Per un attimo nemici e amici furono attraversati dallo stesso timore, dallo stesso senso di riverenza: gli otto Poteri manifestavano il loro influsso e gli antichi dèi tornavano sulla terra. Tutti in quel momento si sentirono miseri, insignificanti, e percepirono l’imperscrutabilità del creato. Un istante dopo ci fu un’esplosione di colori, una luce accecante.
Una sfera luminosa scese dal cielo, piccola all’inizio, poi infinitamente grande, tanto da avvolgere l’intera Rocca e tutto ciò che la circondava, fino ad abbracciare i confini ultimi della terra, oltre il Grande Deserto e oltre le acque tumultuose del Saar.
Al centro c’era Nihal. La mezzelfo percepiva l’energia che fluiva in lei e per un attimo si sentì immensamente potente, come se ogni cosa, alberi, piante e animali, fosse prostrata ai suoi piedi, come se il mondo intero le appartenesse. D’un tratto, tutto le parve chiaro.
«La tua preghiera è stata esaudita» le disse allora una voce solenne. «Ma il potere non è per te, Consacrata, è per tutti coloro che anelano alla pace. Fai buon uso di quanto ti abbiamo dato.»
Nihal non si sentì più padrona, ma serva; tornò in sé e si accorse che i fantasmi che fino a un momento prima affollavano il fronte erano scomparsi, dissolti nel vento, e i fammin si guardavano intorno spaesati, senza sapere cosa fare. Perfino le voci, che da tempo immemore non le davano requie, tacevano. Ce l’aveva fatta.
Non ebbe il tempo di esultare. Cadde in ginocchio. Il suo respiro si era fatto pesante e sentiva un senso d’oppressione al petto. Il talismano aveva iniziato a succhiarle la vita.
«Tutto bene?» chiese Ido, che si era piegato subito su di lei.
Nihal annuì. «Tutto a posto, è solo l’amuleto che esige il suo prezzo.»
Si alzò e salì su Oarf, sola. Volò alta nel cielo, in modo che tutti i soldati la vedessero. Levò la spada e urlò. Le truppe le risposero ed ebbe inizio l’ultima battaglia.
38
L’alba della riscossa
Quando il sole si liberò dalla schiavitù della terra e si affacciò sul mondo, i suoi raggi salutarono una selva di spade e lance, un groviglio di corpi che si scontravano da un confine all’altro del Mondo Emerso.
Molte battaglie si erano susseguite su quella Terra, ma questa non era come le altre e tutti, nemici e uomini liberi, lo sentivano. Ciascuno dei soldati era consapevole che quello scontro avrebbe deciso il destino del mondo, sapeva che sul filo della sua spada era scritto il futuro.
Da quando i fantasmi si erano dissolti alla luce dell’incantesimo di quella ragazza dall’armatura nera, i fammin non rispondevano più agli ordini e vagavano con gli occhi perduti nel vuoto.
Per chi era abituato a dare battaglia in condizioni di schiacciante superiorità numerica, al fianco di guerrieri per i quali la vita e la morte avevano lo stesso significato, trovarsi a combattere ad armi pari era spiazzante. Ma non era solo questo a spaventarli. Percepivano un senso di ineluttabilità, intuivano che l’ora di saldare i conti era giunta e che dopo quel giorno nulla sarebbe stato uguale a prima. Anche l’aria era diversa, vi aleggiava un presagio di morte e sconfitta. Era come se la natura rivolgesse verso i soldati del Tiranno uno sguardo maligno.
Quale fu poi l’orrore dei maghi tra le file nemiche, quando si accorsero che nessuno dei loro incantesimi aveva effetto. Provarono e riprovarono più volte, atterriti dalla propria impotenza, ma presto si resero conto di essere tornati semplici uomini, deboli e incapaci di difendersi.
Molti si diedero alla fuga, altri presero in mano spade che non avevano mai usato. Quel giorno gli spiriti li avevano abbandonati ed erano tutti nella palma della mano della guerriera in nero, che si batteva come una furia e si faceva largo verso la Rocca.
