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Deinoforo respirava a fatica e accennò un sorriso. «Non c’è nulla da dire, mi hai battuto. Ma sono felice che sia stato tu, morirò per mano del Cavaliere più forte del campo.»

Lo gnomo vide Deinoforo chiudere gli occhi e cadde a terra sfinito. Quando sentì che il suo nemico aveva smesso di respirare, senza sapere perché, iniziò a piangere. Piangeva per Deinoforo, per suo fratello, per la guerra e il sangue versato. Poi, il buio calò su di lui e sulle sue lacrime.

40

La guerra di Nihal e Aster

Quando Ido l’aveva lasciata, Nihal aveva indietreggiato per portarsi più vicino al confine e aveva iniziato a combattere, dapprima sola, poi circondata dalle truppe delle Terre libere, che nel frattempo avevano sfondato la linea del fronte.

Si avvicinava sempre più alla Rocca. A un tratto alzò lo sguardo e si accorse che la fortezza del Tiranno la sovrastava. Nihal non l’aveva mai vista tanto da vicino: era nera, un groviglio di pinnacoli, statue e mostruosi ornamenti. Le truppe stavano combattendo tra i suoi enormi tentacoli, ciascuno dei quali si allungava minaccioso verso una Terra del Mondo Emerso. Come tutte le cose terribili, la costruzione era di una bellezza inquietante: il tetto era acuminato e lambiva il cielo in un sogno di dominio senza fine, mentre la sua base era larga e massiccia. I nemici uscivano a migliaia dai tentacoli e dai passaggi segreti, ma molti di loro erano fammin che vagano spaesati per il campo, per poi essere trucidati.

Per qualche secondo Nihal restò con gli occhi al cielo, soggiogata dalla grandezza di quella costruzione, dal senso di oscuro mistero che emanava, insieme a un’attesa gravida di minaccia. Poi si riscosse e riprese a combattere. La potenza dell’amuleto le mozzava il fiato in gola. Nihal sentiva le energie fluire dalle otto pietre del talismano, che a poco a poco si intorbidavano sempre più.

Si batteva con coraggio e con foga, in groppa a Oarf, mentre vedeva la Rocca ingigantirsi e i portoni che la chiudevano farsi sempre più vicini.

Infine, quando il pomeriggio aveva steso le sue dita sulla piana, Nihal giunse con un drappello a ridosso dei battenti neri.

I soldati approntarono un ariete e iniziarono ad abbattere le porte; forse un tempo c’era stato un incantesimo a vincolarne la serratura, ma ora erano solo due pesanti pezzi di legno che cedevano sotto i colpi dell’ariete. Non ci volle molto per vincerne la resistenza e si abbatterono al suolo con un tonfo.

Nihal levò la spada. «Avanti!» urlò con quanto fiato aveva in corpo.

In quell’istante pensò a Seferdi, al suo portone divelto, e gioì all’idea che stava restituendo al Tiranno parte del male inflitto alla città.

Quell’attimo di distrazione rischiò di esserle fatale.

Un nemico, alle sue spalle, stava prendendo la mira con l’arco, forse inconsapevole che con quel gesto era sul punto di decidere le sorti della guerra.

Raven, occupato a ristabilire la calma in mezzo alla mischia esultante, vide l’arco lontano puntato contro la loro unica speranza e non esitò. Si lanciò nella direzione della freccia e si frappose sul suo cammino.

Nihal ebbe solo il tempo di voltarsi e vedere la freccia destinata a lei penetrare con facilità la corazza del Supremo Generale e conficcarsi nel suo petto. La mezzelfo capì che cos’era accaduto e rimase ferma a guardare la morte di un vecchio nemico che le aveva salvato la vita.

Per ironia della sorte, ad aprirle la strada era stato proprio chi in passato aveva fatto di tutto per chiudergliela.

«Vai!» disse Raven, prima di cadere dal drago e rotolare a terra.

Fu l’ultimo ordine del Supremo Generale e Nihal obbedì. Si voltò verso le porte sfondate e con un urlo si precipitò dentro, in groppa a Oarf, seguita da molti uomini.

L’interno della Rocca era invaso dall’oscurità. Nihal si trovò in un corridoio dalla volta a sesto acuto, tanto ampio che Oarf poteva passarci comodamente. Lo percorsero in un silenzio assoluto, quasi quell’immenso palazzo fosse disabitato.

