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Il tempo trascorreva inesorabile e quando la mezzelfo guardò fuori da una delle finestre, si accorse che era pomeriggio inoltrato. Doveva agire in fretta. Quando il sole fosse calato, avrebbe trascinato con sé ogni speranza.

Il dolore che le attanagliava il petto aveva iniziato a diffondersi a tutto il corpo e una stanchezza profonda si impadroniva di lei; le pietre del talismano erano sempre più scure.

Non prima di aver compiuto quel che devo. Non prima di averlo rivisto e salvato.

Giunse infine in una sala immensa, alta decine di braccia e infinitamente lunga, tanto che la parete opposta non era visibile. Era zeppa di libri; molti Nihal li aveva già visti, ma molti altri le erano sconosciuti. Alcuni erano in idiomi ormai caduti in disuso, scritti in simboli arcani e vergati in rune di morte, foriere di sventura.

La biblioteca. Era lì che il Tiranno aveva costruito la sua magia e la sua forza.

Nihal iniziò a vagare tra gli scaffali, alla ricerca dell’uscita, ma non la trovò e finì col girare in tondo. Quando per l’ennesima volta si ritrovò al punto di partenza, levò un grido e si gettò con la spada sul primo scaffale che aveva davanti. Una nuvola di fogli e schegge di legno l’avvolse, mentre lei continuava la sua opera di distruzione, finché non udì un grido e si fermò.

Ai suoi piedi, tremante, c’era un uomo magro ed emaciato, che stringeva le ginocchia tra le braccia. «Non mi uccidere, non mi uccidere!» ripeteva con una vocina stridula e servile. «Non ho fatto niente!»

Quell’assurda cantilena e il tono lamentoso della voce dell’uomo le fecero salire il sangue alla testa. Nihal sollevò la spada su di lui, ma quello le si aggrappò alle ginocchia.

«Risparmiami!» urlò.

Nihal lo allontanò con un calcio. «Dov’è il tuo padrone?»

Quello scosse la testa terrorizzato. «Io... io non lo so...»

«Dov’è il Tiranno?» gridò Nihal, mentre gli puntava la spada alla gola. «Dimmelo o ti ammazzo.»

«Nella sala del trono!» rispose subito l’omuncolo.

«Idiota! Non so dove si trovi la sala del trono. Indicami la strada!» urlò ancora Nihal.

L’uomo alzò una mano e indicò una direzione, in fondo alla sala; tremava convulsamente. «L-l-l-là in f-f-f-fondo ci sono i laboratori... s-s-s-se li a-a-attraversi trovi delle scale.» Deglutì. «Salile per v-v-venti rampe e troverai quello che c-c-c-cerchi.»

Nihal corse verso la direzione indicatale. Le ci volle qualche minuto per attraversare la biblioteca, ma infine sbucò in un nuovo ambiente, più angusto. Il buio era fitto e regnava un odore insopportabile di stantio e di muffa, assieme a quello dolciastro della putrefazione. Laboratori. Quelli erano i laboratori.

Nihal iniziò a tremare, perché immaginava cosa potesse essere celato in quel luogo. Non appena i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, poté vedere con chiarezza. Quel posto le ricordò l’antro di Reis. Dal soffitto pendevano erbe di ogni tipo e gli scaffali erano pieni di strani barattoli e albarelli. Nihal avanzò cercando di non guardare, perché era già sazia di orrori, ma presto fu investita dall’odore del sangue. Fu allora che li vide.

C’erano corpi sezionati, barattoli colmi di organi e carne sanguinolenta. C’erano strane creature in catene, alcune delle quali cercarono di avventarsi contro di lei non appena la videro, e incroci tra razze, membra straziate, esperimenti mostruosi. Nihal non poté fare a meno di pensare a Malerba. Era da lì che proveniva, dunque.

L’ira la travolse e i suoi passi si fecero sempre più rapidi, fino a diventare una fuga precipitosa. Corse più veloce che poté, con il petto in fiamme, e quando vide le scale le parvero la salvezza. Vi si gettò e iniziò a salirle a grandi falcate.

Dove sei, maledetto, dove sei?

La salita le parve interminabile e dopo un po’ dovette fermarsi perché le mancava l’aria. Il dolore era aumentato e Nihal si accasciò sulle scale. Guardò il talismano e vide che due pietre erano ormai nere. Il tempo passava inesorabile e lei non poteva permettersi il lusso di indugiare.