Il Tiranno era chiuso nella sua fortezza, seduto sul suo enorme trono, in una sala che ora gli sembrava immensa. Aveva avuto paura, non appena aveva sentito gli spiriti abbandonarlo e la magia rifluire dalle sue mani lontano da lui. Ma ora era calmo; sapeva che quel giorno doveva venire, e infine era arrivato. Non c’era da temere. Il Consacrato era giunto, come aveva profetizzato quel vecchio quarant’anni prima, ma il destino era ancora nelle sue mani e lo scopo finale troppo grande perché una semplice ragazzina, una mezzelfo sfuggita alle fauci della morte, potesse spazzarlo via. Per portare a termine il suo piano, Aster era pronto a tutto. Era destino che dovesse scontrarsi con quella guerriera, ma non era detto che avrebbe perduto. Anche senza la sua magia, sapeva di essere immensamente potente, perché conosceva le creature di quel mondo e ne leggeva con chiarezza ogni pensiero e ogni sentimento. Avrebbe combattuto con quella ragazza e l’avrebbe sconfitta, per realizzare il suo ambizioso progetto.
Al primo grido di battaglia, le truppe delle Terre libere si erano gettate su un nemico spaesato e confuso, e all’inizio tutto era sembrato fin troppo facile. L’esercito avversario, però, non era composto solo da soldati semplici e traditori, ma anche da abili guerrieri e valorosi Cavalieri.
Furono proprio questi ultimi a uscire numerosi dalla Rocca, poco dopo il primo squillo del corno di guerra.
Simili a una nube nera avanzarono verso il campo di battaglia, si sparpagliarono sul fronte e si abbatterono sulle truppe delle Terre libere. Fu allora che caddero i primi soldati, bruciati dal fuoco dei draghi o feriti dalle armi dei Cavalieri di Drago Nero. Dalle retrovie si fecero avanti i Cavalieri di Drago della Terra del Sole e della Terra del Mare, e la lotta fu di nuovo ad armi pari.
Tra loro, in prima fila, c’era Raven. Da molti anni non scendeva sul campo di battaglia, ma non poteva mancare all’ultimo atto, non poteva perdere la possibilità che il destino gli offriva di recuperare la dignità che aveva smarrito fra i velluti dell’Accademia e di tornare a essere il guerriero di un tempo. Quella mattina era montato in groppa a Tharser, il suo drago, e ora erano lì entrambi, a godere della ritrovata eccitazione della battaglia.
Al Supremo Generale il cozzo delle spade e il clangore delle lance suonarono come un canto che gli parlava di cose perdute e lontane. Sentì la polvere in bocca e con un grido si lanciò nella mischia, imperversando dall’alto con il suo drago. Raven guidò i suoi uomini come faceva un tempo, levò la spada insanguinata e li incitò alla carica, e ciascuno dei soldati lo seguì abbagliato: tutti si convinsero che la vittoria era possibile, finché c’era quell’uomo con loro. Mentre calava i suoi fendenti sul nemico, a Raven parve che non fosse passato neppure un giorno dall’ultima volta che aveva combattuto, che bastava una scintilla per tornare quello di prima, e sentì che quella scintilla era scoccata. A lungo, quel giorno, Raven fu il terrore del nemico.
Al di là del fronte, nelle Terre soggette al Tiranno, quell’alba non sembrava diversa dalle altre. Un sole pallido levava raggi agonizzanti sulla terra e annunciava un nuovo giorno di schiavitù. Eppure c’era chi guardava a quel sole con occhi diversi e attendeva con ansia il momento in cui un unico grido si fosse levato da lontano, oltre la Rocca, dai luoghi dove la speranza ancora non era morta.
Aires non si era risparmiata e aveva fatto un ottimo lavoro. Poco dopo la partenza di Nihal e Sennar, si era messa in viaggio con pochi compagni fidati. Dapprima aveva battuto la Terra del Fuoco, alla ricerca di uomini che potessero unirsi alla resistenza. Poi aveva varcato il confine e si era spostata nelle altre Terre. I suoi sforzi non erano destinati solo a reclutare nuove forze, le bastava veder rifiorire la speranza nel cuore di chi si era rassegnato. Voleva che il giorno della battaglia decisiva in tutte le Terre schiave vi fossero uomini pronti a sollevarsi al grido che avrebbe risuonato da un confine all’altro. Uomini disarmati, ma decisi a tutto per la libertà e dunque inarrestabili.
Aires era riuscita a mettere insieme una sorta di esercito, composto per la maggior parte di disperati. I ribelli avevano costruito e rubato armi, e avevano ideato insolite macchine da guerra volanti. Poi, il messaggio tanto atteso era arrivato. Aires si era stupita che fosse stata Nihal e non Sennar a mandarlo, e aveva capito che doveva essere avvenuto qualcosa di grave.