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Un nuovo colpo la raggiunse a una mano. Aires si alzò e con un urlo riprese ad attaccare. Fu allora che i suoi uomini si riebbero e si gettarono sul nemico. Assalirono in massa l’altro Cavaliere di Drago, incuranti del fatto che molti di loro morivano prima di aver potuto indirizzare verso di lui un solo colpo. Per quanti cadevano, altrettanti erano pronti a combattere. Presto furono sul Cavaliere e lo circondarono, costringendolo a terra.

Aires continuava a battersi. Dal clamore capì che la battaglia era ricominciata e sorrise, mentre il suo nemico la faceva a pezzi a furia di piccole ferite e stoccate andate a segno. Con ogni probabilità sarebbero tutti morti, per mano di quei due maledetti. Ma che scelta avevano? Non potevano fare altro che sacrificarsi per ciò in cui avevano sempre creduto. In ogni caso, non sarebbe stata una morte inutile, perché ora i due Cavalieri erano impegnati con loro e dunque non erano al fronte, a ostacolare le truppe. Nihal sarebbe potuta entrare nelle viscere della Rocca e avrebbe sgozzato il Tiranno. La loro morte avrebbe significato la salvezza di molti.

39

La guerra di Ido e Deinoforo

Ido doveva condurre Soana al sicuro; ora che l’incantesimo era stato evocato, la maga era una donna qualunque, indifesa. Lo gnomo però era restio ad andarsene e lasciare Nihal sola al di là del fronte, innanzi alla Rocca e alla desolazione della Grande Terra, dove presto sarebbero accorse schiere di nemici decisi a impedirle l’accesso alla dimora del loro sovrano.

«Non temere per me, so quel che faccio. Soana non può rimanere qui e tu hai una battaglia da portare a termine» disse Nihal al suo maestro.

Ido fece salire Soana sulla groppa di Vesa e volò via. Sapeva che il destino della sua allieva era legato a quello del Tiranno, che Nihal era da tempo destinata a varcare le soglie di quel palazzo e scontrarsi con lui.

Lasciò la maga molto al di là del fronte, dov’era certo che fosse al sicuro. Quando la salutò, capì quanto doveva essere difficile per lei attendere impotente la fine di quella giornata.

«È anche grazie a tutto ciò che hai fatto in questi anni che ora siamo qui» le disse prima di salutarla.

La maga abbassò il capo per qualche istante, poi tornò a guardarlo. «Cercherai Deinoforo?» chiese.

«Sì. E concluderò per sempre questa storia.»

Soana gli sfiorò una mano. «Stai attento.»

Ido abbassò la celata dell’elmo e alzò la spada in segno di saluto. «Ci vedremo stasera» disse e si levò in volo.

Lo gnomo si mise subito alla ricerca del suo nemico, ma Deinoforo non si fece vedere a lungo. Ido si diede da fare con i soldati semplici e con i Cavalieri minori. Non si risparmiò e lottò con tutte le sue forze. Memore del suo ultimo tragico errore, non si distrasse mai e più di una volta giunse in soccorso di un compagno in difficoltà, ma l’ansia cresceva.

Quella era l’ultima opportunità che aveva di chiudere i conti con Deinoforo. Seguitò a combattere e, a mano a mano che le ore passavano e il sangue si accumulava sulla spada, era sempre più impaziente di vedere la figura vermiglia del suo avversario stagliarsi all’orizzonte, sul grigio opaco delle nuvole di quel mattino.

Ido fu tra i migliori in campo e riuscì a guadagnare terreno, tanto che si ricongiunse a Nihal. La vide da lontano, mentre sorvolava il campo e si batteva insieme a Oarf. Era assorta nella sua missione, lo sguardo rivolto alla Rocca.

Lo gnomo riuscì ad avvicinarsi in volo alla mezzelfo. Il sole era alto, quasi allo zenit, e Ido vide che le loro truppe erano penetrate per un buon tratto nella Grande Terra. La Rocca si stagliava innanzi a loro più imponente che mai. «Vedo che hai fatto un buon lavoro» disse a Nihal, approfittando di una pausa.

La sentì respirare affannosamente sotto l’elmo e si preoccupò. Non poteva essere solo la stanchezza, quando lottava Nihal aveva una grande resistenza.

«Come vedi, me la cavo meglio se non ci sei» disse lei con una risata, poi riprese ad ansimare. «Hai sconfitto Deinoforo?»

