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Adesso era sola nella stanza, con l’armatura davanti a sé. Se Laio fosse stato ancora vivo, in quel momento sarebbe stato lì con lei, a lucidarle le armi. Ora quell’incombenza toccava a Nihal. Prese la spada e iniziò a pulirla. La lama non era più liscia e affilata come un tempo, portava i segni di numerose battaglie. Vi erano graffi e intaccature che non era possibile cancellare, ma era tagliente come la prima volta che Nihal l’aveva presa in mano, appena uscita dalla fucina di Livon. Anche la sua spada era stanca, come lei; aveva combattuto troppo, aveva assaggiato abbastanza sangue, era ora che riposasse nel fodero. Se gli dèi l’avessero aiutata, il giorno successivo quella quiete infine sarebbe arrivata, insieme ai baci di Sennar.

Passò poi a lucidare l’armatura, benché non ve ne fosse bisogno, perché l’armaiolo gliel’aveva consegnata linda e brillante. Toccarla le serviva a immergersi nell’atmosfera della battaglia. Per la prima volta in vita sua, Nihal non era impaziente di combattere, lo viveva piuttosto come un doloroso dovere. Certo, una parte di lei desiderava misurarsi con il Tiranno, trovarsi faccia a faccia con lui, capire cosa l’aveva spinto per tutti quegli anni a dispensare terrore e morte. E forse, si rese conto con un brivido, in un angolo del cuore desiderava ancora la vendetta, voleva che il sangue di quell’uomo lavasse il sangue che era stato versato per causa sua. Se però pensava a Sennar, la vendetta e la voglia di sangue scolorivano, restavano solo l’amore e il bisogno di lui, di una vita tranquilla al suo fianco.

Ciò che più la stupì fu scoprire che aveva paura di morire. Non le era mai successo prima, al contrario, lo aveva sperato migliaia di volte. Quando Ido le aveva svelato che trasformarsi in un’arma non era il modo giusto di essere Cavaliere di Drago, Nihal aveva iniziato a desiderare la paura della morte, ma quell’amica non le aveva mai fatto visita. L’unica volta che aveva avuto paura di morire era stato alla vigilia della sua prima battaglia, quando aveva sostenuto la prova per passare alla seconda fase dell’addestramento a Cavaliere di Drago. La battaglia in cui era morto Fen. Con un sorriso amaro, Nihal si disse che il cerchio si chiudeva: aveva avuto paura la prima volta che era scesa in battaglia e aveva paura ora, forse l’ultima volta che combatteva.

Posò a terra l’armatura e guardò la neve che scendeva lenta fuori dalla finestra. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di dormire, ma non poteva. Per più di tre anni non aveva fatto altro che aspettare quel momento e l’ultima battaglia era arrivata. Come poteva riposare?

Mentre si spogliava le capitò fra le mani il pugnale. Il fodero non lasciava intravedere la lama e nessuna luce filtrava attraverso la pelle della custodia. Su quel pugnale era scritto lo scopo per cui avrebbe combattuto il giorno seguente. Se avesse scoperto che Sennar era morto, allora non le sarebbe restato altro che odio. Ma questa volta Nihal voleva presentarsi al cospetto del suo nemico guidata soltanto dal desiderio di pace.

Strinse il pugnale, senza trovare il coraggio di sguainarlo.

Dove sei, Sennar? Ho bisogno di te, delle tue parole, della tua voce. Ho bisogno di sapere che ci sei ancora, per poter combattere domani.

Il terrore la invase, insieme alle voci degli spiriti che non l’avevano mai abbandonata, tanto che Nihal non si accorse che la porta si apriva e non sentì i passi che si avvicinavano.

Si riscosse solo quando Ido arrivò al suo fianco e le posò una mano sulla testa arruffata. Nihal lo abbracciò e si strinse al petto del suo maestro.

«Hai paura?» chiese lo gnomo.

«Ho paura che Sennar sia morto. Se lui non c’è più, che senso ha tutto quello che sto facendo?»

Ido continuò ad accarezzarle la testa. «Lo so che è difficile, ma non devi pensarci. Non serve a niente. Non ti aiuta a prepararti alla battaglia. Se vuoi davvero conoscere la verità» aggiunse guardandola «il pugnale è al tuo fianco, non hai che da scoprirlo.»

