Parsel rimase in silenzio.
«Non lo credi possibile?»
«Resta il fatto che hai un punto cieco più ampio di un uomo normale. È un problema che non puoi risolvere» rispose il maestro.
«Da quando in qua si combatte solo con gli occhi? Ci sono l’udito, l’olfatto, il tatto... imparerò a usarli e sarà come avere occhi dappertutto, sulla schiena, sulla punta delle dita... Ma non posso farlo da solo. Ho bisogno del tuo aiuto. Credi di poter trovare il tempo per aiutarmi nell’addestramento?»
«Io...» iniziò Parsel titubante.
«Noi non siamo amici, lo so. E so anche che in passato hai disapprovato il mio comportamento. Ma ci uniscono tutti quei giovani che sono morti per causa mia.» Ido si interruppe e lo fissò. «Ti chiedo di farlo per loro. Aiutami a rimediare al mio errore.»
Parsel non rispose, tenne lo sguardo basso e fece scorrere il dito sul bordo del calice, a lungo. Ido pendeva dalle sue labbra.
«Allora?» sbottò alla fine.
«E sia» capitolò Parsel. «Sei un grande guerriero, lo so, e la tua perdita sarebbe grave per l’esercito. Potrò aiutarti solo di notte, di giorno sono occupato in Accademia.»
Ido buttò giù in un solo sorso la sua birra. «Devo imparare a vedere con tutto il corpo, il buio mi sarà d’aiuto.»
30
IL RITORNO
Ido trovò una piccola casa dentro le mura di Makrat. Non era confortevole come quella dove viveva Soana, ma per le sue abitudini spartane andava più che bene. Il tempo della consolazione era finito, ora iniziava una nuova fase della sua vita nella quale avrebbe dovuto contare solo sulle proprie forze.
Scoprì presto che vivere da civile gli pesava più di quanto avesse creduto. Le giornate, trascorse in giro per la città o a fissare il soffitto della sua stanza, erano tutte identiche e mortalmente noiose. Poi scendeva la sera e Ido tornava a respirare. Si incontrava con Parsel in un bosco poco discosto da Makrat, dove si allenavano per tutta la notte.
All’inizio fu dura. Era come se il mondo si muovesse troppo in fretta per lui, come se lo spazio che lo circondava fosse pieno di esseri invisibili. Era incredibile quanto la forza dell’abitudine avesse ottenebrato i suoi sensi.
Nella prima fase dell’allenamento si bendò anche l’occhio sano. Era il modo migliore per sviluppare udito e tatto. Le prime settimane gli esiti non furono incoraggianti e spesso tornava a casa con qualche ferita superficiale, ma presto la lunga frequentazione dei campi di battaglia diede i suoi frutti. Ido si abituò a distinguere i rumori e la loro provenienza, a percepire lo spazio che lo circondava affidandosi al suono del vento fra i rami, a intuire la direzione dei colpi dal fruscio della spada nell’aria e dallo scricchiolio dei passi sulle foglie secche. Gli pareva di essere tornato ragazzo, di avere ritrovato un entusiasmo che gli era sconosciuto da tempo. Migliorava notte dopo notte e, benché non fosse ancora in grado di battere Parsel, sentiva di essere prossimo alla meta.
All’inizio dell’autunno, quando gli parve di essere a buon punto con l’addestramento, decise che poteva permettersi qualche giorno di riposo. Era giunto il momento di recarsi da Reis.
Aveva saputo da Soana che la maga viveva nella Terra dell’Acqua, alle cascate di Naël, nella zona che aveva resistito alle armate del Tiranno, e si era fatto spiegare con dovizia di particolari dove si trovasse la casupola.
Arrivò da Reis in una giornata grigia e cupa. Nonostante le indicazioni di Soana, lo gnomo dovette passare e ripassare sotto la cascata e bagnarsi fino al midollo, prima di capire dove fosse la capanna, ma alla fine riuscì a individuarla.
Era una squallida catapecchia e Ido fu stupito che una maga così potente, la donna che aveva svelato a Nihal la chiave per salvare il Mondo Emerso, vivesse in un tugurio simile. Titubante, bussò alla porta, ma nessuno gli rispose. Appoggiò la mano alla maniglia e si accorse che l’uscio era socchiuso.