Nihal non riusciva a percepire nulla, nonostante l’incantesimo avesse acuito le sue capacità. Eppure il Tiranno doveva essere lì: vie di fuga non ce n’erano, la piana era invasa dagli eserciti. A lungo, Nihal e gli uomini entrati con lei non sentirono altro che i propri passi sul pavimento. Poi, da lontano, giunse un rapido scalpiccio. Guardie in avvicinamento.

Nihal brandì la spada innanzi a sé. In breve la sala si riempì di innumerevoli creature mostruose, di una razza indefinibile. Somigliavano ai fammin, ma erano più piccoli, glabri e magrissimi; la pelle rossiccia si tendeva sulle loro ossa innaturalmente lunghe. Erano armati e si gettarono sul nemico senza esitare. Il Tiranno doveva aver dato vita a quei servi senza ricorrere alla magia, tramite l’incrocio di razze o per mezzo di qualche alchimia.

Lo scontro nel corridoio fu lungo e sanguinoso. Nihal combatté con la spada, mentre Oarf si abbatteva con la forza delle sue mascelle su quegli esseri sciancati, eppure incredibilmente forti e agguerriti. Sembravano non finire mai; non appena una fila veniva abbattuta, subito ce n’era un’altra pronta a immolarsi.

Nihal a un tratto capì che era giunto il momento di andare avanti con Oarf. Così avanzò di quel tanto che bastava per lasciarsi alle spalle i soldati, quindi ordinò al drago di sputare fuoco. Una strada lastricata di corpi bruciati si aprì innanzi a lei. «Chi può mi segua!» urlò, e riuscì a forzare il blocco con alcuni dei suoi.

Si allontanarono e sbucarono in una vasta sala. Era completamente vuota e più buia del corridoio. Le pareti però brillavano di una luce sinistra: cristallo nero. Nihal e i suoi ripresero ad avanzare. Furono attaccati da una moltitudine di quegli esseri disgustosi, ma Oarf li spazzò via con le fiamme.

Superarono molti corridoi e stanze tutte identiche e vuote, e si ritrovarono in uno spazio aperto. Doveva trattarsi di un’arena. In un angolo, infatti, c’erano enormi rastrelliere per le armi, ora vuote, e numerosi ceppi, le cui catene erano tanto massicce da poter trattenere dei draghi.

Nihal si alzò in volo con Oarf, nella speranza di individuare il luogo dove Aster si nascondeva, ma non c’era nulla che la aiutasse a orientarsi. Su un lato dell’arena si innalzava il corpo della torre centrale della Rocca, trapunta da un’infinità di finestre, di cui molte illuminate. Erano disposte in modo irregolare, quasi casuale. Quella costruzione aveva l’aria di essere una sorta di labirinto.

Nihal iniziò a scendere. Fu allora che il suo sguardo cadde su un dente lontano della Rocca. Era basso e tozzo, e in parte sembrava sprofondare nelle viscere della terra. Sui lati si aprivano anguste finestre, chiuse da pesanti sbarre. Prigioni. Nihal sentì un tuffo al cuore. Sennar poteva essere lì. Sennar era lì!

Ebbe l’impulso di correre in quella direzione e cercarlo, ma si trattenne. Aveva promesso di portare a termine la missione. Salvarlo e non abbattere il Tiranno sarebbe stato inutile, nel mondo di Aster non c’era posto per loro due. Doveva trovare quel maledetto il prima possibile.

Non appena Oarf si fu posato a terra, Nihal si guardò intorno e si rese conto che il drago non sarebbe potuto entrare nelle stanze che le si paravano di fronte; intravedeva solo aperture piccole, a misura d’uomo o poco più.

«Devo abbandonarti qui, non puoi più seguirmi» disse dopo essersi voltata verso Oarf. Il drago rispose con un grugnito di diniego, ma Nihal gli accarezzò il muso. «Combatti qui, trattieni le guardie, anche così mi sarai utile. Ci vedremo quando tornerò vittoriosa» disse, e per la prima volta da quando lei e il suo drago si conoscevano, gli diede un timido bacio sul muso. Poi si lanciò verso una delle porte.

C’era ancora qualche uomo con lei, ma erano pochi. Attraversarono molti saloni, stanze zeppe di libri, sale d’armi; sembrava di girare in tondo, senza riuscire a individuare la meta. Di tanto in tanto qualche sentinella cercava di sbarrare loro la strada, ma Nihal le spazzava via senza difficoltà. Alcuni dei suoi soldati rimasero indietro a combattere, altri caddero negli scontri.