Ido guardò fuori dalla finestra. Si attendeva come minimo di vedere qualche asino volare. Ma non c’erano altro che nuvole.
«In fin dei conti hai fatto un buon lavoro con quel demonio dai capelli blu, credo tu sia la persona più indicata per questo incarico» concluse Raven.
Nella sala regnò un silenzio assoluto, finché Ido non sbottò in una sonora risata.
«La situazione è drammatica, tutt’altro che comica!» esclamò Raven. «O forse non ti senti all’altezza del compito?»
Ido si ricompose. Non era il caso di fare troppo a lungo il buffone davanti al Supremo Generale. Benché lo ritenesse un imbecille tronfio e pieno di sé, era pur sempre un suo superiore.
«Il problema non è che io mi senta all’altezza» disse lo gnomo con un sorriso ironico «quanto che tu mi reputi degno...»
«Credi che sia diventato Supremo Generale per caso? Credi che sia uno sciocco?» si inalberò Raven. «Siamo in guerra, e in una situazione difficile, te l’ho già detto. Sai bene che non ho molta fiducia in te e puoi immaginare quanto detesti offrirti questo compito, ma sei un guerriero abile e astuto, di grande esperienza, e le circostanze richiedono uomini come te. Il bene delle Terre libere viene prima di qualsiasi sciocca ripicca o dei nostri odi personali.»
Ido rimase inchiodato al suo posto, a bocca aperta, incapace di controbattere. Raven non gli sembrava più lo stesso di un tempo.
«Sarai affiancato da Parsel nella scelta dei ragazzi» riprese il Generale «e ovviamente ti verrà assegnato un alloggio all’Accademia. Se non hai altre stupidaggini da dirmi, questo è tutto. Parsel ti attende qui fuori.»
Non diede a Ido neppure il tempo di rispondere. Si voltò e uscì con l’alterigia di sempre.
Ido lasciò scornato la sala delle udienze. Era orgoglioso per quel nuovo incarico, ma irritato con se stesso per aver fatto la figura dello sciocco. La fine del mondo doveva davvero essere prossima: lui era ossessionato da un nemico qualsiasi e si faceva battere in duello, e Raven era diventato tutto d’un tratto una persona ragionevole.
Ido aveva sentito già parlare di Parsel, Nihal lo aveva nominato più di una volta. A quanto sembrava, era stato l’unico insegnante che l’avesse trattata decentemente durante la sua permanenza all’Accademia.
Il maestro era un uomo alto e dinoccolato, bruno, con due baffoni e modi piuttosto rudi. Ido ebbe difficoltà a far combaciare il tizio sgarbato che aveva davanti con l’immagine che se n’era fatto dai racconti di Nihal, ma non si stupì più di tanto. L’Accademia era piena di gente che lo guardava storto e lo trattava con sufficienza. Per questo la detestava.
Innanzitutto coloro che la frequentavano erano quasi esclusivamente ragazzini viziati, figli di tronfi guerrieri. Nihal era una rarissima eccezione, Laio una regola. Se volevi essere ammesso, tuo padre doveva come minimo essere un Cavaliere, o magari un alto dignitario di corte. I morti di fame non erano ben accetti. Come se non bastasse, erano praticamente tutti uomini. Uomini e ricchi, dunque in pratica una genia di ragazzini spocchiosi che non facevano che giudicarsi a vicenda. Certo, c’era qualche eccezione, ma fra quelle mura la maggioranza degli allievi era costituita da manichini senza cervello. Fino a quando mettevano piede in battaglia e cambiavano per sempre.
Dopo la morte di Dola, la storia di Ido era trapelata nell’ambiente militare e dunque egli era doppiamente malvisto: era un ex nemico ed era uno gnomo. Il breve percorso per i corridoi dell’Accademia assieme a Parsel gli confermò il ricordo negativo che aveva di quel luogo. Tutti coloro che incrociò lo guardarono con sospetto.
Parsel gli mostrò quello che sarebbe stato il suo alloggio per le settimane successive: una stanza piccola e spartana. La poca luce che c’era proveniva da un’unica finestrella, posta molto in alto. A Ido ricordò la cella in cui era stato rinchiuso quando si era consegnato spontaneamente al Consiglio, dopo aver ripudiato il Tiranno, e si sentì soffocare.
