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Mentre si rialzava, vide che le due colonne a poco a poco si trasformavano in due uomini giganteschi, le cui teste sfioravano il soffitto. La loro forma era rozza, appena sbozzata, e le loro proporzioni mostruose, le gambe corte e tozze, le braccia innaturalmente lunghe, le mani gigantesche. Sulla fronte di entrambi vi era qualcosa, un’incisione o una scritta. Nihal indietreggiò e la spada le tremò fra le mani.

Non ora... non ora...

«Siete voi i guardiani?»

In tutta risposta uno dei giganti cercò di colpirla e Nihal fece appena in tempo a schivarlo. Quando l’essere alzò il suo pugno smisurato, al suo posto c’era un cratere. Nihal sentì una risata e una figura che ricordava un satiro apparve sopra l’altare.

«Sono io il guardiano.»

Era impossibile stabilirne l’età o il sesso; era alto poco più di un braccio, indossava una corta tunica marrone e aveva gli occhi di un blu crudele.

«Io sono qui per la pietra» disse Nihal, mentre cercava di ricomporsi.

«So perché sei qui» ribatté quello in tono annoiato. «Per questo ho chiamato i miei amici.»

Nihal non capiva, percepiva soltanto una vaga minaccia provenire da quell’essere. «Ho preso le altre pietre, vedi?» insistette mostrando l’amuleto. «Mi servono per battere il Tiranno.»

«Non mi interessa quante pietre hai preso, né chi te le ha date» replicò il guardiano. «Per avere questa devi batterti con i miei amici.» Uno dei giganti si fece avanti.

Nihal indietreggiò. «Che significa?»

Il satiro balzò dall’altare e si piazzò innanzi a lei, gli occhi blu puntati in quelli viola della mezzelfo. Aveva fra le mani un lungo bastone nodoso che terminava con una sfera luminosa. Sorrise, il sorriso di un bambino dispettoso. «Da secoli... che dico, da millenni, la pietra che cerchi è custodita in questo luogo, e da millenni è stata concessa solo a chi ne è stato degno ed è riuscito a battere i giganti. Se davvero la vuoi, non ti resta che combattere.» Sorrise ancora e fece una mezza capriola.

Quell’essere non assomigliava affatto ai guardiani precedenti. Nihal non riusciva a decifrarlo. La stava prendendo in giro?

Più i minuti passavano, più lei temeva per la sorte di Sennar. «Saprai di certo che altri guardiani mi hanno concesso la pietra. Questo non basta a convincerti che sono la persona giusta?» chiese.

Tareph scrollò le spalle. «A me non interessa, la mia pietra non è come le altre. Te la devi guadagnare.» Fece una risatina, spiccò un balzo e fu di nuovo in piedi sull’altare. Quindi mosse il suo bastone e uno dei giganti si fece sotto a Nihal.

«Non ho tempo, non posso stare qui a lungo!» urlò lei. «Un mio amico sta rischiando la vita per me!» Schivò un pugno.

«Oh, a me non interessa» disse il satiro con un mugolio annoiato. «È da tanto tempo che me ne sto rinchiuso qui, la noia è mortale. Divertimi, avanti!»

Il gigante avanzò a grandi passi, ma Nihal cercava solo di evitarlo. Alla fine capì che non avrebbe mai convinto il guardiano a esimerla da quello scontro. Tutto ciò che voleva era prendersi gioco di lei, farsi quattro risate e trattarla come una marionetta. Non aveva alcuna intenzione di valutare le sue capacità, quella non era una vera prova, il satiro voleva solo divertirsi.

Nihal allungò un primo colpo di spada sulla creatura che la stava attaccando, ma forse non fu abbastanza forte o fu male assestato, perché non ebbe alcun effetto.

«Uno a zero per me!» urlò il guardiano. Fece un cenno all’altro gigante, che subentrò al primo.

Nihal si voltò e cercò di parare i colpi con la spada, ma era inutile. Quei giganti erano incommensurabilmente più forti di lei e la sua arma non poteva nulla contro di loro. Inoltre non riusciva a concentrarsi, pensava al tempo che stava sprecando lì dentro, a Sennar solo contro i nemici.

D’improvviso, un braccio del gigante la colpì in pieno e la mandò a sbattere con violenza contro il muro. Per un istante Nihal non vide altro che buio. Quando rinvenne, Tareph era a cavallo del colosso, e avanzava impettito verso di lei.

