Nihal si arrestò e alzò la spada, come se da un momento all’altro Aster potesse ucciderla. Era confusa, disorientata.
Aster continuò ad avanzare verso di lei. Più si avvicinava, più Nihal sentiva crescere il terrore dentro di sé. Si costrinse a guardare il suo nemico negli occhi. Ciò che vide furono i suoi stessi occhi. Non c’era odio, né la malvagità che Nihal era sicura di trovarci. Aster continuava a guardarla tranquillo, quasi accorato. Era proprio un mezzelfo.
La ragazza non aveva mai visto un suo simile, ma percepiva con chiarezza che quel bambino era come lei, come le figure sulla pergamena che Sennar le aveva dato tanto tempo prima, come le creature dei bassorilievi di Seferdi. Iniziò a tremare.
«Cos’è che ti terrorizza tanto di me? Che sono un bambino? O che sono un mezzelfo?» chiese Aster.
«Come hai potuto... tu sei uno di noi...» mormorò Nihal. «Erano i tuoi fratelli quelli che hai fatto sterminare...»
Aster sorrise. «Ho dovuto farlo» disse calmo. «Quando cominciai a costruire tutto ciò che vedi, quando iniziai la mia missione, un vecchio profetizzò che tu ti saresti messa sulla mia strada. Non mi disse di te, mi disse solo che un mezzelfo, come me, mi avrebbe ostacolato. Ciò che dovevo fare era troppo grande e troppo importante perché potessi permettere a qualcuno, chiunque fosse, di intralciarmi il cammino. Allora mandai le mie creature, i fammin che da poco avevo creato, nella Terra dei Giorni, e feci sterminare la mia stirpe.» La voce di Aster era gelida e indifferente.
«Non può essere come dici...»
«Invece sì, Nihal, l’ho fatto per causa tua. Se tu non ti fossi messa in testa di venire fin qui, dentro la mia dimora, a vendicarti, i mezzelfi sarebbero ancora nella loro Terra. Forse si troverebbero sotto il mio giogo, ma sarebbero vivi.»
Nihal riprese a indietreggiare, mentre le ultime parole del Tiranno le rimbombavano nella mente.
L’aveva sempre saputo, aveva sempre sentito di essere la causa di mille sventure, di portare la morte sul suo mantello. Molte vite si erano consumate per lei: il suo popolo, Livon, Fen, Laio, Raven... erano morti per causa sua.
«Non ti rammaricare» riprese Aster. «Alla fine sarebbero morti comunque. I mezzelfi, i tuoi amici, i popoli liberi, i popoli schiavi. Tutti.»
«Sei un mostro!» esclamò Nihal, giunta con le spalle al muro.
«Certo» disse Aster. «Non più di altri, però. Non più di te, o dei tuoi soldati, o di una qualsiasi delle creature senzienti che popolano questo mondo sciagurato. Non sono tutti là fuori a scannarsi a vicenda? Non sono davanti al mio palazzo a uccidersi senza pietà, provando gioia nel farlo?»
«Noi combattiamo per la libertà» ribatté Nihal.
«Voi vi illudete di combattere per la libertà» la corresse il Tiranno. «Eppure ormai dovresti avere capito. Sai che la pace non ha mai abitato queste lande, sai che i cinquant’anni di Nammen di cui voi ribelli vi riempite tanto la bocca furono solo cinquant’anni di guerre, silenti ma non meno sanguinose, sai che furono gli uomini ad abbattere Seferdi. Sai tutto, ma ti ostini a non voler vedere.»
«Ti sbagli. Vedo eccome. Ho visto i mostri nei tuoi laboratori, ho visto Malerba, ho visto i corpi appesi a Seferdi, ho visto i fammin costretti a combattere contro il loro volere. E sei tu l’artefice di tutto questo. Tu sei il Male, sei l’Odio» rispose Nihal tutto d’un fiato.
«Già, tu sei un’esperta in fatto di odio» ribatté Aster. Il suo sguardo si fece tanto penetrante che Nihal dovette abbassare gli occhi. «Hai massacrato centinaia di fammin senza chiederti se fosse giusto, per il piacere di uccidere. Hai amato la sensazione del sangue dei morti che ti scorreva sulle braccia, ti sei sentita potente ogni volta che hai trapassato a fil di spada uomini e gnomi. Vite spazzate via dalla tua lama nera. E non venirmi a raccontare che non eri crudele, perché non credo che sia stata una gran consolazione per tutti coloro che hai ammazzato.»
Nihal sentiva quelle parole scenderle fin nel profondo dell’anima e, una volta lì, scavare un solco dal quale uscivano a frotte tutti i fantasmi del passato, tutto ciò che credeva di aver seppellito in fondo al cuore. Era vero. Aveva amato il sangue e aveva ucciso per il piacere di farlo. «Tu non sei meglio di me!» urlò esasperata.
