» cantilenava la voce. «Non vedi che sono sola? Tanti anni fa mi misero qui a vegliare su quella pietra e io ho atteso, ho atteso a lungo... Il sole saliva nel cielo e tramontava, poi risaliva e ancora calava... Così per anni, per millenni. Io ero sempre sola, qui, in questo freddo. L’ultima volta che venne qualcuno fu forse mille anni fa, ma non gli diedi la pietra...»

«Cosa vuoi che faccia, perché tu me la dia?» chiese Nihal.

Il raggio di luce si fermò. «Voglio il calore.»

«Fatti vedere e spiegami cos’è questo calore.»

Il raggio di luce ricominciò a muoversi per la sala, mentre il buio si faceva a poco a poco meno fitto. «Sono qui, non mi vedi? Sono la luce. Molto tempo fa anch’io avevo un corpo, ma poi lentamente è sparito... E ora ho freddo, sono sola...»

«Io non ti capisco...» protestò Nihal.

«Tu dammi il calore, e poi potrai prenderti la pietra» disse la voce ridendo.

Il raggio di luce iniziò ad accarezzare Laio, passò sui suoi riccioli biondi, sulle sue guance rosse. Lo scudiero sembrava divertito da quel gioco, le sue dita seguivano il raggio luminoso.

«Sì» continuò la voce «tu ce l’hai il calore... Io non voglio poi molto... solo andarmene da questa prigione d’oro, vedere il mondo e non essere più sola. Che senso ha stare qui dentro? Gli elfi se ne sono andati tanti anni fa, e io sono qui a far la guardia a una cosa senza valore... Portatela pure via, ma lasciami la carne...»