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Ido cercò di riprendersi dal dolore e si asciugò il sangue che gli colava sul viso e gli annebbiava la vista. Deinoforo alzò la spada innanzi a sé e si lanciò su di lui.

Iniziarono a combattere con più foga. Molti colpi andavano a segno da ambo le parti e le armature si riempirono di ammaccature. Ido riuscì a ferire Deinoforo a un fianco, in profondità, nel punto in cui la corazza si innestava sulla parte inferiore dell’armatura. L’avversario rispose colpendolo con violenza al braccio.

Sfiancati, si separarono un’altra volta. Rimasero per un po’ a studiarsi, con odio e ammirazione, e in cuor loro gioivano, perché l’avversario che avevano davanti era fuori dal comune.

«I veri guerrieri si affrontano a terra» disse Deinoforo, e ripose la spada nel fodero. «Ti propongo di continuare lo scontro senza i draghi.»

Ido annuì e ripose a sua volta la spada nel fodero; aveva troppa stima del suo avversario per sospettare che si trattasse di un trucco e che Deinoforo intendesse approfittare di quella pausa per colpirlo.

Scelsero un luogo isolato, lontano dal clamore della battaglia. Mentre si preparavano a continuare il duello, Ido dovette ammettere con rabbia che quell’uomo era un vero Cavaliere. Sapeva come stare su un campo di battaglia e, sebbene militasse nell’esercito del Tiranno e fosse spietato, aveva un suo codice d’onore.

«Non credo che il tuo capo sarebbe contento di te. Avevi l’occasione di ammazzarmi a tradimento e non l’hai fatto» disse Ido, mentre puliva dal sangue la spada.

«Il mio Signore sa com’è fatto questo suo servo, mai mi chiederebbe di venir meno a ciò in cui credo. Mi conosce meglio di chiunque altro.»

Ido rise. «Come puoi stare in quell’esercito di bestie? Proprio tu che hai militato nelle nostre file. Mi ricordo di te, Debar.»

Deinoforo sussultò. «Anch’io mi ricordo di te e dei tuoi patetici insegnamenti.»

«Insegnamenti che usi tuttora, a quanto ho avuto modo di vedere» replicò Ido.

Deinoforo si voltò di scatto. «Credi che il tuo esercito sia migliore? Non hai visto i tuoi leali uomini gettarsi sui fammin indifesi e spaesati, e ridere mentre li facevano a pezzi? Ti sembra un comportamento da guerrieri?»

Era vero. Non appena i soldati delle Terre libere si erano accorti che i fammin non erano più una minaccia, in molti si erano lanciati su di loro per massacrarli. Ido aveva cercato di impedirlo, uccidere i fammin ora che erano senza difese era da codardi, inutile e crudele, ma la strage era continuata.

«A questo non sai rispondere, eh, Ido?» continuò Deinoforo. «Hai abbandonato il nostro Signore per unirti a questa gente che striscia nel fango.»

«Io fuggii dalla spietatezza del Tiranno, da un mostro che mi costringeva a massacrare degli innocenti» ribatté Ido. «Tu combatti per chi ci toglie ogni speranza.»

«Combatto per l’unico che può dare speranza a questo mondo» rispose Deinoforo. «E lo dico perché mi parlò e mi tolse dall’errore in cui navigavo. Mi indicò la strada della salvezza. Perché questa terra non ha mai raggiunto la pace, Ido? Te lo sei chiesto?»

«Finché ci sarà gente come il mostro per il quale combatti, non ci potrà mai essere pace.»

Deinoforo non fece neppure caso a quelle parole. «Perché la gente di questo mondo è incapace di governarsi, perché lasciata a se stessa non fa altro che uccidersi. Furono l’odio e la meschinità della gente per cui ora combatti a togliermi tutto. Furono i miei stessi compagni d’armi, le persone che mi avevano visto crescere, a violentare mia sorella e a linciare la mia famiglia. Io mi salvai per miracolo. Vagai per mille contrade, fuggii da me stesso e da ciò che ero stato, senza avere più nulla in cui credere, e quando giunsi al fondo della disperazione fui fatto prigioniero dal Tiranno. Egli mi svelò tutto. Mi raccontò della guerra dei Duecento Anni, della falsa pace di Nammen, dell’odio che da sempre percorre queste lande. Mi disse che tutto sarebbe finito, con Lui. Quando le Otto Terre saranno soggette solo al Suo comando, ci saranno pace e giustizia ovunque. Per questo ho abbandonato il vostro esercito, per entrare nella Sua Luce. E per questo ti batterò, Ido, tu che hai tradito.»