«Non l’ho nemmeno visto» rispose Ido.

«Hai rinunciato?»

Lo gnomo si deterse il sangue e il sudore dalla fronte. «Non dire idiozie, sto solo aspettando che si faccia vivo.»

Non appena il sole superò lo zenit, annunciando l’inizio del pomeriggio, Deinoforo fece la sua comparsa sul campo. D’un tratto Ido vide alzarsi del fumo davanti a sé e numerosi soldati fuggire colti dal panico. Due ali di uomini si aprirono e lo gnomo si trovò di fronte l’imponente drago che gli sbarrava la strada. In groppa all’animale, spiccava la fiammeggiante armatura rossa del suo nemico. L’ora era giunta.

«A quanto pare siamo all’ultimo atto» disse Deinoforo.

Ido tacque. Il sangue gli salì alle tempie e lo sguardo volò al braccio del Cavaliere. Al posto della mano perduta c’era un arto meccanico, il cui metallo baluginava alla luce del pallido sole.

«Stavolta non mi accontenterò di nulla di meno della tua vita» aggiunse il Cavaliere di Drago Nero.

«Non credere che per me sia diverso» rispose Ido. Levò la spada in segno di saluto e Deinoforo fece altrettanto.

Si scagliarono l’uno contro l’altro e si alzarono in cielo facendo cantare le spade.

Dapprima si studiarono, e lo stesso fecero i draghi che, al pari dei loro Cavalieri, avvertivano la fatalità dello scontro. Ido e Deinoforo fraseggiarono con le spade, intrecciarono complessi arabeschi di parate e attacchi fra le scintille che scaturivano dall’urto delle armi. I draghi contraevano i fianchi e scartavano di lato per schivare i colpi e i Cavalieri si contorcevano in sella per dar forza ai fendenti ed efficacia alle mosse di difesa.

Ido notò subito che gli strani bagliori che illuminavano l’armatura di Deinoforo erano spenti e la sua spada brillava solo per il riverbero della luce del pomeriggio. Dunque era stato un incantesimo a rendere invincibili quella spada e quell’armatura, ma Nihal con il suo rito lo aveva spazzato via.

Combatterono a lungo, senza che nessuno dei loro colpi andasse a segno: sembravano divertirsi, a rincorrersi e sfuggirsi con le spade, quasi stessero giocando. Poi Ido fintò e una stoccata raggiunse l’armatura di Deinoforo; il colpo era stato abbastanza vigoroso e la corazza venne scalfita. I due si separarono.

Ido scoppiò in una risata, mentre cercava di riprendere fiato. «Oggi non hai nessuna diavoleria magica dalla tua» disse. Indicò il metallo danneggiato.

Deinoforo riprese fiato. «Non sarà certo questo a impedirmi di prendere la tua testa.»

Si gettò su Ido con violenza e lo scontro riprese. Sotto di loro la battaglia infuriava, migliaia di uomini cadevano per forzare i pesanti battenti della Rocca o per proteggerli, ma per i due Cavalieri c’erano soltanto il cielo e il nemico.

A ogni scontro con Deinoforo, Ido vedeva venirgli incontro tutto il suo passato, con il suo seguito di fantasmi e di rimorsi. Ripensava a suo fratello Dola, ai molti nemici che aveva sconfitto e al Tiranno, all’orribile eredità che gli aveva piantato nel cuore e a tutto ciò che gli aveva sottratto, suo padre e suo fratello per primi. Intensificò gli attacchi, ma sapeva che il duello vero ancora non era iniziato.

Poi, quando Ido non se l’aspettava, la mano meccanica di Deinoforo lo agguantò con una presa decisa, mentre cercava l’unico occhio rimasto.

Ido si difese con un fendente. La mano metallica mollò la presa, ma si portò via un brandello di pelle. Lo gnomo vide di nuovo tutto rosso, come il giorno in cui era diventato orbo. Spaventato, si rannicchiò su Vesa e fuggì.

Stavolta fu Deinoforo a ridere. «Vedo che ricordi quel giorno, Ido. Anch’io non posso dimenticarlo, perché prima di allora nessuno era riuscito a farmi neppure un graffio, sul campo di battaglia. Tu fosti il primo e per questo non potrò mai perdonarti, fino a quando non ti avrò fatto a brandelli e avrò ripagato la mano che mi rubasti. Per questo ti odio, e perché tradisti.»