«Certo, ma allora che cosa ci fai qui? Ti senti in diritto di giudicarmi e punirmi? Nihal, viviamo in un mondo di imperdonabili peccatori, tutti siamo mostri» disse Aster calmo.
Nihal era colma d’ira. Quell’essere non si scomponeva, non si adirava, non la odiava. Come era possibile che la malvagità non fosse frutto dell’odio? Che sorgesse dal raziocinio? Erano la spietata freddezza di quel bambino, i suoi occhi pur sempre puri che Nihal non riusciva a comprendere e a odiare.
Aster iniziò a camminare avanti e indietro per la sala e Nihal seguì i suoi movimenti, come incantata. Il sole, dietro la vetrata, aveva iniziato la sua parabola discendente.
«Ne ho visti molti dei cosiddetti eroi delle Terre libere, e tutti dicevano le stesse cose: "Lottiamo per liberare questo mondo, per dargli una speranza". Non metto in dubbio che ci crediate, ma il vostro non è altro che un patetico tentativo di cercare una consolazione.»
«L’aspirazione a una vita pacifica e alla libertà è l’anelito più alto che un essere vivente possa avere» disse Nihal.
Aster scoppiò a ridere. «Oh, che parole poetiche! Non me le sarei mai aspettate da chi come te sa fraseggiare solo con la spada.» Riprese a camminare, poi si voltò di scatto. «Consolazione, null’altro. Vane illusioni destinate a spegnersi al soffio della brezza più lieve. Vi ci aggrappate come se fossero verità eterne, come se non ci fosse altra certezza che l’intrinseca bontà delle creature del Mondo Emerso. Ebbene, l’unica certezza è l’Odio. In questo mondo spira un vento malefico, che avvelena gli animi e corrompe i cuori; la malvagità permea ogni cosa, infetta la terra. Tutto è impregnato di odio, di desiderio di distruzione. Questa è l’unica verità che non possa essere confutata.»
«Io ho conosciuto persone pure» ribatté Nihal in tono disperato. «Persone che mi hanno aiutata quando ero rimasta sola, persone dedite al bene.»
«Lo erano solo perché non avevano ancora avuto l’occasione di comportarsi diversamente. Tutte le creature senzienti di questo mondo sono buone e gentili, finché l’odio che è in loro non trova una via per manifestarsi.» Si fermò e la fissò. «Anche il tuo caro Laio, il buon scudiero incapace di combattere, ha trovato infine la forza di uccidere.»
«Non osare infangare la sua memoria!» urlò Nihal.
«Non è mia intenzione» ribatté Aster con calma. «Ti sto solo provando che il bene è effimero e il male eterno. Ho sofferto molto per giungere a questa consapevolezza, ma l’ho accettata.» Aster tacque per un istante, e quando riprese sembrava che parlare gli costasse fatica. «Nihal, io ho creduto a lungo in ciò in cui credi tu. Io non sono un mezzelfo puro: mia madre era una mezzelfo, ma mio padre era un uomo. A quel tempo i matrimoni misti erano considerati una vergogna e le donne che se ne macchiavano erano destinate a una vita miserabile. Mia madre cercò a lungo di tenere nascosto il suo amore per mio padre, ma quando io nacqui, la verità non poté più essere celata. Non esistono mezzelfi con gli occhi verdi, Nihal. Per ordine del capo del mio villaggio, mio padre fu ucciso e mia madre marchiata a fuoco con il simbolo delle sgualdrine. Non avevo neppure tre anni quando divenne chiara la mia predisposizione alla magia. Forse fu l’effetto dell’incrocio tra le due razze, in ogni caso recitavo formule, parlavo con gli animali, e senza che nessuno me lo avesse insegnato.
«All’epoca, i maghi erano odiati nella Terra dei Giorni; il re aveva ordinato che fossero mandati in esilio, perché aveva paura del loro potere. Ebbene, fui condannato subito e senza appello; era l’occasione per togliersi di torno due scarti della società, un bastardo e una puttana. Ci costrinsero a vivere nel buio eterno della Terra della Notte.
«Eravamo poveri e non eravamo benvoluti da nessuna parte. Io per il mio aspetto e i miei inquietanti poteri, lei per il marchio che aveva sulla fronte. Fu una fanciullezza solitaria, la mia, e in quella solitudine l’Ideale fece il suo ingresso nella mia vita e infiammò il mio animo. Credevo con tutto me stesso che questo mondo potesse diventare perfetto, che tutti potessero avere pace e benessere, smettere di soffrire, e volevo contribuire a tale trasformazione. Mia madre ottenne di farmi studiare presso un mago e così iniziai il mio addestramento. In realtà non c’era molto che quel mago potesse insegnarmi e che io già non sapessi, ma quel maestro fu comunque una buona guida. Due anni dopo mia madre morì, in una delle tante guerre tra signorotti del luogo.