Soana scosse la testa. «Il suo odio è genuino. Reis non finge e non ci venderebbe mai al nemico. Il problema è un altro. È accecata dal suo rancore, è disposta a tutto pur di abbattere il Tiranno.»
A quel punto, a mezza voce, Soana rivelò a Ido ciò che la maga aveva fatto a Nihal, gli incubi che le aveva inviato. Lo gnomo strinse i pugni con rabbia.
«È questo ciò che intendo. Ero contraria a che Nihal la incontrasse ed ero contraria al viaggio, ma Reis aveva architettato tutto nei minimi dettagli. Non possiamo fare altro che assecondare ciò che ha deciso per noi.»
«Maledetta...» sibilò Ido.
«In ogni caso» riprese Soana «la nostra ultima speranza è legata a lei. Forse anche dal suo odio può nascere qualcosa di buono.»
Le settimane passarono rapide e presto iniziò a fare freddo. Ido si allenava ogni giorno, sotto la pioggia e sotto il sole, e le cose andavano sempre meglio. Era tornato quello di un tempo. L’aveva capito quando, per la prima volta, aveva sconfitto Parsel. Ormai erano rare le occasioni in cui il maestro riusciva a superarlo. Ido si sentiva pronto. Decise allora che era tempo di riforgiare anche la sua spada.
La portò da un armaiolo di Makrat, un tizio che pareva avere più muscoli che cervello. «Secondo me non vale la pena di aggiustarla» disse l’uomo, dopo avere guardato la lama con occhio clinico. «Ti verrebbe a costare più che ricomprarla.»
«Non mi interessa quanto ci vorrà e sono disposto a pagarti quello che mi chiederai. Falla tornare come nuova» rispose Ido.
L’armaiolo non doveva essere molto intelligente, ma il suo lavoro lo sapeva fare egregiamente. In capo a una settimana, la spada di Ido era davvero tornata come nuova.
Quando lo gnomo la prese in mano, si sentì quello di un tempo. Andò subito da Soana, che impose all’arma lo stesso incantesimo che aveva usato sulla vecchia spada.
Ora Ido avrebbe potuto affrontare Raven e riprendersi il posto che gli spettava.
Lo gnomo entrò in Accademia vestito di tutto punto, con l’armatura e la spada, e chiese di essere ricevuto. Nella sala, le guardie lo guardarono con stupore.
Stranamente, Raven non si fece attendere e si presentò a Ido in una veste ancora più sobria di quella che aveva indossato nelle ultime occasioni. Per la prima volta in vita sua, Ido si prostrò a terra e rimase inginocchiato innanzi a lui, facendogli atto d’obbedienza.
Raven dovette esserne stupito, perché Ido sentì i suoi passi fermarsi all’improvviso.
«Alzati pure» disse infine il Supremo Generale, e Ido obbedì.
Quando lo gnomo sollevò lo sguardo, Raven era seduto nel suo scanno, imperturbabile come al suo solito.
«Ebbene?»
Ido chinò il capo. «Chiedo di essere riammesso in servizio.»
«Mi pare di averti dimostrato che non ci sono le condizioni perché ciò possa avvenire.»
«Dimenticati di quello smidollato che si è messo a piagnucolare nel bel mezzo della tua sala» disse Ido, sempre a capo chino. «È morto e sepolto. Mi sono allenato, ho faticato in questi mesi e sento di essere tornato quello di un tempo. L’errore che ho commesso nei confronti dei miei uomini è stato imperdonabile, e il minimo che potessi fare era congedarmi. Apprezzo che tu mi abbia lasciato una porta aperta.»
«Credi che questa falsa deferenza basterà a farmi tornare sui miei passi?»
Finalmente Ido alzò il capo e lo guardò dritto negli occhi. «La mia non è falsa deferenza. Dovresti conoscermi abbastanza per averlo capito. Io non mi sono mai umiliato, per nessuna ragione, e non lo faccio certo adesso.»
Raven e Ido si fissarono per qualche secondo.
«Non posso affidarti un manipolo di uomini» disse infine il Supremo Generale.
«Lo capisco perfettamente.»
«Non è crudeltà, ma il tuo errore è stato grave.»
«Ti chiedo solo di lasciare che torni a combattere. Sai che sono un ottimo guerriero e sai altrettanto bene che la perdita di un occhio non può avere pregiudicato le mie capacità.»
