«A quanto pare la tua presa non è poi troppo salda...»
Dohor ansimava spaventato a un braccio da lui.
«Due a tre, ragazzo. Sembra che abbia vinto. Ma non importa. Sono magnanimo oggi, quindi direi che possiamo anche fare così: se vinci la prossima, entrerai a far parte delle mie truppe. Sei d’accordo?»
«Io...» provò a obiettare il ragazzo con uno sguardo supplice, ma Ido non gli diede il tempo di finire la frase.
«Perfetto, vedo che sei d’accordo. Sono magnanimo, però non sono stupido, quindi stavolta sarò io ad attaccare.»
Ido e Dohor si separarono ancora. Non appena Ido vide che il ragazzo era pronto al suo posto, partì alla carica. Come al suo solito, giocò di polso. Le sue gambette, che tanta ilarità suscitavano in quel branco di ragazzini viziati, erano ben salde a terra e anche la parte superiore del corpo era pressoché immobile. Solo il braccio si muoveva.
Dohor non sapeva come reagire, tentava di parare, ma la spada di Ido era rapidissima e colpiva da più direzioni. Il ragazzo ce la mise tutta, ma non fece altro che indietreggiare, finché non si ritrovò a pochi passi dalla rastrelliera posta sul fondo dell’arena. Fu preso dal panico, inciampò e cadde a terra. Di nuovo la spada di Ido puntò al suo collo.
«Serata no? Come mai uno bravo come te non ha saputo rispondere a neppure uno dei miei colpi? Che ne dici?»
Dohor, al limite delle lacrime, tacque affannato, ancora disteso a terra.
«Non c’è bisogno che sprechi altre parole, ti spiego io com’è andata. È andata che sei un soldato immaturo, è andata che ti sopravvaluti come un idiota. È andata che forse potresti anche avere talento, se non fossi così borioso e sicuro di te. Hai ancora molto da imparare sulla tecnica della spada, figurarsi sulla guerra. Invece di frignare perché non ti ho preso con me, ringraziami, perché ti ho salvato la vita. In battaglia non saresti durato il tempo di questo duello.»
Ido rinfoderò la spada e tornò nel refettorio, nel silenzio generale, rotto soltanto dai singhiozzi di rabbia e vergogna di Dohor.
Dopo l’episodio nell’arena, il clima all’Accademia cambiò radicalmente. I ragazzi guardavano Ido con timore, i maestri lo evitavano. Non era esattamente quel che lo gnomo aveva sperato, ma il timore era comunque meglio dello scherno, così si accontentò del risultato ottenuto.
La sua impresa di quella sera ebbe però anche alcuni sgradevoli effetti collaterali. Ido se ne accorse il giorno in cui iniziò la seconda fase delle selezioni, durante la quale ciascuno degli allievi scelti era chiamato a combattere con il maestro.
Lo gnomo fece il suo ingresso nell’arena in tenuta da battaglia, con la lunga spada che gli pendeva al fianco. Gli allievi erano già schierati, un’ottantina in tutto. Regnava un silenzio assoluto e Ido se ne meravigliò. Scorse rapidamente i volti lì assiepati e vide solo sguardi impauriti.
Cominciò col presentare la prova e si dilungò in qualche chiacchiera inutile, ma continuava a sentirsi a disagio, fra tutti quegli occhi che lo scrutavano allarmati. Alla fine decise che era tempo di tagliare corto.
«Tu, in prima fila, cominciamo con te.»
«Io?» rispose il giovane perplesso.
«Non mi sembra di essere strabico, quindi sì, tu.»
Ido aveva scelto un allievo piuttosto esperto. Era un ragazzo grandicello, bruno e scuro di carnagione, che gli era sembrato promettente. Si era detto che fosse il caso di cominciare con uno bravo, per rompere il ghiaccio.
Il ragazzo avanzò verso di lui con passo insicuro. Sotto il colore brunastro della sua pelle, si notava un evidente pallore.
Ido era indeciso sul da farsi. «In guardia» disse secco.
Il ragazzo obbedì poco convinto.
Lo gnomo iniziò ad attaccare e l’allievo sembrò essere finito nel pallone. Movimenti scoordinati, colpi imprecisi e fuori tempo, un campionario dell’incapacità nella scherma, finché la sua spada volò via dopo pochi assalti.