Si tolse l’elmo e Ido riconobbe il giovane che aveva militato con lui, i capelli ricci, gli occhi grigi e pensosi. Non era cambiato molto, aveva il volto più adulto e tormentato, ma era lo stesso di allora. Anche Ido si tolse l’elmo ed esibì la cicatrice che gli solcava mezza faccia.

Deinoforo sguainò la spada e lo gnomo non fu abbastanza pronto. La lama nemica lo ferì a una gamba. Cadde in ginocchio e Deinoforo sollevò la sua arma, pronto a dargli il colpo di grazia. Ma Ido non era sconfitto e il combattimento riprese. Mandò a segno altri due colpi e Deinoforo iniziò a perdere molto sangue. Entrambi caddero a terra e lo scontro riprese con furia, ma ormai erano allo stremo, feriti e stanchi.

«Puoi ingannare tutti gli altri con questo tuo edificante raccontino» iniziò Ido «ma non me. Io ho combattuto con il Tiranno e so quali sono i motivi che spingono a diventare suoi gregari. Pace? Armonia? Vendetta, piuttosto. Anch’io rimasi al suo servizio per saziare la mia voglia di uccidere, perché c’erano sempre nuove battaglie da combattere, nuovi nemici da sconfiggere e sangue a volontà. Tu non lo fai per altro che per questo.»

Deinoforo si scagliò di nuovo su di lui. I loro colpi ormai erano imprecisi, ma la battaglia era giunta al culmine. D’improvviso, ciascuno dei due rappresentava per l’altro tutto ciò che aveva cercato di seppellire in fondo a se stesso, e lottavano per sopravvivere.

«Tu non sei degno di giudicare né me né il mio Signore» disse Deinoforo nella foga del duello colpendo Ido al petto.

Lo gnomo cadde a terra, ma la corazza aveva attutito il colpo. Deinoforo fu su di lui con un balzo e cercò di infliggergli la stoccata finale. Ido la schivò spostandosi di lato.

«Smettila di raccontarti menzogne» ribatté lo gnomo, e di nuovo vide gli occhi del suo avversario brillare.

«Taci!» gli intimò Deinoforo.

Ido si alzò in piedi; il dolore al petto era terribile e dovette sorreggersi alla spada. «Tu stai con il Tiranno soltanto per vendicarti» proseguì «il resto sono fandonie, e lo sai. Quanti innocenti hai ucciso? Credi di essere diverso da coloro che hanno assassinato la tua famiglia?»

Ido vide il dubbio farsi strada negli occhi del suo rivale e capì di aver toccato i tasti giusti, ma presto quel barlume di incertezza venne sommerso dall’ira. Deinoforo riprese in mano la spada e si lanciò sullo gnomo.

Ormai non era più un duello, era quasi una rissa, una lotta senza quartiere. I movimenti dei due erano scoordinati e quasi nessun colpo andava a segno. Ido si costrinse a combattere con più convinzione e quando vide l’elsa della sua spada, stretta nella mano insanguinata, d’un tratto ricordò tutto ciò che lo aveva portato su quel campo di battaglia, gli anni di guerra e la sensazione di non poter riscattare il male compiuto. Ritrovò le ragioni che l’avevano spinto ad affrontare Deinoforo. Doveva affermare la sua scelta, l’imperativo morale che lo aveva salvato quando aveva abbandonato le truppe del Tiranno.

Strinse la mano sull’elsa della spada e riprese a combattere, aggrappato alle ultime energie che gli erano rimaste. Il suo scatto stupì Deinoforo, che indietreggiò preso alla sprovvista.

Ido vide l’atteggiamento del suo avversario mutare davanti ai suoi occhi. Sembrava che le sue forze si fossero esaurite, che si sentisse già sconfitto e avesse perso la voglia di combattere, nonostante fosse in vantaggio. Un colpo raggiunse Deinoforo a tradimento al ventre, sotto l’armatura, dove già una volta la spada di Ido aveva trovato la via facile, ma stavolta la lama si immerse in profondità e il Cavaliere cadde al suolo.

Ido guardò il sangue del suo nemico bagnare la terra e allargarsi lento in una chiazza rossastra, e capì d’averlo sconfitto. Sentì, amaro, il sapore della vittoria.

«Hai smesso di combattere...» mormorò Ido, mentre riprendeva fiato. Si era accorto che Deinoforo aveva abbassato la guardia. «Perché ti sei fatto ammazzare?»