«Divenni mago a quattordici anni; nessuno era mai stato consacrato a un’età tanto giovane. Ricordo ancora la paura e lo stupore sui volti di coloro che mi esaminarono quel giorno. Mi ammiravano e mi temevano al tempo stesso. Poi chiesi al mio maestro di mettermi sotto la guida di un consigliere. Mia madre mi aveva parlato spesso di loro e io favoleggiavo di severi signori dalle lunghe barbe, chiusi in una sala a discutere dei destini del mondo. Volevo essere come loro. Furono due anni di studio durissimi. Ero chino sui libri giorno e notte, viaggiavo fino a biblioteche lontane, per impadronirmi di tutto lo scibile umano. Dormivo poco e mi sfinivo a furia di incantesimi. Fu così che trovai oscuri frammenti che parlavano della vita e del governo degli elfi, che scoprii che avevano unificato il Mondo Emerso sotto un unico grande principato e che avevano un solo sovrano.
«Mi parve di aver ricevuto l’illuminazione. Otto regni erano troppi e otto regnanti inutili. Il mondo aveva bisogno di un unico sovrano, un unico saggio che avrebbe guidato e plasmato al bene le anime degli uomini. A costo del proprio sacrificio, avrebbe controllato il mondo intero e l’avrebbe retto con giustizia. Non credere che volessi essere io quell’uomo, non mi reputavo abbastanza saggio, ma più ci pensavo, più mi convincevo che sarebbe stata quella la soluzione che avrebbe restituito la pace al nostro mondo.
«Entrai nel Consiglio all’età di sedici anni, e anche questo fu un primato. Non appena iniziai il mio lavoro di consigliere, mi resi conto che le cose erano molto diverse da come le avevo immaginate, ma credo che tu già lo sappia, perché il Consiglio non è cambiato da allora. C’era chi pensava al bene comune, ma la maggioranza dei consiglieri erano uomini meschini, attaccati con le unghie e con i denti al potere che si erano guadagnati con anni di intrighi e sotterfugi. Fui molto deluso, ma non mi arresi. Esposi la mia idea del sovrano unico e mi attirai l’odio di buona parte del Consiglio. Mi dissero che ero uno stolto, che quel che volevo era un despota che piegasse al suo volere gli animi, ma ciò che temevano in realtà era di perdere il loro potere.
«In quel periodo conobbi Reis. Era la figlia di uno dei più potenti membri del Consiglio, Oren, della Terra delle Rocce. Non appena la vidi, seppi che l’avrei amata per sempre. Era bellissima e altera, al suo confronto ogni altra bellezza sbiadiva. Reis fu per me il risveglio alla vita. Dapprima ci avvicinò la passione comune per la magia, poi ci amammo. Solo dopo qualche tempo lei parlò con suo padre. Oren disse che mai e poi mai avrebbe ceduto sua figlia a un bastardo arrivista come me, con la testa piena di fantasticherie pericolose, un mezzosangue dagli inquietanti poteri. Proibì a Reis di continuare a frequentarmi, ma il suo divieto non bastò a fermarci. Continuammo a vederci a sua insaputa, ci incontravamo di nascosto, nei luoghi più impensati e nei momenti più strani. Poi, tutto questo finì.
«Oren ci colse in flagrante e la sua ira fu furibonda. Trascinò via Reis per segregarla in un luogo a me ignoto e mi fece allontanare dal Consiglio e sbattere in una lurida prigione. Un giorno venne, mi condusse fuori dal cubicolo in cui mi aveva tenuto e mi trascinò fino al suo palazzo. Lì mi gettò ai piedi di una scala; sulla sommità stava Reis, splendida come sempre. Per un attimo, credetti che Oren ci avesse ripensato, che lei lo avesse convinto a lasciare che ci amassimo. La chiamai, ma non appena si voltò a guardarmi il suo volto fu trasfigurato dal disprezzo. "Come osi presentarti di nuovo alla mia vista, verme? Mi hai ingannata. Ti sei approfittato di me per i tuoi immondi scopi. Mio padre mi ha aperto gli occhi sulla tua malvagità. Non ti perdonerò mai, finché sarò in vita. Sparisci!" mi disse.