«E se scoprissi che è morto? Non avrei più la forza per combattere domani» rispose lei.

«Allora non ti resta che credere e sperare. Sennar ti ama, non si farà ammazzare tanto facilmente» concluse lo gnomo con un sorriso.

Ido restò al suo fianco e Nihal a poco a poco si calmò.

«Anch’io ho paura» disse lui in un soffio. «Ti ho sempre detto che la paura è amica del soldato, ma è un’amica pericolosa, difficile da tenere a bada. Stasera anch’io, per la prima volta, sento la morte al mio fianco e ho scoperto che in fin dei conti questa maledetta vita mi piace, mi piace proprio.»

Nihal alzò gli occhi su di lui. Ido raramente le aveva parlato così, rinunciando al tono burbero e insofferente che ostentava di solito.

«Non sono sicuro di uscire vivo dalla battaglia» proseguì lo gnomo. «Domani regolerò i conti una volta per tutte con Deinoforo, e non è detto che vinca io. Per questo voglio confidarti quello che per tanto tempo ho negato persino con me stesso.» Deglutì e Nihal capì che era imbarazzato. Sapeva quanto gli costasse parlare dei propri sentimenti. «Il riscatto che ho cercato per vent’anni sui campi di battaglia non è mai arrivato. Quel che sono stato, tutto ciò che ho fatto al servizio del Tiranno non può essere cancellato. Ho combattuto inseguendo quello scopo per anni, senza mai raggiungerlo. Poi sei arrivata tu.» Lo gnomo si schiarì la voce. «All’inizio mi sei sembrata una bella scocciatura, l’ultima cosa che volevo era un allievo, e una mezzelfo, per di più.» Ido la fissò. «Invece sei stata la cosa migliore che mi sia mai capitata, Nihal.» Tacque di nuovo e distolse lo sguardo da lei. «Tu mi hai dato molto. Mi hai offerto la possibilità di riscattarmi, più di tante battaglie e di tanti fammin uccisi. Una volta, quando litigammo, ti dissi che non eri mia figlia e che non ero tenuto e raccontarti tutto di me. Sbagliavo. Sei come una figlia per me e sono fiero di quello che sei diventata.» Lo gnomo tacque e sospirò.

Nihal lo abbracciò con forza. Aveva ritrovato un padre. «Ti sarò sempre immensamente grata per tutto ciò che hai fatto per me.»

Ido tossicchiò e sembrò voler recuperare un po’ di contegno. «Abbi fede per domani» le disse «e pensa solo al tuo obiettivo finale. Devi crederci, fino in fondo, perché ciò che desideri possa avverarsi.»

Con queste parole, Ido tornò nella sua stanza e lasciò Nihal sola.

Poco dopo la mezzelfo si assopì, il pugnale fra le mani, e il suo ultimo pensiero fu per Sennar.

Il campo si svegliò con lentezza e solennità, prima che l’alba si levasse acida sul confine, a incorniciare la sagoma nera della Rocca che si stagliava in lontananza. Quando il sole fece capolino fra i rami secchi dei boschi che circondavano la base, le truppe erano già pronte a schierarsi.

Ido raggiunse Nihal nella sua stanza.

«Ti aiuto a indossare l’armatura» si offrì lo gnomo.

Nihal fece cenno di no con la testa. «Quest’armatura apparteneva a Laio, solo lui aveva il diritto di mettermela. Farò da sola, in onore alla sua memoria.»

Ido annuì, ma restò nella stanza, per aiutarla a stringere i lacci dove lei non poteva arrivare. Fuori, tutto taceva. Quando Nihal fu pronta, assistette Ido nella sua preparazione. Poi presero entrambi le proprie spade e uscirono.

Il sole si levava su un cielo plumbeo. L’aria era gelida e a terra una spessa coltre bianca copriva ogni cosa e scricchiolava sotto gli stivali. Oarf attendeva il suo Cavaliere al centro dell’arena, imponente come sempre. Nihal lo vide spiegare fiero le ali e capì che non era sola. Chiuse gli occhi e la calma le scese nel cuore.