Nihal fissò le fiamme che rischiaravano con un bagliore rossastro l’aria gelida della notte. Intorno a lei, la nebbia sembrava inghiottire ogni cosa.
2
Aelon o dell’imperfezione
Quando il mattino dopo Nihal e Sennar si addentrarono nella palude, furono presi dallo sconforto. La nebbia era fittissima; dovevano stare attenti a non allontanarsi l’uno dall’altra, o avrebbero rischiato di non ritrovarsi.
Mettere piede in quel posto fu come uscire dalla realtà. L’odore era nauseabondo e il terreno così impregnato d’acqua che a ogni passo affondavano fino alle caviglie. Il silenzio era rotto solo dal gracidare delle rane e dagli urli striduli dei corvi.
Nihal avanzava sempre più a fatica e rimase indietro. Sennar andò da lei e le afferrò la mano.
«Cosa...»
«Così non ci perdiamo» rispose il mago. «Se sapessimo dov’è il posto, potremmo raggiungerlo con la magia.»
«Sai fare magie del genere?»
«Sì, ma solo per viaggi brevi e per arrivare in luoghi di cui conosco l’ubicazione. Si chiama Incantesimo del Volare, anche se in realtà non si vola.»
«Non sembra male.»
Sennar sorrise. «Un giorno te lo insegnerò.»
Presto persero il senso del tempo. Intorno a loro era tutto grigio e uniforme. Era come se non avessero fatto altro che girare in tondo, ogni albero era identico all’altro, ogni pietra si assomigliava.
All’improvviso, calò il buio e fu notte. Erano in mezzo alla palude, senza la minima idea di quanta strada avessero ancora davanti. Non potevano fermarsi lì, dovevano trovare un rifugio, ma in quella pianura sarebbe stato difficile.
Nihal non sapeva dove fosse Sennar fino a quando non lo sentì avvicinarsi. Un globo luminoso si accese nella mano del mago e gli illuminò il volto; era provato e stanco, la cicatrice che Nihal aveva lasciato più di un anno prima sulla sua guancia in un attimo d’ira spiccava sul pallore del viso. Negli occhi azzurri, però, c’era una luce rassicurante.
«Non ti abbattere, troveremo una soluzione» disse Sennar. «Non possiamo dormire nel fango.»
Il mago si incamminò, preceduto dal chiarore del globo luminoso.
Vagarono per un bel po’, poi Sennar indicò una pietra che spuntava dal fango, abbastanza larga da poterci approntare un giaciglio. Si rannicchiarono sotto i mantelli, al buio, e crollarono entrambi addormentati per la stanchezza.
Il mattino dopo, la fronte di Nihal era madida di sudore e le tempie scottavano. La ferita non accennava a rimarginarsi.
«Non è niente e poi siamo vicini» si schermì Nihal.
«Non sei in condizioni di proseguire, ti sei già stancata troppo. Possiamo avvisare Laio e andare in qualche villaggio. Torneremo quando ti sarai riposata.»
Nihal scosse la testa. «Non sarò tranquilla fino a quando non avrò preso la prima pietra. Alla mia guarigione penseremo poi» disse. Fece per alzarsi, ma sentì le gambe tremare.
Sennar la costrinse a tornare a sedersi. «Fatti portare sulle spalle, almeno.»
Nihal scosse di nuovo la testa.
«Quando ti deciderai ad ammettere che non puoi cavartela sempre da sola?» sbottò Sennar. «Credi che avrei osato lasciare il Consiglio, se non fossi stato sicuro che avevi bisogno di me?»
Nihal si arrese e salì sulla schiena del mago.
Procedettero così per tutta la mattina. Sennar avanzava immerso nel fango fino alle ginocchia. Poi, finalmente, la nebbia si diradò e qualcosa apparve all’orizzonte. Dapprima Nihal credette che la febbre fosse salita al punto da provocarle un’allucinazione. Vedeva una costruzione emergere dalla nebbia, ma pareva sospesa nel nulla, come se fluttuasse. Più si avvicinavano, più sentiva che erano prossimi alla meta.
«Dev’essere quello» disse. «Forse ci siamo.»
La costruzione non sembrava distante, ma dovettero camminare a lungo prima di raggiungerla. A poco a poco, iniziarono a distinguerne la sagoma. Era un edificio squadrato, adornato da numerosi pinnacoli, del colore dell’acqua cristallina.
