A ogni nuovo colpo, dall’incudine si sollevavano migliaia di scintille. «Ci sono montagne immense, laggiù. Sono nere e splendono al sole come brillanti. Tra la roccia semplice infatti si insinua il cristallo nero, che dà loro quel colore.»
«Tu le hai mai viste?»
«Da giovane. All’epoca la Terra delle Rocce non era tutta in mano al Tiranno e andai fin laggiù proprio per cercare il cristallo nero, per il mio maestro. Le montagne sono immense, una muraglia nera contro il cielo. Quando le vedi rimani senza fiato. Chissà che un giorno anche tu non possa arrivare fin lì.»
C’era arrivata infine, e le aveva viste. Si stagliavano lucenti contro il grigio del cielo all’alba. Rischiarate da un tenue chiarore, brillavano debolmente.
Quando iniziarono a costeggiarle, scoprirono che nemmeno quel luogo era stato risparmiato. Erano stati scavati numerosi tunnel, dai quali uscivano gnomi incatenati che trascinavano carrelli colmi di cristallo nero. Anche la popolazione di quel luogo era stata ridotta in schiavitù, come quella della Terra del Fuoco, ed estraeva il prezioso cristallo con cui venivano forgiate le armi del nemico.
Nihal e Sennar costeggiarono le montagne tenendosi il più possibile lontani dalle miniere. I nemici continuavano a braccarli. Più di una volta dovettero cambiare strada o restare nascosti a lungo per non essere scovati da pattuglie di fammin e gnomi.
A mano a mano che procedevano, avevano modo di vedere con quanta crudeltà fosse stata perpetrata l’opera di distruzione di quei monti: completamente scavati nell’interno, non erano ormai che pareti rocciose in bilico sul vuoto.
Quando si inoltrarono in una zona ingombra di detriti dovuti agli scavi, notarono qualcosa di curioso. Fra la polvere e i blocchi di pietra c’erano macerie che sembravano resti di abitazioni: frammenti di pavimenti, porte, qua e là qualche pezzo di muro ancora in piedi. Tutto era fatto interamente di roccia.
Alla fine decisero che era più conveniente salire sulle montagne. I pendii che davano verso valle erano sfruttati per l’estrazione del cristallo nero e dunque la zona era piena di nemici. Superati i primi contrafforti, la solitudine divenne la loro compagna di viaggio e le voci, il tramestio, le urla e i lamenti provenienti dalle miniere si stemperarono nella quiete delle montagne. Così poterono camminare anche di giorno.
Procedettero sui monti a lungo, mantenendosi a bassa quota, ma lontani dalle pendici più sfruttate per l’estrazione. Fu così che si imbatterono nel fiore segreto di quella Terra.
Stavano percorrendo una lunga gola incassata fra due montagne, larga non più di un paio di braccia e disagevole perché ingombra di massi franati dalla parete di roccia che li sovrastava minacciosa. D’improvviso, sbucarono in una valle, nella quale sgorgava una piccola cascata di acqua limpida. La valle era circondata da monti elevati che la chiudevano in un circolo. Nihal e Sennar alzarono gli occhi e compresero infine l’origine delle macerie che avevano incontrato durante il viaggio.
Le cime dei monti ospitavano delle città, ma gli edifici non erano stati costruiti sulla roccia. Erano le cime stesse dei monti a essere state scolpite a foggia di abitazioni.
Nei tempi d’oro, dunque, gli gnomi vivevano sui monti, in quelle città dure ed eterne come la roccia. Ora invece il silenzio era palpabile e parlava con la sua lingua muta dell’abbandono di quelle costruzioni. Molte infatti mostravano i segni del tempo e dell’incuria. Le case più alte erano diroccate o erose dal vento, sgretolate. Le guglie che le adornavano non erano più aguzze, i contorni apparivano smussati, le sagome deformate dall’opera incessante del vento.
Sennar ricordò di aver già visto costruzioni del genere alle Vanerie, ma allora non aveva capito che cosa fossero. Ora invece comprendeva che erano la copia di un modello grandioso, dell’opera eretta nei secoli dalle mani di un popolo operoso.
