Sennar lo ringraziò, prese Nihal per un braccio e si dileguò lungo la strada che l’uomo aveva indicato.
Nihal era turbata. Dunque i sentimenti che aveva percepito provenivano dai fammin. Le sembrava impossibile. Non si trattava semplicemente di rabbia, ma anche di prostrazione e sofferenza per qualcosa di ineluttabile.
Dovettero camminare a lungo, poi le celle lasciarono il passo a una cittadella abbarbicata su un cucuzzolo. Erano case povere e tutte identiche, dominate da una tozza fortezza che era probabilmente il centro di comando di quel posto.
Presto si imbatterono in quella che sembrava una taverna; si sentivano fischi e urla provenire dall’interno. Nihal e Sennar entrarono.
Un penetrante odore di birra li investì non appena misero il naso dentro, insieme a urla e risa sguaiate. Il locale era piccolo, soffocato dal fumo di troppe pipe e stracolmo di soldati assiepati intorno ai tavoli.
Nihal sarebbe voluta uscire, ma si trattenne; del resto, se l’era davvero cercata. Sennar andò difilato da quello che doveva essere il locandiere. Il vociare era talmente alto che Nihal non sentì cosa si dicevano, si limitò a farsi guidare da Sennar.
Il mago la condusse a un tavolo appartato, sistemato in un angolo. Nihal si rifugiò sulla sedia che le sembrò più riparata, quella contro il muro, e Sennar prese posto accanto a lei.
«Le stanze sono di sopra» disse il mago. «Mangiamo, appena abbiamo finito saliamo e domani, alle prime luci dell’alba, togliamo le tende.»
Un servo portò loro una specie di brodaglia degna del rancio di una truppa di mercenari, dove galleggiavano strani filamenti su cui Nihal pensò fosse meglio non indagare; a condire il tutto, due boccali di birra, almeno quelli abbondanti, e un tozzo di pane nero.
L’atmosfera nella locanda era allegra e chiassosa. Un gruppo di soldati a un tavolo non faceva altro che brindare e ridere, levando i calici colmi di birra. Evidentemente festeggiavano qualcosa.
Nihal era disgustata da quella gente. Traditori, ecco cos’erano, un mucchio di luridi traditori rintanati in una locanda di infimo ordine. Rimpianse di non essere sul campo di battaglia. Era in territorio nemico e doveva fare buon viso a cattivo gioco. Chinò la testa sul piatto e bevve il più in fretta possibile la sua minestra.
A un tratto uno dei soldati si levò in piedi, il calice in mano. «Ehi, statemi a sentire!» urlò con la lingua impastata dall’alcol. «Maledetto chi stasera non festeggia con noi! Voi due, lì, nell’angolo, anche voi!» disse in direzione di Nihal e Sennar.
«Trattienimi» sussurrò Nihal a Sennar.
Il mago la prese in parola e senza farsi notare mise una mano sulla sua spada.
«Stasera tutti si devono dare alla pazza gioia. Le nostre truppe hanno conquistato altre due città della Terra dell’Acqua, fra breve tutta la Terra sarà nelle nostre mani! Brindiamo al Tiranno e a una sua rapida vittoria sul Mondo Emerso!»
Tutti gli astanti levarono in alto i calici urlando. Neppure Sennar poté astenersi e sollevò il suo poco convinto. Nihal non si mosse e continuò a bere la sua minestra.
«Be’? Che cosa c’è da essere tanto cupi?» chiese una voce.
Quando Nihal alzò gli occhi, si trovò a un palmo dal volto rubicondo di un soldato. Puzzava d’alcol, aveva la pelle segnata dal sole come un contadino e un sorriso beffardo e spavaldo. La mezzelfo non desiderava altro che cancellargli quel ghigno idiota dalla faccia. Tirò la testa dentro il cappuccio e distolse lo sguardo.
«Il mio amico è poco socievole» si affrettò a dire Sennar.
«Lo vedo, diamine!» sbottò l’uomo, agitando la caraffa traboccante di birra e versandone una buona dose sul pavimento. Senza indugi, prese una sedia e si sedette accanto a loro. Poi, incurante dell’occhiataccia di Sennar, avvicinò di nuovo la faccia a quella di Nihal. «Allora, amico? Che ti è successo?»
«È muto» intervenne Sennar. «E sordo» aggiunse.
Nihal continuò a mangiare.
«Proprio un peccato» commentò quello. «Una così bella festa e non se la può godere.»
Seguì un attimo di silenzio imbarazzato. Invece di andarsene, l’uomo tese una mano a Sennar. «Avaler, comandante delle truppe di stanza a Tanner, al confine con la Terra del Sole.»
