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L’ossessione di Ido

Quella sera Ido era solo. E non aveva sonno. Seduto fuori dalla sua tenda, in cima alla collina, guardava il panorama con sguardo vacuo. Si sentiva malinconico, e la vista che aveva davanti non lo aiutava a tirarsi su di morale. Osservava la piana inondata dalla luna, il nastro d’argento del fiume che la attraversava, e trovava quel panorama di struggente bellezza. Se non fosse stato per ciò che si vedeva all’orizzonte. Una linea scura e sfocata, là dove il cielo si univa alla terra. L’accampamento nemico.

Lo gnomo non era tipo da scoraggiarsi, ma quella sera si sentiva vecchio e stanco.

Fece scorrere la mano sulla lunga barba, poi tirò una boccata dalla sua pipa.

Vecchio stupido. Non è certo il momento di abbattersi. La verità è che ti manca Nihal...

Già, era quella la verità. Nihal se n’era andata da quasi due mesi ormai.

Ido non era tipo da emozionarsi facilmente, ma quando aveva visto la sua allieva spiccare il volo su Oarf e partire per la missione, si era sentito stringere il cuore. Era rimasto di nuovo solo.

Si era detto che la tristezza sarebbe passata presto, che la guerra lo avrebbe ripreso nelle sue spire e si sarebbe sentito forte e spavaldo come sempre. Ma non era andata così. I giorni scorrevano lenti. Si era stabilito nell’accampamento della Terra dell’Acqua più prossimo al fronte e lì aveva prestato il suo aiuto. Aveva cercato di scacciare la malinconia gettandosi anima e corpo nella battaglia. Mentre l’inverno avanzava assieme all’esercito nemico, Ido non si risparmiava: pianificava attacchi, guidava manipoli, lottava con tutte le proprie forze, divorato dal bisogno di combattere.

Le sere però erano solitarie, trascorse nella tenda a fumare nervosamente. Ido era divenuto taciturno, perché in verità non aveva voglia di parlare con nessuno. Si era accorto di non essere riuscito, in tutti quegli anni, a legare davvero con qualcuno.

Gli sembrava di essere tornato indietro di anni, ai primi tempi passati nell’esercito delle Terre libere. La sua vita era costretta nei ranghi della consuetudine: allenamenti, battaglie, riposo, ogni giorno uguale al precedente. Di tanto in tanto montava su Vesa, il suo drago scarlatto, e si allontanava anche per un’intera giornata. Ogni volta che si innalzava in volo, però, constatava con tristezza che la linea del fronte era ulteriormente regredita. Non riuscivano a guadagnare terreno. Inanellavano una sconfitta dietro l’altra.

Smettila di rimuginare!

Distolse gli occhi dalla piana e svuotò la pipa dopo un’ultima tirata. L’indomani ci sarebbe stato un nuovo attacco, un’altra occasione di annegare quelle stupide malinconie nella battaglia. Quindi si ritirò nella sua tenda.

Il mattino seguente l’aria era gelida. L’alito si rapprendeva in nuvolette compatte.

Ido era in groppa a Vesa, pronto ad affrontare l’ennesima battaglia. Mavern era al suo fianco, anche lui sul suo drago.

«Ti vedo stanco, Ido» disse il generale.

«Sarà la vecchiaia» cercò di scherzare Ido.

«Gli gnomi non invecchiano velocemente come gli uomini.»

«Però accade anche a loro.»

Mavern sorrise. Ido sospirò e guardò innanzi a sé. Vedeva chiaramente le linee nemiche, immerse in un silenzio glaciale, il silenzio che può circondare solo un esercito di fantasmi. Era una scena che conosceva bene, ma ancora non si era abituato. Non si concentrò su quella prima linea grigiastra ma sui fammin schierati dietro, gli esseri mostruosi dalle lunghe zanne e dal pelo rossiccio, che almeno non gli riempivano le ossa di quel gelo mortale.

L’urlo della carica lo colse quasi di sorpresa, ma lui prontamente spronò Vesa con un grido e fu subito in cielo.

Si gettò nella battaglia imperversando dall’alto sulle truppe nemiche con il suo drago. Di tanto in tanto veniva attaccato dagli uccelli che sputavano fuoco, ma non era difficile vedersela con loro. Sembrava davvero una battaglia come le altre.

Finché non arrivò lui. Ido sentì l’aria vibrare e capì che era sopraggiunto un Cavaliere di Drago. Solo le ali di un drago producevano quel suono sordo e cupo. Qualcosa in lui si risvegliò.