«Sentivo provenire da lei un odio profondo e inestinguibile, che mi raggelò il sangue. "Tuo padre ti ha mentito!" gridai, ma lei mi aveva già dato le spalle e si era allontanata.
«Rimasi da solo ai piedi di quella scala, le urlai la mia innocenza, ma Reis non tornò indietro. Sentii tutto l’odio che avevo percepito in lei rotolarmi addosso e soffocarmi con il suo peso. Fu allora che capii. Reis era stata plagiata da suo padre, Oren l’aveva convinta che il mio amore non fosse altro che un mezzo per arrivare al potere. Ma aveva potuto convincerla solo perché Reis odiava se stessa. Si odiava per la sua debolezza, per aver ceduto ai suoi sentimenti per me. Oren però non voleva solo vedermi morto, voleva umiliarmi, annientarmi. Mi impose un sigillo e mi ridusse nello stato in cui mi vedi. Dapprima non compresi perché lo avesse fatto; ero un mago potente e tale sarei rimasto anche sotto le spoglie di un bambino. Poi, nella solitudine della cella, capii che in quel modo aveva impedito per sempre che qualunque altra donna mi desiderasse, mi aveva privato della possibilità di essere amato. Quindi mi fece giudicare dal Consiglio e fui condannato a morte. Non poté sopprimermi, però, perché fuggii.» Dopo quelle parole, Aster tacque.
«Tu menti» disse Nihal. «Tu hai ingannato Reis, per questo ti odia. L’hai ingannata e l’hai tenuta prigioniera alla Rocca, per approfittarti di nuovo di lei.»
Aster si voltò verso Nihal e la guardò con tristezza; i suoi occhi erano lucidi. «Non dire cose in cui nemmeno tu credi. Anni fa, nonostante il mio aspetto, volli rivederla. Quando il Cavaliere a cui avevo affidato quella missione la trovò, la portò qui alla Rocca. Dapprima Reis reagì come hai fatto tu, cercò il Tiranno intorno a me. Quando capì, fu anche peggio. Il suo volto fu trasfigurato dal disgusto. Provai a ricordarle il nostro amore, a supplicarla di non fermarsi a ciò che vedevano i suoi occhi, ma fu inutile. La tenni con me per qualche tempo, nella speranza di convincerla della purezza dei miei sentimenti, ma Reis credeva che la sua bellezza fosse tutto ciò che desideravo di lei, e il suo odio per me e per se stessa cresceva. Così deturpò il proprio viso e il proprio corpo, giorno dopo giorno. Allora capii che non avrei più ritrovato la persona che avevo amato, che il suo odio era troppo potente, e la lasciai andare. Prima però volli entrare nella sua mente per cercare un’ultima traccia del suo amore per me.» A quell’ultima frase, Nihal rabbrividì. «Fu terribile, perché la sua mente era offuscata dall’odio. Riuscii però almeno a cancellare il ricordo del mio aspetto, perché non potesse rivelarlo a nessuno.»
«Tu menti!» ripeté Nihal.
«Non mento e lo sai, perché lo senti nel cuore.»
Era vero. Nihal sentiva che Aster era sincero, che mai aveva cessato d’amare Reis. Era stata lei a trasformare con il suo odio ciò che c’era stato fra loro.
Aster si avvicinò a una finestra e riprese il suo racconto, mentre l’ultima luce del giorno incorniciava la sua piccola figura. «Quel secondo rifiuto non fu che una conferma di ciò che già avevo capito. Era stato quando Reis mi aveva voltato le spalle, sulla sommità di quella scala, che avevo compreso la verità nella sua spietatezza e avevo avuto il coraggio di accettarla. Tutte le creature di questo mondo sono fatte per odiare. Gli dèi ci hanno creato perché ci odiassimo e ci uccidessimo l’un l’altro, e ora ci guardano, ridono della nostra lotta. Non siamo che un trastullo per gli dèi, burattini nelle loro mani. Pensaci bene, Sheireen, e capirai che ci sono molti più uomini disposti a morire per odio che per amore. E questo perché l’odio è eterno e l’amore è effimero.»