Per tre notti Sennar dormì sotto le stelle. Il mattino del quarto giorno di marcia vide la città di Barahar stagliarsi in lontananza, sullo sfondo blu intenso del mare.
Dovette deviare per raggiungere il ponte che varcava lo stretto, poi finalmente arrivò sotto le porte di Barahar. Erano imponenti, scolpite in un unico enorme blocco di marmo. Quando Sennar vi passò sotto, lacero e affamato, si sentì piccolo e smarrito come mai gli era capitato prima.
Della Terra del Mare il mago conosceva solo i piccoli villaggi, sospesi tra la terra e l’acqua, sferzati dalle onde d’inverno e sostentati dalla pesca nella bella stagione. Quella città invece era grande e impersonale, e il profumo dell’oceano era coperto da mille altri odori. Sennar riconobbe l’architettura tipica delle case, capanne in muratura con il tetto di paglia, accanto ad altri edifici in pietra, ma il resto gli era estraneo: vie larghe e ordinate al posto del consueto dedalo di vicoli; ampie piazze squadrate invece dei piccoli sagrati tondi dei villaggi. Soprattutto gli era estranea la gente, che non era cordiale e alla buona, ma fredda e indaffarata.
Ora che era sulla costa, Sennar non sapeva che fare. Il santuario poteva anche trovarsi lì, le fatidiche guglie forse si ergevano da qualche parte nei dintorni, ma come poteva saperlo?
Per buona parte della mattinata si aggirò per le vie della città, in cerca di qualcuno che sapesse indicargli la direzione giusta, ma nessuno gli fu d’aiuto. Soltanto un vecchio mercante gli disse che ne aveva sentito parlare e che dovevano trovarsi verso est, forse a Lome.
Quando entrò nell’ultima locanda, Sennar aveva bisogno di mangiare qualcosa, ma non aveva soldi.
Il locandiere, un uomo basso, stempiato, con la pancia prominente di chi alza il gomito, si impietosì. «Se passi più tardi ti farò trovare qualche avanzo» disse.
Sennar lo ringraziò.
«Non ti prometto nulla, però» aggiunse subito l’uomo. «Sono giorni particolari, questi, con il viavai continuo dei soldati.»
«Come mai? C’è stato un attacco?»
«No, niente del genere» rispose il locandiere. «È che sono arrivati strani soldati, le loro navi hanno attraccato ieri sera tardi al porto. Dicono che vengono dal Mondo Sommerso, ma nessuno capisce chi siano.»
«Al porto, avete detto? Come faccio ad arrivarci?» chiese Sennar tutto d’un fiato.
L’uomo lo guardò con sospetto. «Quando esci, gira a destra, poi sempre diritto...» Non ebbe il tempo di finire il discorso che il ragazzo era già scomparso.
Erano arrivate le truppe, le truppe tanto attese. Mentre si dirigeva a passo spedito verso il porto, Sennar ripensò a tutte le persone che aveva conosciuto a Zalenia: il conte Varen, il re Nereo... e Ondine. Voleva vedere quei soldati che venivano ad aiutarli e che erano arrivati fin lì anche grazie a lui. Seguì le indicazioni del locandiere e presto iniziò a sentire lo sciabordio del mare.
Vide subito le navi. Erano una cinquantina, lunghe e maestose, dell’eleganza limpida e trasparente che era il segno distintivo di Zalenia. Erano disposte in fila nel porto, con le vele ammainate. I soldati avevano armature molto leggere, lunghe lance e spade sottili che pendevano al fianco. Gli ricordarono le guardie che lo avevano maltrattato a Zalenia, ma al vederli Sennar provò comunque nostalgia del Mondo Sommerso.
Mentre il mago si godeva lo spettacolo della flotta all’ancora, qualcuno lo notò da una delle navi, scese a terra e si avvicinò a lui. «Sapevo che prima o poi ci saremmo incontrati.»
Sennar si voltò di scatto, conosceva quella voce. Quando vide il conte Varen accanto a sé, gli parve di aver ritrovato un vecchio amico. Il conte era ancora un uomo imponente e robusto, i pochi capelli raccolti in un codino come si usava fra la sua gente, ma la sua pelle candida s’era colorata d’ambra; doveva avere abbandonato i fondali di Zalenia già da un po’. Sennar dimenticò la riverenza e lo abbracciò, ricambiato da una stretta vigorosa.