Arrivarono ai suoi piedi e si fermarono. Al centro della facciata si apriva una porta a sesto acuto; le mura parevano un enorme ricamo e la luce entrava e usciva da tutte quelle aperture. Ma ciò che stupiva del santuario era il materiale di cui era fatto: acqua. L’acqua dalla palude saliva a formare le mura, quindi vorticava e si avvolgeva intorno alle guglie, per poi scendere a cascata e plasmare la porta. Era acqua di ruscello, sospesa in aria a formare l’edificio.
Nihal allungò la mano verso la costruzione e le sue dita affondarono nella parete, investite dalla corrente dell’acqua. Ritrasse la mano e se la portò al volto: era bagnata.
«Che prodigio» mormorò Sennar.
La ragazza alzò gli occhi e notò che sulla porta troneggiava una scritta, in caratteri aggraziati e pieni di fregi: "Aelon". «Entriamo» disse.
Sguainò la spada e varcò per prima la soglia. Sennar la seguì, guardingo.
Anche il pavimento era d’acqua, eppure sosteneva i loro passi. L’interno era completamente vuoto. Se visto da fuori l’edificio sembrava piccolo, una volta dentro dava tutt’altra impressione. Vi era un lungo corridoio, abitato soltanto dal rumore del ruscello che riecheggiava tra le pareti. Sembrava non avere fine e il fondo si perdeva nell’oscurità.
Nihal percepì una vaga sensazione di pericolo e strinse l’elsa della spada nel pugno. Guardò il medaglione: la pietra centrale brillava nel suo alveo.
In fondo al corridoio, dove con ogni probabilità si trovava la pietra, non si vedeva nulla. Nihal avanzò e Sennar la seguì. Camminavano così, quando la mezzelfo si fermò di botto.
Sennar si guardò intorno. «Che cosa c’è?» chiese.
Nihal non rispose. Le era parso di sentire una voce o, piuttosto, una risata.
La mano di Sennar si illuminò, pronta a lanciare un incantesimo.
«Mi era sembrato...» Nihal tese di nuovo l’orecchio, ma non sentì altro che lo scorrere dell’acqua. «Ma era solo un’impressione.»
Ripresero il cammino. Lo scroscio iniziò a scemare, finché divenne impercettibile. Nihal non avrebbe saputo dire quanta strada avessero percorso nel santuario. Si fermò e abbassò la spada.
Fu allora che, d’improvviso, mille facce emersero dalle pareti liquide e si protesero verso lei e Sennar, per poi trasformarsi in corpi eterei di fanciulle. Sembravano ninfe, se non fosse stato per la luce maligna che avevano negli occhi. Sennar e Nihal si strinsero l’uno all’altra. La mezzelfo provò a colpire quegli esseri con la spada, ma erano fatti d’acqua e la lama vi affondava senza risultato.
Poi, d’un tratto, sentirono qualcosa alle loro spalle. Con la spada in pugno, Nihal si girò e vide che dal pavimento d’acqua iniziava a emergere una donna, anch’essa d’acqua. Prima il volto, e due occhi gelidi e cattivi si appuntarono su di lei, poi le spalle e il seno, infine la parte inferiore del corpo.
La donna continuò a crescere, fino a diventare gigantesca e sovrastare Nihal e Sennar con la sua mole. Era maestosa e bellissima, e dai suoi lineamenti perfetti emanava un’energia spaventosa.
La spada tremò nelle mani di Nihal.
Di colpo, nel volto della donna si aprì un taglio e si delineò un sorriso enigmatico. Rapido come si era acceso, il sorriso si spense. «Chi sei?» chiese la donna.
La risposta salì automatica alle labbra di Nihal. «Sheireen» disse con voce tremante.
«Sheireen tor anakte?»
Nihal era confusa. «Sono Sheireen, non vengo con cattive intenzioni» rispose.
La donne tacque un istante. «Consacrata a chi?» ripeté, in una lingua comprensibile a Nihal.
«Sono consacrata a Shevrar.»
La donna sembrò rasserenarsi. «Shevrar, il dio del Fuoco e della Fiamma da cui tutto è generato, ma anche il dio della Vampa che tutto estingue. Da Egli tutto viene, in Lui tutto muore. Nelle fucine dei vulcani a Lui cari, la lama che uccide viene forgiata per la guerra, ma la luce del Suo fuoco dà vita e calore a chi lo ama. Vita e morte sono in Lui, fine e principio.»