Nei gesti che seguirono, si dissero ciò che avevano taciuto per tutti quegli anni: che erano sempre stati l’uno dell’altra, che non potevano essere separati, che non sarebbero mai stati soli, perché si appartenevano. E alla fine Nihal, per la prima volta, si sentì unica, completa, vera. Era giunta alla fine della sua ricerca.
Per un paio di giorni Nihal dimenticò tutto. Passava il tempo a curare Sennar, senza preoccuparsi del fatto che le sue scarse capacità magiche non potevano nulla contro quella ferita. Non c’erano più nemici fuori, non c’era alcuna missione da compiere. Per lei il mondo iniziava e finiva nella grotta dove si trovavano.
Per questo non sentiva i passi che rimbombavano sempre più frequenti sul tetto della grotta e non udiva le voci che si rincorrevano sopra le loro teste.
«Passerà parecchio tempo prima che io possa camminare di nuovo» disse Sennar, la mattina del sesto giorno di permanenza.
«Ci vuole solo un po’ di pazienza» rispose lei tranquilla. «Lo sai che come maga sono una frana, ma mi sto impegnando.»
«Nihal, l’osso è rotto e la tua magia non può nulla, lo sai. Non sarò in grado di uscire da qui prima di un mese» insistette Sennar.
«Vorrà dire che aspetteremo.»
«Oggi le voci dei fammin erano più vicine» continuò lui.
«Qui non ci troveranno mai.»
Sennar la strinse fra le braccia. Nihal lo baciò, poi si scostò sorridente. Quando vide il volto di lui, però, il sorriso le si spense sulle labbra. «Che cos’hai?»
«Non possiamo più permetterci di restare fermi qui.»
«Non sei in grado di camminare, con te conciato così non andremmo da nessuna parte.»
«Lo so.»
«Sennar...» disse lei a bassa voce. Iniziava a capire.
«Sai bene perché siamo qui.»
Nihal si portò le mani alle orecchie. «Sta’ zitto!»
«Molte vite dipendono da noi, e molti sono morti per questo. Non possiamo ignorarlo.» Le scostò le mani dalla testa. Nihal aveva già gli occhi lucidi. «Tu devi andare» disse.
La mezzelfo si accorse che la voce gli tremava, benché cercasse di non darlo a vedere. «Non puoi chiedermi questo» ribatté scuotendo la testa. «Non mi chiedere di lasciarti proprio ora che ti ho trovato! Non posso.»
«Nemmeno io lo vorrei, ma non si può fare altrimenti.»
Le lacrime iniziarono a scendere sulle guance di Nihal. «Non mi interessa il motivo per cui siamo qui! Non mi importa della gente là fuori! Noi siamo qui, ora, tutto il resto non conta. Non ti posso lasciare in territorio nemico, ferito per di più. Non posso! Non posso e non voglio!»
«Se davvero io sono ciò che hai cercato in tutto questo tempo, allora proprio per questo devi andare» le spiegò Sennar.
«Non dire idiozie da oracolo!»
«Non sono idiozie» esclamò Sennar. Adesso la sua voce era dura. «Cercavi uno scopo che desse un senso alla tua vita, un motivo per agire e la forza per farlo. Se resti qui, la tua scoperta sarà inutile.»
«Cosa c’è di male a voler stare con te? Io ti amo. Non hai visto che razza di posto è questo mondo? La gente si odia, si uccide... Far fuori il Tiranno non servirà a nulla. Finché noi due siamo qui non saremo mai soli, potremo crearci il mondo che vogliamo. Questa terra non merita il tuo sangue o il mio sacrificio.»
«Non è vero, e lo sai» ribatté Sennar. «Laio ha dato la vita perché tu potessi andare avanti e adesso, mentre noi siamo qui, Soana e Ido continuano a combattere per salvare questo mondo. È per loro che devi andare, altrimenti il sangue sparso finora sarà stato inutile.»
Nihal iniziò a singhiozzare, lo abbracciò e lo strinse più forte che poté. «Ti prego, non chiedermi di lasciarti. Senza di te non posso farcela. Ho avuto il coraggio di arrivare fin qui solo perché c’eri tu. Io ho bisogno di te...»
