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La mattina della battaglia, dunque, non fu una mattina qualunque per molti degli abitanti della Terra del Fuoco. Si levarono presto e si disposero ai loro posti, pronti ad attaccare i punti nevralgici del potere del Tiranno.

Quando il grido percorse come un lampo il fronte, da un capo all’altro, nessuno degli abitanti delle Terre occupate poté rimanere indifferente. Sembrò che il tempo si fosse fermato. Gli schiavi smisero il loro lavoro e guardarono al cielo, gli aguzzini, i generali e i soldati dislocati nelle Terre occupate ebbero paura. A tutti fu chiaro che qualcosa stava per avvenire, che enormi poteri erano sul punto di scatenarsi.

Fu allora che Aires fece partire l’offensiva. Aveva organizzato gruppi armati ovunque, pronti a incanalare la rabbia degli schiavi, e in ciascuna Terra c’erano suoi uomini preparati a sobillare la rivolta. Quando l’urlo si fu estinto e la battaglia ebbe inizio, molti di quegli uomini furono martiri; riuscirono a suscitare un fuoco di paglia, violento ma breve, e vennero massacrati come agnelli. Ciascuno di loro, però, combatté fino alla fine, perché sapeva che il sacrificio di alcuni avrebbe potuto determinare la vittoria di tutti. Altrove, invece, l’incendio divampò e si diffuse rapido. Gli schiavi si ribellarono, coloro che per lunghi anni avevano sopportato il giogo di Aster impugnarono qualsiasi attrezzo assomigliasse a un’arma e combatterono.

Sembrò che il mondo fosse sul punto di capovolgersi. La rivoluzione divampò nei campi, nelle miniere di cristallo nero della Terra delle Rocce, nel buio perenne della Terra della Notte, persino nella Terra dei Giorni ci fu chi lottò. Nessuna battaglia, però, fu più grandiosa e più sanguinosa di quella che si combatté nella Terra del Fuoco. Al confronto le altre furono solo scaramucce, volte più che altro a intontire il nemico e a sottrarre forze dal fronte, in modo che l’esercito delle Terre libere incontrasse meno ostacoli.

Aires e i ribelli non diedero ai soldati neppure il tempo di riprendersi dallo spavento e piombarono su di loro come un fulmine a ciel sereno. Migliaia di uomini e gnomi uscirono dal nulla armati fino ai denti e si gettarono per prima cosa sulle fucine. Travolsero i soldati di guardia e infransero le catene che gravavano i polsi e le caviglie dei loro simili; fecero razzia di armi e urlarono che il regno del Tiranno era finito, che bisognava combattere per riconquistare la libertà. Alcuni di quelli che furono liberati scapparono impauriti, ma molti impugnarono a loro volta le armi.

Poi dal cielo spuntarono le macchine volanti e iniziarono a rovesciare fuoco sulle truppe nemiche terrorizzate e disorientate. Prima innanzi a tutti, la spada sguainata e già rossa di sangue, stava Aires. Era l’anima della rivolta, gridava ordini e sembrava trasfigurata; non era più la donna bellissima e sensuale che tutti ammiravano, era una furia vendicatrice.

L’obiettivo finale era la Rocca. I ribelli non ne sapevano molto, si diceva che neppure i grandi generali del Tiranno conoscessero la pianta di quell’immensa costruzione. Ma non bastò a fermarli, erano decisi a forzare il blocco, entrare nella Rocca e distruggere tutto ciò che incontravano.

Per tutta la mattina la Terra del Fuoco fu un unico, enorme, campo di battaglia. I soldati cercarono di tener testa ai ribelli come meglio poterono, ma la situazione era di stallo. Da ambo le parti i morti erano numerosi e non c’era modo di sedare la ribellione.

Poi giunse l’ordine, perentorio e inaspettato: «Andate e ponete fine a questa follia. Lasciate le pendici del mio palazzo e dirigetevi verso i ribelli. Annientateli. È il vostro signore che ve lo ordina».

Fu così che Semeion e Dameion, Cavalieri di Drago Nero, abbandonarono il fronte e, cosa inaudita, accorsero nella Terra del Fuoco per sedare la ribellione di quattro schiavi. Aires e i suoi videro le due figure nere avanzare quando il sole aveva da poco superato lo zenit. I due Cavalieri emersero dal fumo nero del Thal; procedevano lenti e i loro movimenti nel cielo erano perfettamente sincronizzati.

