Abbi cura di te,
Laio piegò la lettera senza lasciar trapelare alcuna emozione, anche se quella che aveva dipinta sul volto era un’espressione troppo seria per lui. «Vorrei una spada e un cavallo» disse in tono pacato.
«Hai letto bene?» chiese Nelgar.
«Certo» rispose Laio, sempre serissimo.
«A cosa ti servono un cavallo e una spada?»
«Mi conoscete, non c’è bisogno di chiederlo.»
Nelgar sospirò. «Mi è stato detto di impedirti in ogni modo di seguirla.»
«E io farò di tutto per seguirla. Per questo vi chiedo, in nome di tutto il tempo in cui ho vissuto qui, di evitare scenate inutili e lasciarmi andare.»
«Non posso.»
Laio sentì d’aver ritrovato la stessa determinazione che quasi un anno prima lo aveva spinto a mettersi contro suo padre, pur di poter scegliere da solo il proprio destino. Neppure questa volta si sarebbe fermato. «Datemi il cavallo e la spada.»
«Se non la pianti, ti faccio mettere ai ferri» intimò Nelgar.
«Non basteranno a fermarmi.»
«Questi sono capricci!» sbottò Nelgar. «Lo sai che è pericoloso andare in territorio nemico. Nihal ha solo voluto salvarti la pelle.»
«Nihal ha voluto decidere per me, ma io non sono un bambino, anche se tutti continuate a trattarmi come tale. Sono più utile con lei che qui. Non è un capriccio, è la mia decisione» disse con voce dura.
«Se questa è la tua decisione, non mi dai molta scelta.» Nelgar chiamò due guardie. «Chiudetelo in una stanza e sorvegliatelo.»
I due uomini si guardarono, poi uno di loro parlò: «Ma... è uno dei nostri...».
«Non discutete e obbedite!» tagliò corto Nelgar.
I soldati si volsero verso Laio. Lo scudiero tentò una debole difesa, ma i due erano molto più forti di lui. In breve le guardie lo immobilizzarono.
«Se credete che mi arrenderò, siete un illuso» urlò lo scudiero mentre veniva portato via.
Laio trascorse la notte rinchiuso in una stanza umida e buia. All’inizio gli vennero le lacrime agli occhi. Provava una frustrante sensazione di impotenza, ma soprattutto si sentiva uno stupido. Gli sembrava di essere tornato ai tempi dell’Accademia, quando era il più debole degli allievi e tutti lo prendevano in giro.
Passò la notte a pensare a un modo per fuggire dalla base. Con un po’ di fortuna, forse non sarebbe stato troppo difficile. Non era un nemico e dunque non lo sorvegliavano con eccessivo rigore. Non gli avevano legato le mani e non lo avevano neppure perquisito prima di imprigionarlo.
Studiò le pareti della stanza; erano fatte di grosse pietre squadrate ammassate l’una sull’altra e una pareva leggermente smossa. In un giorno di lavoro sarebbe riuscito a spostarla abbastanza da ritagliarsi una via di fuga. Controllò nelle tasche e scoprì di avere ancora con sé il vecchio coltello che usava quando viveva da solo nella foresta, prima di diventare lo scudiero di Ido e poi di Nihal. La lama era poco affilata, ma per i suoi scopi sarebbe andata bene. Doveva solo grattare via la calce che ancora univa quella pietra alle altre.
Per tutto il giorno Laio poté affaccendarsi intorno alla parete quasi senza interruzioni. Solo a metà mattina e a metà pomeriggio entrò una guardia, per portargli il cibo e controllare cosa faceva, e in quelle occasioni Laio si rese conto di quanto il lungo viaggio con Nihal e Sennar avesse affinato le sue percezioni. Entrambe le volte, infatti, sentì arrivare la guardia in tempo per accumulare la polvere di calce in un angolo e gettarvi sopra le coperte, poi si sedette innanzi alla pietra, in modo tale che chi entrava non si accorgesse di nulla.
La seconda notte di prigionia fu pronto a evadere. Quando fece buio, Laio sgattaiolò fuori. Ebbe la fortuna dalla sua: la sentinella sonnecchiava in un angolo. Laio si avvicinò in punta di piedi e gli sfilò la spada che gli pendeva al fianco. Quindi si avvolse in un mantello nero e si apprestò a uscire dal recinto che circondava la base.