Il conte lo invitò a seguirlo in una cabina della nave, avvolta in una penombra che ricordava l’azzurro che imperava a Zalenia. Varen si mosse a suo agio in quella luce fioca e prese una bottiglia dal contenuto violaceo. Squalo, si disse Sennar. Era un anno che non ne beveva.
Il conte posò la bottiglia sul tavolo e, presi due bicchieri, li riempì. «Me lo ha portato ieri sera un mio soldato, ha detto che è la bevanda di questa Terra.»
Sennar sorrise. «Vi ha detto bene.»
Il conte vuotò il suo bicchiere in un sorso solo. Sennar cercò di imitarlo, ma dovette trattenersi dal tossire quando l’alcol gli aggredì la gola.
«Non credevo che fosse tutto così luminoso, quassù» disse il conte. «Non so se riuscirò ad abituarmi.»
«Non temete» lo tranquillizzò Sennar, mentre si riempiva nuovamente il bicchiere «alla fine io mi ero abituato alla luce azzurra della vostra Terra. Sarà solo questione di tempo.»
Lo sguardo paterno del conte si posò su di lui. «Non sapevo che il Consiglio fosse riunito in questa Terra» disse Varen.
Sennar sospirò. «In effetti quest’anno doveva riunirsi nella Terra dell’Acqua, ma come avrete saputo è caduta quasi totalmente in mano nemica e il Consiglio è dovuto fuggire.»
«Mi hanno parlato dell’esercito dei morti» disse cupo Varen. «Molti dei miei uomini sono preoccupati.» Si versò anch’egli un secondo bicchiere, poi lo guardò. «Come mai non sei con gli altri consiglieri?»
«Non sono più consigliere.»
«Ti hanno cacciato?»
Sennar sorrise. «No, sono andato via io.»
Varen lo fissò con un’espressione interrogativa. Sennar si sottrasse al suo sguardo e volse gli occhi alla luce che filtrava attraverso le assi di legno che coprivano gli oblò. «Devo compiere una nuova missione» spiegò, e gli sembrò che l’amuleto pesasse di più nella sua tasca. «Per farlo, ho dovuto abbandonare momentaneamente il mio posto nella Terra del Vento.»
«Momentaneamente» ripeté il conte sollevato. «Dunque, al tuo ritorno sarai di nuovo consigliere.»
«Sì» mentì Sennar. «E voi, come mai siete qui?»
Il conte sorrise. «Dopo la tua partenza sono tornato a fare il mio dovere a Sakana, e per un po’ tutto è andato tranquillo. Però sentivo qualcosa in me, qualcosa che non sapevo definire... D’un tratto la mia vita mi sembrava squallida e vuota. Mi annoiavo. Guardavo al cielo, verso il pelo dell’acqua, e pensavo che lassù, fra le nuvole che non avevo mai visto, c’era qualcuno che combatteva. Alla fine ho capito che la vita e la lotta che cercavo erano lì. Così ho convinto Sua Altezza a scegliermi come capo delle truppe» concluse.
Sennar fissava il bicchiere e ne sfiorava il bordo con un dito. Non seppe trattenersi. «E Ondine?» domandò.
«Quando sei andato via, ho fatto come mi avevi chiesto: l’ho aggregata al mio seguito e l’ho condotta a Sakana.»
«E... come stava?»
«Era molto triste.»
Sennar abbassò lo sguardo.
«Le ho proposto di entrare al mio servizio a palazzo. Era meglio che prendersi cura dei carcerati. Da principio ha declinato l’offerta, non voleva lasciare soli i genitori, ma alla fine l’ho convinta.»
Sennar continuò a seguire il bordo del bicchiere con il dito. Alla fine bevve lo Squalo in un unico sorso.
«Non ho mai capito perché l’hai lasciata a Zalenia» riprese il conte. «So che le volevi bene e che lei ricambiava i tuoi sentimenti.»
Il pensiero di Ondine riscaldò il cuore di Sennar; avrebbe potuto rivedere il suo volto di bambina, i suoi morbidi capelli, le sue labbra rosa. Però sapeva che sarebbe servito solo a ferirla ancora di più.
«Mi ha chiesto di farti una domanda, se ti avessi visto» aggiunse il conte. Sennar levò gli occhi dal tavolo. «Voleva che ti domandassi se hai mantenuto la promessa e che ti riferissi che, se non l’hai fatto, troverà prima o poi il modo di vendicarsi.»
Il mago sorrise. «A essere sinceri, non l’ho davvero mantenuta, ma questo viaggio è parte di quella promessa. Voi, però, quando la rivedrete, ditele che sì, l’ho mantenuta. Che adesso sono felice.»