Sia i ribelli sia i nemici ci misero un po’ per prendere coscienza di ciò che accadeva, poi una voce si levò: «Siete già morti! I nostri signori giungono a salvarci e per voi non ci sarà più speranza!» urlò uno dei soldati.

Le due figure ora erano abbastanza vicine da essere distinguibili. Erano identici. Aires non li aveva mai visti, ma capì subito chi erano. Sapeva che quella Terra era governata da due gemelli, due generali del Tiranno, due spietati Cavalieri di Drago Nero. Molti dei suoi iniziarono ad avere paura. Lei strinse con più forza l’elsa della spada e si dispose all’attacco.

I Cavalieri si separarono e due immense lingue di fuoco, uscite dalla bocca dei draghi, avvolsero quella Terra di vulcani e incenerirono tutto ciò che trovarono sulla loro strada, amici e nemici.

Il coraggio che fino allora aveva animato i ribelli svanì e iniziò la fuga. Non bastavano il loro entusiasmo, le loro armi e quelle strane macchine volanti; neppure migliaia di loro sarebbero riusciti a sconfiggere uno di quei due Cavalieri.

Aires restò in piedi in mezzo al campo di battaglia, incerta sul da farsi. Nel frattempo Semeion e Dameion intrecciavano complicati balletti in aria e ogni volta, alla fine di quelle evoluzioni, scendevano a terra e la morte veniva con loro. Alcuni furono trafitti dalle spade dei due Cavalieri, altri morirono consumati dalle fiamme dei loro draghi, ardenti come le lave del Thal, altri ancora furono sbranati dai draghi e sparsi a brandelli sul campo. Non c’era nulla che i ribelli potessero fare. Di fronte a quell’avanzata inarrestabile, anche i soldati semplici ritrovarono il coraggio e si gettarono su coloro che erano sfuggiti alla furia dei Cavalieri.

Aires guardava attonita, circondata dalle fiamme. Vedeva uomini che ardevano come torce aggirarsi nel fumo, il sangue che bagnava la terra. Possibile che dovesse finire tutto così? Possibile che il loro sogno si dovesse infrangere sulle lame di quei due Cavalieri?

Levò la spada e con un urlo si lanciò su uno dei due, approfittando di un istante in cui era più vicino alla terra. Puntò al drago e vibrò il colpo con tutta la forza che aveva; affondò la spada fino all’elsa nel fianco dell’animale, con tale impeto che l’arma si ruppe e rimase conficcata nella carne. Il drago si contorse e cadde a terra, ringhiando di dolore. Il Cavaliere si voltò verso Aires e molti sguardi, amici e nemici, si appuntarono su di lei.

«Solo la paura può sconfiggerci!» urlò Aires. La sua voce era irriconoscibile. «Gli uomini veri non fuggono, gli uomini veri combattono!» urlò ancora. «Tornate indietro e battetevi, niente è perduto finché c’è vita!»

Il volto fino allora impassibile del Cavaliere si atteggiò a un sorriso di compassione. «Hai deciso di morire dunque» disse con calma, poi sfoderò una spada spaventosa, irta di aculei e ricoperta di rune malefiche.

Aires gli rispose con una risata. «Ho deciso di combattere fino alla fine, piuttosto» urlò. Gettò la spada, ormai inutilizzabile.

«Vuoi batterti a mani nude?»

«Mi batterò con te a ogni costo, anche a mani nude, perché c’è un’arma che non puoi togliermi ed è la mia determinazione» rispose Aires.

Il Cavaliere non le diede il tempo di finire di parlare. Costrinse il drago ferito a lanciare su di lei una fiammata, ma fu debole, poiché l’animale era sofferente.

Aires riuscì a schivarla e in quell’istante vide ai suoi piedi il cadavere di un soldato, e al suo fianco una spada. La afferrò.

Il Cavaliere balzò a terra e si avventò su di lei, costringendola a indietreggiare. Molte ferite segnavano già il corpo della donna e infine una stoccata andò a segno. Aires cadde, colpita a un braccio.

Rimase a terra, ma trovò il fiato per urlare ai suoi, fermi in mezzo al campo a guardarla: «Combattete, idioti! Siamo qui per vincere e riprenderci la libertà che ci spetta!».