Non c’era solo il Tiranno ad attenderla, ma anche Sennar. Per un istante l’immagine del mago si sovrappose agli orrori che aveva visto nel laboratorio, ma Nihal scacciò subito quel pensiero. Doveva alzarsi e andare avanti. Si sollevò, ma le mancava il fiato.

Infine, giunse alla sala. Si riposò un istante, mentre il cuore iniziava a batterle più forte. Sentiva una presenza in quel luogo. C’era qualcuno. Aster.

Nihal si guardò intorno. Era un immenso salone dalla volta acuta, diviso in cinque navate da colonne tanto grandi che tre uomini non sarebbero bastati a circondarne la base con le braccia. Non c’erano decori, non c’erano statue né bassorilievi, solo ampie pareti nude e l’imponenza delle enormi vele sul soffitto.

Nihal si sentì minuscola. Ora però percepiva distintamente l’emozione che pervadeva l’ambiente: era la disperazione, una disperazione tanto profonda da non avere parole per descriverla, e poi c’era la solitudine, schiacciante.

«Perché indugi, ora che sei arrivata?»

Nihal sentì il cuore scoppiarle in petto. Era lui. La voce però non era quella che si aspettava. Aster doveva essere anziano, ma quella non era la voce di un vecchio; sembrava una voce di donna, o di bambino. Nihal si alzò in piedi e puntò la spada innanzi a sé. Iniziò ad avanzare nella sala, il rumore dei suoi passi riecheggiava fra le pareti nude.

Attraversò due navate e giunse in quella centrale, larga almeno trenta braccia. Il fondo era buio, ma Nihal sapeva che lui era lì. Avanzò ancora e a poco a poco l’oscurità fu rischiarata da una tenue luce. Nihal intravide la sagoma di un trono altissimo.

«Non ha più senso avere paura, ora che sei qui» disse ancora la voce.

«Sei Aster?» Nihal si fermò. Ora era calma, non provava più odio, solo paura, un terrore sottile e gelido.

«Sì» disse la voce.

Era lui. Infine.

«Dopo avermi odiato per tutto questo tempo, non vuoi vedermi?» chiese il Tiranno.

Nihal avanzò e iniziò a distinguere la figura seduta sul trono. Era incredibilmente minuta, un uomo a metà. Uno gnomo, forse? La figura si alzò e fece qualche passo avanti, finché non si trovò sotto il cono di luce proiettato da una vetrata dietro il trono. Nihal raggelò e la spada le tremò fra le mani.

Dinanzi a lei c’era un bambino di una bellezza inquietante. Poteva avere al massimo dodici anni. Indossava una lunga casacca nera, con un largo colletto e un occhio blu dipinto sul petto; una casacca da mago. Gli occhi brillavano di un verde smeraldo e i capelli erano d’un blu profondo, ricci, con qualche boccolo capriccioso che scendeva sulla fronte. Sotto quella coltre del colore della notte spuntavano due orecchie appuntite.

«Aster dove sei?» chiese Nihal con la voce rotta dalla paura, non osando guardare oltre il bambino.

«Sono qui, sono io» rispose tranquillo il piccolo mago.

«Che cos’hai fatto a questo bambino, mostro!» urlò Nihal.

Il bambino si rattristò. «Ma come, Nihal, non ti sei sempre sentita sola? Non ti è sempre pesato essere l’ultima della tua razza? Dovresti essere contenta di vedermi...» Sorrise. «Non sei più sola, Nihal, anch’io sono un mezzelfo.»

Nihal indietreggiò terrorizzata. Non poteva essere. «Aster è un vecchio, sono quarant’anni che regna.»

«Sono più vecchio di quel che sembro, Nihal, sono molto vecchio e molto stanco, a dire il vero.»

«Non è possibile!»

«Fu il padre della donna che amavo a darmi questo aspetto. Era un mago potente e quando scoprì il nostro amore mi impose un sigillo. Fino al giorno della mia morte, io resterò bambino.»

Nihal continuava a indietreggiare, inorridita. Le sembrava un incubo. Aster la guardava con occhi innocenti e stupiti.

«Ti capisco, sai? Mi hai odiato per tutti questi anni, e adesso devi far coincidere l’immagine che ti eri fatta di me con il bambino che hai davanti. Eppure è così.»