Un avversario degno di questo nome, finalmente.

Prese quota e si voltò a vedere chi fosse il suo nemico. La prima cosa che lo colpì fu il rosso, e un’immagine gli tornò improvvisamente alla memoria.

C’era un Cavaliere vestito di rosso, il giorno in cui la barriera delle ninfe era stata abbattuta. Ido non poteva dimenticarlo. Era stato lui a costringere Nihal a combattere contro Fen. In un attimo, davanti alla figura di quel Cavaliere scarlatto in groppa a un drago nero, lo gnomo ricordò tutto.

Nihal era immobile innanzi a Fen, mentre il fantasma la attaccava. Ido era corso da lei e aveva sentito un’odiosa risata di scherno.

«Uccidere o essere uccisi, Cavaliere!» Il guerriero scarlatto volteggiava sopra di lei, in groppa a un drago nero.

«Nihal! Combatti, maledizione!» aveva urlato Ido.

Quindi si era scagliato su di lui, il tempo di qualche stoccata, mosso da una rabbia inesprimibile. Non lo aveva visto neppure in faccia, non aveva badato alla sua armatura. Lo aveva colpito, poi la battaglia li aveva separati. Nelgar si era affiancato a Ido e lo gnomo aveva perso di vista il Cavaliere.

Ido sentì montare dentro di sé la stessa rabbia di quel giorno. Stavolta non ci sarebbe stato nessuno a dividerli. Gli avrebbe fatto pagare il prezzo della sofferenza di Nihal. Lo gnomo sentì qualcosa in fondo allo stomaco, un vigore nuovo. Spronò Vesa, si lanciò sul Cavaliere di Drago Nero e colpì con forza la sua spada, poi si allontanò.

«Sono io il tuo nemico» mormorò fra i denti.

Il Cavaliere si voltò verso di lui. Era imponente, l’armatura rossa non lasciava un lembo della sua pelle scoperto e anche il volto era celato. Un demone rosso come il sangue. Aveva una spada, anch’essa rossa, dello stesso colore di Vesa. Ido non poteva vedere neppure i suoi occhi. Gli sembrava di affrontare un guerriero inanimato.

Il Cavaliere gli mostrò la spada a mo’ di saluto, poi si gettò su di lui. Iniziarono a combattere accanitamente. Il guerriero in rosso aveva uno stile assai simile a quello di Ido: si muoveva poco, anche il suo era soprattutto un gioco di polso. Questo avrebbe reso la competizione più interessante, se Ido non fosse stato accecato dalla furia.

Lo gnomo sentì un colpo raggiungerlo alla mano e Vesa si ritirò.

Calma, stai calmo, maledizione!

Sentì una risatina di scherno provenire dalla celata dell’elmo del suo nemico.

«Vedo che ti stai scaldando...»

Ido si gettò di nuovo contro di lui e prese ad assaltare con più foga. In anni di battaglie non si era mai sentito così, non aveva mai odiato nessuno dei suoi nemici, e mai aveva perduto la calma.

Si avvicinò più che poteva con Vesa e costrinse il suo drago ad attaccare la bestia nera con le unghie e con i denti. Il ritmo del duello accelerò, ma il Cavaliere di Drago Nero non parve turbato e rispose a ogni stoccata.

Era un grande spadaccino, Ido doveva ammetterlo. Forte e vigoroso, ma anche agile e furbo. Un nemico fuori dal comune. Da quanto tempo non si misurava con un avversario simile?

Bastò un attimo di distrazione, un gesto più avventato degli altri, un piccolo errore di calcolo. La stoccata del nemico andò a segno e l’elmo di Ido prese il volo. Lo gnomo perse l’equilibrio e dovette aggrapparsi a Vesa per non cadere. Quando si riprese, la spada del Cavaliere puntava dritta alla sua gola. Ido ebbe appena il tempo di imprecare.

È finita.

«Sembra sia finita» chiosò il Cavaliere e la sua spada fendette l’aria con un movimento rapido e preciso.

Ido d’istinto chiuse gli occhi e avvertì la lama strappargli la carne del petto.

Gli mancò il fiato e si sentì trascinare via. Quando riaprì gli occhi si accorse che Mavern lo portava con sé in groppa al suo drago. Vesa rimase a ostacolare il volo del drago del Cavaliere scarlatto.