Quando entrò, il tanfo di muffa e di erbe stantie lo prese alla gola. L’interno della casupola gli parve ancora più squallido dell’esterno. A una prima occhiata, sembrava l’antro di una strega, più che di una maga; i libri che giacevano aperti a terra, fitti di rune che avevano un che di malvagio, dovevano essere zeppi di formule proibite.
Belle amicizie che ha Soana...
«Chi è?» chiese allarmata una voce gracchiante.
Ido sussultò. «Il Cavaliere di Drago Ido, un amico di Soana.»
Si fece avanti una figura avvizzita, una vecchia che pareva ripiegata su se stessa. Era uno gnomo, indubbiamente, ma era molto più bassa di Ido, di una statura quasi innaturale. Sembrava che la terra la stesse divorando a poco a poco. Il suo volto era deturpato dalle rughe, gli occhi colorati soltanto da un cerchio biancastro. Aveva capelli lunghissimi, che strisciavano a terra come un tappeto.
La vecchia appuntò i suoi occhi sullo gnomo e lo scrutò a lungo. «Il Cavaliere gnomo...» disse alla fine. «Il maestro di Sheireen... Non avevo percepito che saresti venuto. Che cosa vuoi?»
Ido sentì di detestare quel luogo marcescente e quella vecchia dai modi sgarbati. «Sono qui per chiederti informazioni.»
«Una maga non sa nulla che possa interessare un guerriero.»
Ido la guardò meglio; in passato doveva essere stata molto bella, ma sembrava che quella bellezza fosse avvizzita, come i mazzi di erbe che pendevano nell’aria irrespirabile della capanna.
«Sono qui per chiederti di Deinoforo, il Cavaliere dall’armatura rossa.»
Reis ebbe un fremito. La maga Soana aveva detto il vero, dunque.
«Non conosco nessuno con quel nome.»
«Invece sì. E non me ne andrò da qui finché non mi avrai detto quello che sai. Ho combattuto contro di lui qualche mese fa» aggiunse Ido. «Questo» si toccò l’occhio sinistro «è opera sua.
Voglio sapere chi è.»
Reis piantò gli occhi biancastri sul viso di Ido e lo gnomo capì che anche lei, come lui, in quel momento pensava a Nihal. Si fissarono per qualche istante e Ido ebbe l’inquietante sensazione che la maga cercasse di rivendicare un oscuro privilegio sull’anima della sua allieva.
Poi Reis sorrise, un sorriso maligno. «Siediti» disse secca.
Ido si accomodò su una sedia polverosa. La vecchia prese posto su uno scanno, dietro un tavolo ingombro di pergamene ed erbe curative. Al centro, c’era un piccolo braciere colmo di cenere.
«Il nome Debar ti dice niente?» chiese Reis.
All’udire quel nome, lo gnomo sentì montare una rabbia antica. Quando l’aveva conosciuto, Debar era un ragazzo simpatico e promettente; bruno, con gli occhi chiari, aveva militato nelle truppe di Ido e per un po’ lui l’aveva preso sotto la sua ala protettiva, fino a quando Debar non era salito di grado e aveva fatto una rapida carriera nell’esercito. Poi però la sua famiglia era stata accusata di tradimento, sulla base di una manciata di prove. I suoi genitori erano stati linciati, sua sorella violentata; Debar era sfuggito ai suoi accusatori, ma era gravemente ferito e in fin di vita. Quando Ido l’aveva saputo, aveva cercato di rimediare a quella che gli sembrava un’imperdonabile ingiustizia, ma era stato troppo tardi.
«Mi ricordo perfettamente di lui» disse in tono cupo. «La sua morte pesa sulla coscienza degli uomini delle Terre libere.»
«Debar non è morto» spiegò Reis con voce aspra e risentita. «Debar è Deinoforo.»
Ido raggelò. Non gli sembrava possibile. Non riusciva a conciliare l’immagine pacifica di quel ragazzino con il guerriero spietato contro il quale aveva combattuto. «Stai mentendo» disse con un filo di voce. «Come puoi sostenere un’idiozia simile?»
La vecchia ebbe un nuovo tremito e tacque per un po’. «Molti anni fa» proseguì poi «prima di scoprire la verità su Sheireen e trovare il medaglione, fui catturata da un Cavaliere di Drago Nero e condotta alla Rocca. Viaggiavamo da soli, una sera lo vidi senza elmo e riconobbi il volto di Debar. Quel Cavaliere, come ormai avrai capito, era Deinoforo.»