«Be’?» esclamò Ido, spiazzato.
Il ragazzo rimase al centro dell’arena con le braccia lungo i fianchi. Aveva lo sguardo terrorizzato. «Perdonatemi... io...»
Ido poteva fiutare la sua paura anche a quella distanza. Sentiva perfino il battito esasperato del suo cuore. Iniziò a capire. «Va bene, come se nulla fosse successo. Sei agitato. Mi rendo conto...» In verità, non se ne capacitava, ma insistere nel ruolo del maestro intransigente non l’avrebbe portato da nessuna parte. «Prima che mi veniate davanti a uno a uno bianchi come cenci, mettiamo in chiaro un paio di cose. Io non sono qui per mangiare nessuno, né per umiliarvi. Dimenticate gli episodi a cui avete assistito in questi giorni. È ovvio che non mi attendo che mi battiate. Ed è altrettanto ovvio che non sono qui per battervi. State calmi e fate del vostro meglio. Va bene?»
Il "sì" di quell’ottantina di ragazzi fu quasi impercettibile.
Ido sbuffò. Che razza di compito mi hanno assegnato... «Forza, riprendi la tua spada e attaccami. Io sono qui.»
Il ragazzo si fece coraggio, riafferrò la spada e provò ad attaccare. Ido per parte sua non fece praticamente nulla. Si limitò a parare, senza neppure troppa convinzione, colpo su colpo. Dopo una decina di minuti di un duello inutile e noioso, abbassò l’arma.
«È stato così terribile?» chiese con un sorriso forzato.
Il ragazzo sembrò apprezzare il tentativo e con un timido sorriso di comprensione disse un "no" che sapeva tanto di sospiro di sollievo.
«Perfetto. Il prossimo.»
Nessuno si mosse.
«Il prossimo, ho detto» ripeté in tono più autoritario.
Subito si fece avanti un biondino magrolino ma molto tenace; Ido lo aveva già notato durante la prima fase delle selezioni. Non era un grande spadaccino, ma un ottimo guerriero, infiammato dall’ardore e dalla determinazione.
Il ragazzo assunse un’aria concentrata e si mise in posizione di attacco. Ido sorrise; finalmente aveva davanti qualcuno consapevole di quello che faceva. Iniziò a duellare con piacere, orgoglioso del suo ruolo di insegnante.
Le selezioni richiesero all’incirca tre giorni e alla fine Ido si ritrovò con il suo manipolo di giovani reclute, centoventi ragazzi in tutto, meno della metà del gruppo iniziale.
Quando per la prima volta li vide schierati, si sentì prendere dallo sconforto. Aveva due settimane per fare di quei ragazzi dei guerrieri e il compito gli sembrava improbo. Con Nihal ci aveva impiegato mesi. Era vero che in quel caso si trattava di addestrare un Cavaliere, ma era anche vero che la mezzelfo era assai dotata. Qui invece aveva un gruppo di ragazzini con una propensione alle armi appena passabile.
Parsel parve leggergli nel pensiero. «Non devono diventare il corpo più forte dell’esercito. Solo buoni guerrieri che aiutino le truppe d’assalto» gli disse.
Ido sospirò.
Per l’addestramento, lo gnomo esigette che i ragazzi abbandonassero l’Accademia e si sistemassero in un accampamento nella Terra dell’Acqua. La cosa fu fonte di una lunga e sfibrante discussione con Raven.
Il Supremo Generale piantò parecchie grane, brontolò e disse che i ragazzi erano comunque allievi e dunque il loro posto era lì, in Accademia.
«Devono diventare guerrieri, devono imparare ad avere familiarità con certi spettacoli. Sul fronte avranno modo di assaporare l’aria che si respira in guerra, così non si troveranno impreparati il giorno dell’attacco» replicò Ido.
«Tu vuoi semplicemente andartene» rispose Raven. «Non sopporti questo posto, lo so, e non vedi l’ora di levare le tende. È questo l’unico motivo.»
«E l’unico motivo per cui tu fai tutte queste storie è che vuoi mettermi i bastoni fra le ruote.»
Dovette intervenire Parsel, che inaspettatamente appoggiò l’idea di Ido. Solo così lo gnomo ebbe il via libera e poté finalmente lasciare l’Accademia.