Nihal e Sennar non seppero trattenersi. Muti per lo stupore, ascesero una delle vette e visitarono la città di roccia. Era un intrico di case addossate le une alle altre, di vicoli stretti e tortuosi, di porte che si aprivano ovunque. Tutto era fermo, immobile. Più che abbandonata, la città sembrava fossilizzata, come se qualche mago vi avesse scagliato un’oscura maledizione. Iniziò a scendere una pioggerellina triste, fitta e incessante, e subito la polvere sulle strade si fece fango e parve che tutte le costruzioni, già corrose dal vento, si sciogliessero nell’acqua. Ma Nihal e Sennar non si fermarono e continuarono la loro visita.
Non c’erano segni di devastazione come a Seferdi. Tutto era in ordine, perfetto, né sangue né cadaveri. Non era stata la furia degli uomini a rendere deserto quel luogo, ma l’opera silente e incessante del tempo. In ogni angolo si indovinava l’ingegnosità dei costruttori della città. Nelle case c’erano tubi che portavano l’acqua fin dentro le mura. C’erano terme e strani sistemi di riscaldamento, con intercapedini che correvano lungo i muri e in cui passava il calore. Gli gnomi, che ora erano schiavi, un tempo dovevano essere stati ricchi e felici.
Nihal e Sennar girarono per le strade della città, mentre la pioggia, preludio di un autunno precoce, lavava la pietra sotto i loro occhi. Salirono sulla rocca, fino al palazzo reale, desolatamente vuoto. Solo il rumore delle gocce sulla pietra rompeva un silenzio irreale. E altrettanto irreale parve loro quel che scorsero d’un tratto all’angolo di una strada.
Sotto la pioggia, seduta su una sedia, c’era una vecchia. Si dondolava avanti e indietro e canticchiava, incurante di tutto. Era minuta e portava una veste di lino verde, piena di strappi e di macchie. Nihal le si avvicinò, ma la donna non sembrò prestarle attenzione e continuò a cantare, mentre i suoi lunghi capelli ingialliti si inzuppavano. Sembrava una vecchia bambola malridotta.
Nihal la toccò sulla spalla con delicatezza e lei trasalì; la guardò con uno sguardo vuoto.
«È già ora di mangiare?» chiese con un sorriso. «È finito presto oggi il mercato.» Riprese a cantare.
«Sei sola qui?» chiese Sennar.
«Oh, no. Non sono sola. C’è la mia gente dentro, la mia famiglia...»
Nihal gettò uno sguardo all’interno e vide un tugurio ingombro di ogni genere di rifiuti, maleodorante e buio. Non c’era anima viva.
«Le stagioni non sono più quelle di un tempo...» sospirò la vecchia. «Sarà per questo che il mercato è finito presto.»
«Non c’è nessuno...» sussurrò Nihal a Sennar.
«È da molto che sei qui sola?» chiese Sennar guardandola con dolcezza.
La vecchia continuò a dondolarsi. «Io non sono sola, dentro ci sono i miei... È già ora di mangiare?» ripeté, mentre rivolgeva al mago uno sguardo infantile.
Sennar guardò a terra, poi si voltò verso Nihal. «Abbiamo provviste a sufficienza?»
Nihal controllò nella sua sacca.
«I bambini oggi non fanno confusione» continuò la vecchia. «Di solito fanno tanto rumore e io non posso riposare... Che ci vuoi fare? Sono piccoli, devono godersi la vita. Siete stranieri?» chiese a Sennar.
«Sì» rispose lui.
Nihal aveva tirato fuori dalla sacca un tozzo di pane. «Questo glielo possiamo dare.»
«Andate a vedere il palazzo reale, sulla vetta. È stupendo» continuò la vecchia. «A mezzogiorno il re fa suonare la campana. La città si ferma e tutti vanno a mangiare. È già ora di mangiare?»
Sennar le allungò il pane. «Sì, è ora di mangiare» disse piano.
«Gran re, il nostro re, buono e magnanimo. Ha fatto costruire nuovi canali, nuovi bacini per l’acqua, e tutti hanno di che mangiare e di che vivere. Sia onore a Ler della Terra delle Rocce e che lungo possa essere il suo regno.» La vecchia addentò il pane con avidità, strappandone grossi pezzi.
Nihal e Sennar si allontanarono, mentre la donna ricominciava a cantare.
«Come credi abbia fatto a sopravvivere lì da sola?» chiese Nihal.