Nihal ebbe un sussulto. Aveva sentito nominare quel villaggio, era vicino a dove viveva Eleusi.
«Varen, dalla Terra del Fuoco» ribatté Sennar, senza stringere la mano che l’uomo gli porgeva «mercante d’armi. Lui è Livon, il mio apprendista.»
«Però! Sei giovane per avere già un apprendista...»
«A dire il vero è la prima volta che vengo qui a vendere la mia mercanzia. Fino all’anno scorso lavoravo per uno gnomo.»
Sotto il tavolo, Sennar tese una mano a Nihal. Lei la afferrò e sentì che era gelata. Alzò gli occhi sull’amico e vide che aveva la fronte sudata.
«Si dice che gli gnomi siano i migliori armaioli» commentò l’uomo.
«Già, ho avuto un ottimo maestro.» Sennar strinse la presa sulla mano di Nihal.
«Siete fortunati, è un periodo che la guerra fila liscia. Certo, la morte di Dola è stata un brutto colpo, ma in fin dei conti non era il nostro unico bravo condottiero e ora le cose vanno molto meglio.»
Sennar abbassò la testa e riprese a mangiare.
«Dove siete diretti?» chiese Avaler.
«Devo andare da un vecchio cliente del mio maestro, mi hanno detto che vive nei pressi delle rovine di Seferdi, ma non conosco la strada.»
«Non ci sono città verso Seferdi» rispose cupo il comandante.
Nihal trattenne il respiro. Sennar aveva osato troppo.
«Ah, ma certo! Forse intendi la base di Rothaur» esclamò alla fine Avaler.
«Proprio quella, mi hai tolto le parole di bocca» ribatté Sennar.
«Non me la ricordavo perché non è proprio vicino a Seferdi, Rothaur è l’ultima roccaforte prima delle paludi. Andarci è facile: da qui dovete proseguire sempre a ovest; una volta giunti a Messar, dirigetevi a sud per un paio di miglia. La strada è agevole e si incontrano parecchi villaggi. Se siete buoni camminatori, non ci metterete più di quattro giorni.»
Parecchi villaggi... certo, è proprio la compagnia quella che ci manca.
Il soldato riprese imperterrito: «Mio padre partecipò al sacco di Seferdi».
Nihal fremette e Sennar le strinse la mano.
«Davvero?» disse il mago in tono incolore, mentre riprendeva a mangiare.
«Eccome! Mio padre fu tra i primi a mettersi sotto il potere del Tiranno. Aveva capito da subito che aria tirava, il mio vecchio.»
Nihal posò rumorosamente il cucchiaio nella ciotola e Sennar fece per alzarsi.
«Dove vai?» chiese Avaler. «La notte è giovane e bisogna festeggiare.» Costrinse Sennar a tornare a sedersi e riempì dalla caraffa il suo boccale di birra e quello di Nihal. «Questa ve la offro io, alla memoria del mio vecchio.» Si scolò il suo boccale e riprese a parlare. «Mio padre mi raccontava sempre della distruzione di Seferdi. Fu la prima volta che scesero in campo i fammin, quei maledetti. Allora però non erano ancora tanti e poi quelle sono bestie, se non c’è qualcuno che comanda non sanno neppure dove andare. Mio padre era uno di quelli che comandavano. Quand’ero piccolo mi raccontava quanto fosse bianca e grande la città. Loro arrivarono di notte, si gettarono parte sui mezzelfi e parte sul palazzo reale. Trucidarono metà della gente della città in una notte sola. Per primo uccisero il re.»
Si versò un nuovo boccale e bevve. «Brutta gente i mezzelfi, superbi. Mio padre li odiava e anch’io, ovvio. Prima che arrivasse quel maledetto di Nammen, noi della Terra della Notte eravamo a tanto così dal vincere la guerra dei Duecento Anni. E poi erano tutti dei malefici stregoni, leggevano nei pensieri della gente e facevano riti strani contro gli dèi, nei loro palazzi... Hanno avuto la fine che meritavano.»
Nihal si alzò di scatto e Sennar la seguì.
Avaler fece altrettanto e si parò innanzi a Nihal. «E diamine! Vi ho detto che è presto per andare!»
Sennar si frappose tra loro. «Lascialo stare, non ti può sentire. Però ha ragione, è tardi e oggi abbiamo camminato tanto. Credimi, è stato davvero un piacere ascoltarti, ma ora dobbiamo andare, casco dal sonno.» Si slogò quasi una mascella per imitare uno sbadiglio credibile.