Sennar la strinse al petto. Aveva il respiro affannato e Nihal percepì tutto il dolore che provava, quanto gli fosse costata quella decisione. «Non mi succederà nulla. Sono un mago potente, lo sai. Nell’ultima battaglia sarò al tuo fianco e quando tutto sarà finito potremo godere della felicità che ci spetta. Anch’io voglio stare con te, ma se ora rimani qui, non ci sarà più un mondo dove vivere...» La strinse con più forza.
Nihal si allontanò da lui e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Se non è pericoloso stare qui, perché non posso aspettare che tu guarisca?»
«Perché il Mondo Emerso non ha tempo. Le Terre libere stanno cadendo a una a una e presto saranno tutte soggiogate al Tiranno. Ho dedicato la mia vita a cercare di salvare questo posto, non rendere vano ciò che ho fatto...»
«Tu mi lasceresti qui?» chiese lei.
Sennar tacque.
«Rispondi.»
«Sì» mormorò, ma Nihal non gli credette. Sapeva che sarebbe morto, piuttosto. Sennar la afferrò per le spalle. «Ti prego, va’. Ce la puoi fare anche senza di me. Non abbiamo bisogno di essere vicini per appartenere l’uno all’altra, e lo sai. Quanto a me, appena starò bene uscirò da qui e ti raggiungerò alla base. Nihal, ti prego...»
La mezzelfo si voltò e pianse in silenzio.
Nihal batté la foresta per l’intera mattinata e radunò più provviste possibile. Le stipò nella grotta e fece anche riserva d’acqua. Calcolò quanti vettovagliamenti servissero per un mese di permanenza e abbondò. In fondo, sapeva che Sennar aveva ragione, ma in quel momento odiava la sua missione e il talismano che le pesava al collo. Se a Sennar fosse accaduto qualcosa in sua assenza, non se lo sarebbe mai perdonato.
Per tutto il pomeriggio fecero entrambi finta di niente, benché la tristezza dell’addio imminente fosse nell’aria, palpabile. Sennar si sforzava di essere allegro, ma Nihal sapeva che aveva paura e che non avrebbe voluto lasciarla andare. Poi giunse la notte.
«Tieni» disse Sennar, quando lei fu pronta a partire. In mano aveva il pugnale di Livon, quello che li aveva fatti conoscere.
Non appena lo vide, Nihal capì quanto fosse reale quella separazione e scoppiò a piangere. «Perché vuoi darmelo?» chiese fra i singhiozzi.
Sennar sorrise. «Sciocca... Di che hai paura? Non piangere...» Le asciugò una lacrima. Poi estrasse il pugnale dalla custodia e Nihal vide che la lama risplendeva di una luce bianca. «Ho fatto un incantesimo: la lama brillerà finché starò bene e la luce ti indicherà dove sono.»
Nihal lo prese e lo mise al posto di quello che teneva nello stivale con cui aveva quasi ucciso Dola. «Questo tienilo tu, e usalo se necessario» disse allungandogli l’altro pugnale. Lo abbracciò e lo riempì di baci. «Non morire, Sennar, ti prego, non morire!»
«Nemmeno tu...» disse il mago, e le diede un ultimo lungo bacio sulle labbra.
Quando allontanò il volto da quello di lei, Nihal vide che anche lui piangeva.
«Nihal, se... se non dovessi arrivare per l’ultima battaglia... se non mi troverai alla base... non cercarmi, non prima di aver abbattuto il Tiranno. Ma non mi succederà niente, vedrai... Ti aspetterò alla base» disse con un sorriso.
Nihal si alzò e si incamminò per la via che portava in superficie. Non si voltò indietro, perché sapeva che se l’avesse fatto non sarebbe mai più partita. Dopo pochi passi, la solitudine la strinse in una morsa dolorosa.
L’ultima battaglia
34
Mawas o del sacrificio
Nihal camminava rapida, nella notte cupa e senza stelle. Le pareva che il silenzio non fosse mai stato così opprimente. I primi giorni era stata tentata di estrarre il pugnale per vedere se era illuminato, se il suo viaggio aveva ancora un senso. Lo aveva stretto fra le mani tante volte, aveva esitato, e alla fine l’aveva rimesso a posto. A che valeva guardare? Se avesse scoperto che la lama era spenta, che Sennar era morto o che gli era successo qualcosa, che cosa avrebbe fatto? Era inutile sapere. Doveva continuare, andare avanti, pensare solo a ciò che la aspettava se alla fine fossero riusciti a battere il Tiranno.