«Sei stato sconfitto in questa sala, da me.»
«Mi sono allenato, puoi chiedere a Parsel, che mi ha aiutato. Dammi un’altra possibilità e non ti deluderò.»
Raven rimase in silenzio per qualche istante. «Andrai nella Terra del Sole, sotto il generale Londal. È una prova, Ido, soltanto una prova. Se non la supererai, non avrai altre opportunità.»
Ido si prostrò ancora. «Ti ringrazio» mormorò.
Raven avanzò verso di lui. «Sono costretto ad ammettere che conosco il tuo valore. Oggi me ne hai dato prova» sussurrò.
Poi girò i tacchi e uscì dalla sala.
Il fronte innanzi a sé. Vesa che fremeva sotto le sue gambe. In mano, la spada. Al posto della pioggia dell’ultima volta che era sceso in battaglia, c’era una nebbiolina insidiosa. Ido non cercò Deinoforo. L’avrebbe incontrato, lo sapeva, e quel giorno avrebbero chiuso i conti in sospeso una volta per tutte. Era nelle retrovie, ma non aveva importanza. Ciò che contava era essere lì per ricominciare, per poter dire di essere nato una seconda volta.
Chiuse gli occhi e vide i volti dei suoi uomini. C’erano anche loro, ora, a chiedere riscatto, e non li avrebbe delusi. Il cuore batteva calmo, la mente era concentrata.
L’urlo dell’attacco non lo colse di sorpresa. Vesa spalancò le sue immense ali e Ido sentì l’aria fredda investirgli il viso. Il primo nemico gli arrivò di fronte e lo gnomo non ebbe alcuna difficoltà ad abbatterlo. Poi, un lieve fruscio, un impercettibile spostamento d’aria. Si girò e colpì l’avversario che stava per attaccarlo alle spalle.
Sì, era tutto come prima.
31
LA CANZONE DELLA CITTÀ MORTA
Nihal e Sennar si fermarono per una breve sosta e la mezzelfo interrogò il talismano sulla direzione da prendere. Ogni volta che lo traeva fuori dal corpetto, le sembrava che luccicasse più vivido. I colori delle pietre erano più accesi e illuminavano il buio della notte. Il potere dell’amuleto era aumentato, Nihal lo sentiva.
Chiuse gli occhi e la visione fu nitida come non lo era mai stata. Ciò che vide la lasciò senza parole. Era un bosco, o almeno a prima vista così sembrava, ma la vegetazione era di un colore strano, della terra o delle rocce. Nihal si concentrò di più: era una foresta pietrificata. C’erano cespugli, alberi, foglie, perfino qualche fiore, tutto di pietra.
Quando aprì gli occhi, parte della visione doveva essere rimasta nelle sue pupille, perché Sennar la guardava stupito.
«Cos’hai visto?» chiese.
«Qualcosa di straordinario» rispose, quindi gli disse della foresta pietrificata. Anche la direzione da prendere era chiara: verso nord.
Si spostavano solo di notte, ma più di una volta rischiarono di imbattersi in gruppi di fammin sulle loro tracce. Dunque la voce del loro ingresso nei territori occupati era giunta fin lì.
Per i primi due giorni il panorama non fu molto diverso da quello che avevano abbandonato. Non c’erano più vulcani imponenti, ma la terra era martoriata da centinaia di crateri inattivi. Il fuoco che si erano lasciati alle spalle alitava il suo soffio distruttore verso quella regione.
Il terzo giorno videro in lontananza una linea scura segnare l’orizzonte, che ricordò a entrambi il giorno della distruzione di Salazar, l’esercito che marciava contro la torre. Temettero che potesse trattarsi di insediamenti o valli fortificati. Quando furono più vicini scoprirono che era qualcosa di ben più imponente.
Erano montagne, nere e aguzze, che si elevavano maestose verso il cielo. A Nihal tornarono alla memoria alcune parole dette da Livon, molto tempo addietro. Ricordò suo padre intento a lavorare un blocco nero e lei al suo fianco, che come al solito ne spiava i gesti.
«Questo è cristallo nero, il materiale più resistente che esista al mondo. La Rocca stessa è fatta di questa sostanza» aveva detto Livon, mentre batteva con il maglio sul blocco nero posato sull’incudine. «Me l’ha dato di contrabbando uno gnomo che conosco. Il cristallo nero si trova solo nella Terra delle Rocce.»