A malincuore dovette rinunciare all’idea del cavallo: andarsene per la porta principale sarebbe stato troppo complicato, meglio scavalcare. Scelse un punto che gli sembrava più agevole e meno sorvegliato, si arrampicò e si calò dall’altra parte.
Una volta fuori, iniziò a correre attraverso il bosco.
Procedette più spedito che poté, dapprima di corsa, poi, quando iniziò a mancargli il fiato, a passi rapidi. Voleva allontanarsi il più possibile dalla base, prima che facesse giorno e che qualcuno si mettesse sulle sue tracce.
Vagò per tutta la notte, senza meta. Fu solo al sorgere del sole che si pose il problema di dove andare. Sapeva che doveva dirigersi verso il confine cercando di evitare di incappare nella linea del fronte, ma le sue informazioni in proposito risalivano a un anno prima, quando ancora viveva alla base, e non aveva idea di quanto fosse avanzato l’esercito nemico.
Si fermò al limitare della foresta, a ponderare il da farsi. Non conosceva neppure la geografia della Terra del Sole, fatta eccezione per la strada per Makrat. Mentre si sforzava di ricordare almeno com’erano i confini, si sentì perduto. Non aveva la più pallida idea di cosa fare e gli sembrò che il suo viaggio fosse finito prima ancora di iniziare.
Lasciata la foresta iniziò a camminare nella piana. Attraversò una vasta zona dove non sembrava esserci traccia di eserciti e pensò che forse era quello il punto migliore per valicare il confine. Marciò per l’intera mattinata. Tutta la sua sicurezza era svanita e iniziava a pensare che era stato da stupidi disobbedire agli ordini di Nelgar e Nihal.
Quando fu a poca distanza dalla frontiera, intravide una linea nera all’orizzonte. Davanti a lui, in lontananza, c’era l’esercito schierato. Non poteva varcare il confine in quel punto. Come se non bastasse, si rese conto di non avere provviste e il viaggio si prospettava lungo. L’unica cosa che gli restava da fare era cercare un villaggio.
In mezza giornata di marcia riuscì a intravedere le prime case di un paesello. Non erano altro che poche abitazioni, una decina in tutto, raccolte attorno a una piazza centrale oblunga. Il fronte non era distante e la paura aveva svuotato le strade. C’era però una locanda ancora aperta, con un locale dove rifocillarsi e una stalla adibita a ricovero per uomini e animali. Per fortuna, Laio aveva parecchi soldi con sé. Era lui a custodire il denaro quando viaggiava con Nihal e Sennar e non lo abbandonava neppure quando dormiva.
Mangiò e decise di chiedere consiglio a qualcuno della locanda. Il gestore, un omone con la pancia rotonda e l’espressione gioviale, gli ispirava fiducia. Si avvicinò e gli chiese quale fosse la situazione del fronte.
L’uomo lo squadrò insospettito e posò gli occhi sulla sua spada. «Non sei un soldato?» domandò.
Laio arrossì. «Sono uno scudiero, devo raggiungere il mio Cavaliere.» In un certo senso, era stato sincero.
«Si combatte a una decina di miglia da qui» rispose il locandiere, più rilassato. «Ci sono postazioni dell’esercito lungo quasi tutto il confine. L’unica zona sguarnita è quella dei Monti della Sershet. Lì, solitamente, non si spingono nemmeno i fammin.»
Dunque, doveva valicare la montagna. Il tragitto, a quanto gli disse il locandiere, era piuttosto lungo e Laio aveva già un bello svantaggio su Nihal e Sennar. Lo scudiero fece un paio di conti e giunse alla conclusione che se spendeva tutto quello che aveva era in grado di comprare provviste sufficienti per il viaggio e anche un cavallo. Così fece e subito dopo avere finito di mangiare montò sulla sua nuova cavalcatura e partì.
Galoppò più veloce che poté. Ammesso che fosse riuscito a superare il confine, si poneva il problema di come trovare Nihal. Non sapeva dove fosse diretta, non aveva idea di dove si trovasse il santuario e non poteva neppure fermarsi a chiedere in giro, visto che sarebbe stato in territorio nemico.