«Di meglio non abbiamo» fece secco Parsel.
Ido si riscosse. «È comunque più confortevole delle tende a cui sono abituato.»
Discussero brevemente dei compiti che li attendevano, poi Parsel gli diede appuntamento per il giorno successivo, quando avrebbero iniziato le selezioni, e uscì.
Non ci volle molto perché Ido ricordasse il secondo motivo per cui detestava l’Accademia. Bussarono alla porta e Malerba fece il suo ingresso zoppicando.
Ido non riusciva neppure a guardarlo. La prima volta che l’aveva incontrato era inorridito. Non conosceva la storia di quell’essere, ma bastava vederlo per capire che era uno gnomo che era stato torturato. Sotto le sue parvenze deformi, Ido intuiva quanto gli somigliasse e la rabbia rischiava di soffocarlo. Pensava al suo popolo ridotto in quelle condizioni, a laboratori pieni di gnomi usati come cavie per gli esperimenti del Tiranno. Per vent’anni, invece di proteggere il suo popolo, aveva assecondato i piani di Aster, lo aveva aiutato a torturare i suoi simili nelle segrete della Rocca. Era un pensiero intollerabile e altrettanto intollerabile era, di conseguenza, la compagnia di quell’essere.
Quando vide Ido, Malerba sorrise con la sua bocca sdentata. Forse, nella sua mente malata, sentiva che qualcosa li accomunava. «Il grande guerriero...»
Ido si voltò dall’altra parte. «Sì, sì, il grande guerriero... Fa’ quel che devi e vattene.»
Sentì la risatina di Malerba, simile a quella di un bimbo felice, e alcune parole farfugliate e senza senso. Poi l’essere gli si avvicinò e iniziò ad accarezzargli il braccio.
«Ti aspettavo... bello... bello... contento. Il grande guerriero...»
Ido si sottrasse a quel contatto. Sapeva di essere crudele, ma la vicinanza di Malerba era troppo dolorosa per lui. «D’accordo, grazie. Ma va’ via.»
Lo gnomo uscì camminando indietro come un gambero, gli occhi puntati su Ido, poi chiuse piano la porta.
Ido guardò le pareti spoglie della stanza, il letto spartano, e sentì il vociare confuso di Makrat che proveniva dalla stretta finestra. Cominciamo proprio bene...
Iniziò il suo lavoro la mattina successiva. Parsel in persona venne a svegliarlo di buon’ora.
«Credevo di trovarti già in piedi. Prima finiremo questa storia, meglio sarà» si lamentò il maestro.
È iniziata male e continua anche peggio...
Ido si vestì e si preparò in fretta. Non perse tempo neppure a mangiare, quell’acida osservazione mattutina gli aveva tolto la fame, e scese subito nell’arena.
Parsel era già lì. Da una nebbiolina acida emergevano le figure di circa trecento ragazzi, una buona metà degli studenti dell’Accademia. Erano di età e aspetto piuttosto disparati e Ido ebbe il sospetto che non fossero giovani soldati prossimi alla fine dell’addestramento, ma allievi pescati a caso nel mucchio.
«Li hai selezionati tu?» chiese a Parsel.
Il maestro scosse la testa. «I miei non sono più di una decina, gli altri sono stati scelti dai loro insegnanti.»
Ido sbuffò. Si preannunciava un lavoro lungo e noioso.
Ido e Parsel si divisero i ragazzi e iniziarono le selezioni. Si trattava di farli combattere tra loro, in modo da operare una prima scrematura. L’esame di ciascun allievo durava almeno mezz’ora e i due dovettero quindi imporsi ritmi serrati, paralizzando per altro il normale svolgimento del lavoro all’Accademia.
Il malumore circolò presto in tutto l’edificio. I maestri erano spazientiti per l’interruzione delle attività e molti degli allievi non accettavano di buon grado il giudizio dei maestri. Quando non era impegnato nelle selezioni, Ido non usciva dalla sua stanza. Quel clima pesante lo esasperava.
Del resto, neppure i suoi compiti lo rendevano entusiasta. Altro che impegno di responsabilità, altro che la prova di una rinnovata stima nei suoi confronti da parte di Raven. Era solo l’ennesima seccatura.