«Ma così non posso saggiare la tua forza» disse con un risata stridula. «Così è troppo facile. Impegnati!»

La raggiunse un nuovo colpo, che la mezzelfo però evitò rotolando di lato.

«Ti dico un segreto» ghignò allora il guardiano, mentre il gigante si preparava a colpire. «Questi sono due golem, li ho creati io. La scritta sulla loro fronte significa "vita" e finché sarà lì vergata loro resteranno in vita, appunto. Sono più forti di te, e indistruttibili. Non li puoi battere con la spada né in altro modo. Però, se cancelli la prima lettera della scritta sulle loro fronti, otterrai la parola "morte" ed essi si dissolveranno nella polvere da cui provengono. Questo è il solo modo che hai di batterli» concluse con una risata furba.

Arrivò un nuovo colpo, violento, ma Nihal lo evitò. Per quanto ci provasse, la mezzelfo non riusciva a concentrarsi e sapeva che era questo che stava segnando la sua sconfitta.

Sentiva di odiare quel satiro posto a guardia della pietra, desiderava soltanto buttarlo giù dal golem e fargliela pagare.

Tareph la guardò obliquo. «È la prova, Sheireen, o credevi che tutti i guardiani sarebbero stati come Flar, pronti a prostrarsi davanti a te?»

La battaglia continuava e Nihal si limitava a schivare, senza che le venisse in mente una sola idea.

Sennar, dove sei? Tu avresti già escogitato il modo per tirarmi fuori da questa assurda situazione...

«C’è chi guarda nel cuore per giudicare il Consacrato, e chi come me guarda alla sua forza, alla sua capacità di battersi, di trovare la concentrazione quando la mente e il corpo vorrebbero essere altrove.»

Nihal voltò lo sguardo verso quell’essere e colse una luce di verità e sapienza nei suoi occhi gelidi. Dunque sapeva... Non era ingenuo e infantile come voleva sembrare. Sapeva, eppure la tratteneva lì.

«Non vuoi battere il Tiranno? Credi che sarà tanto facile? Anche quel giorno penserai ad altro, anche quel giorno, quando avrai tutto l’esercito nemico contro, non riuscirai a dimenticare quel che ti sta più a cuore. Questa battaglia non è inutile come credi...»

Nihal chiuse gli occhi. Se continuava così non avrebbe salvato Sennar. Doveva concentrarsi e battere quel mostro, era l’unico modo per uscire da lì e poter tornare da lui. Doveva stare calma.

Sentì arrivare un nuovo colpo. Aprì gli occhi, saltò e lo schivò. Ne approfittò per aggrapparsi al braccio del mostro. Il golem lo agitò, per cercare di farla cadere, ma non riuscì nell’intento. Quelle scosse erano una bazzecola per un Cavaliere abituato a stare in piedi su un drago lanciato in volo.

Nihal si issò fino alla spalla, allungò la mano e finalmente riuscì a cancellare la lettera. La parola emeth divenne meth, e il golem si sbriciolò sotto le sue gambe.

Ebbe appena il tempo per guardare negli occhi maliziosi il guardiano, che questi era già in groppa al secondo golem.

«Non crederai che sia finita qui?» disse beffardo, e il golem si abbatté sulla mezzelfo.

Ma ora Nihal era presente a se stessa, era tornata l’abile guerriero freddo e determinato, e non si scompose. Schivò un paio di colpi, quindi estrasse il pugnale dallo stivale. Con un lancio preciso colpì la e della parola emeth e il secondo gigante fu anch’esso polvere. Stavolta Tareph fu preso alla sprovvista, non si attendeva una vittoria così fulminante, e cadde. Non appena si ricompose, si ritrovò la spada di Nihal puntata alla gola.

«Dammi la pietra, ora» sibilò la mezzelfo.

Il guardiano scoppiò a ridere, alzò un dito e la scagliò via lontano. «Credevi di essere in grado di competere con un guardiano?» disse, mentre si alzava in tutta tranquillità. «Comunque hai vinto. Il mio gioco è finito. Peccato, mi stavo divertendo.» Alzò la mano e la pietra si sollevò dall’altare per poi ricadere sulla sua palma.