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Le mancava il fiato e le pietre erano quasi tutte nere. Il Mondo Emerso era salvo e lei perduta.

Il pugnale che Sennar le aveva dato era ancora all’interno dello stivale. Con le lacrime agli occhi, Nihal lo prese e lo strinse tra le mani. Vedere la lama spenta l’avrebbe aiutata ad accettare la realtà, così lo sguainò.

Non appena posò gli occhi sull’arma, il suo cuore sussultò. Era illuminato. La luce era debole, morente, ma rischiarava la lama. Il Tiranno le aveva mentito, per giocare la sua ultima carta. Sennar era vivo!

Nihal non si concesse il tempo di esultare, non poteva perdere un istante. La Rocca stava crollando, se voleva salvare Sennar doveva sbrigarsi. Scattò in piedi e il movimento le mozzò il fiato in gola per la fatica. Non sentiva più nemmeno le gambe. Guardò fuori dalla vetrata, dietro il trono, e vide che il sole calava inesorabile. Si fece forza e seguì la fioca luce del pugnale.

Iniziò a correre. La terra le cedeva sotto i piedi, le scale si accartocciavano. La Rocca, priva della sua anima, si afflosciava inerte su se stessa. Nihal correva in quel palazzo morente e le pareti si sfaldavano sotto il suo tocco, lasciandole le mani coperte di polvere nera. Le colonne crollavano, brandelli di muro si abbattevano al suolo.

Lo troverò, lo troverò e saremo felici, come meritiamo.

L’aria le mancava, ma continuò a correre, nonostante le gambe fossero sempre più deboli e il dolore al petto sempre più insopportabile. Attraversò i laboratori, poi la biblioteca. I pavimenti erano già ingombri di macerie quando percorse il labirinto di sale in cui aveva rischiato di perdersi all’andata. Insieme ai detriti c’erano corpi a terra, di amici e di nemici, e sangue che rendeva il suolo scivoloso e i suoi passi insicuri.

Sono vicina, sono vicina!

Sbucò nell’arena e quando alzò gli occhi vide che la torre centrale ondeggiava paurosamente. Nihal si gettò verso le prigioni che aveva intravisto dall’alto. Scese una scala ripida e iniziò a percorrere corridoi bui e umidi, che si disfacevano al suo passaggio, poi strette gallerie che risuonavano di gemiti e lamenti. Nihal avrebbe voluto liberare tutti i prigionieri, ma le forze non le bastavano. La strada le parve infinita, le urla selvagge, i lamenti inumani; il buio era sempre più fitto e la cella di Sennar non arrivava mai.

Infine giunse a una porta e seppe che era quella giusta. Chiamò a raccolta tutto ciò che rimaneva delle sue energie, la sfondò e cadde dentro la cella.

In un angolo era appeso per le braccia un uomo, le vesti a brandelli e sporche di sangue. Aveva il corpo segnato da piaghe e ferite. Nihal si trascinò fino a lui e tremò al vederlo così ridotto.

«Sennar, Sennar...» lo chiamò fra le lacrime, ma il mago non rispose. «Ti prego, Sennar... dobbiamo andare via...»

Sollevò la mano e gli sfiorò una guancia. Lui alzò piano la testa e Nihal vide che anche il volto era coperto di lividi e ferite; gli occhi però erano gli stessi di sempre, due occhi chiarissimi, gli occhi che lei amava.

Sennar abbozzò un sorriso e mosse le labbra per pronunciare il suo nome. Nihal si aggrappò al muro e riuscì ad alzarsi, mentre tutto intorno a lei tremava e si sgretolava. Cercò la spada per infrangere le catene che legavano Sennar al muro, ma trovò soltanto la guaina vuota, che le pendeva al fianco. L’arma era rimasta nella sala in cui aveva ucciso il Tiranno. Nella foga di cercare Sennar, l’aveva dimenticata.

Si guardò intorno e trovò solo una pietra, che forse veniva usata come sedile. La agguantò e la scagliò con tutte le sue forze sulle catene, che si ruppero. Sennar si abbatté al suolo e in quello stesso istante le pareti della cella iniziarono a tremare e a sgretolarsi. Nihal sollevò il mago di peso, si mise il suo braccio attorno al collo e iniziò la risalita.

Nihal fece appello alle sue ultime energie e si issò su per la scala, mentre i muri tremavano sotto le sue dita. Un passo dopo l’altro cercava di guadagnare l’uscita. Non avrebbe rinunciato al suo sogno, non avrebbe rinunciato a ciò che le spettava.

Cadde, ma si rialzò e proseguì, sempre più debole. Infine, alla sommità della scala, nell’arena, crollò al suolo e seppe che non sarebbe più riuscita a rialzarsi. Il sole doveva sfiorare l’orizzonte, perché tutto intorno a lei era rosso fuoco. La terra tremava per i massi che cadevano a terra. Nihal era sfinita, la spada con cui avrebbe potuto infrangere il talismano e ritrovare le forze era perduta. Era destino che perissero in quell’arena, senza poter raccogliere i frutti della loro impresa.

Se almeno Sennar si potesse salvare e vivere per entrambi...

Fu allora che Nihal si ricordò delle parole di Reis e dei poteri del talismano: poteva evocare ancora un incantesimo, che l’avrebbe condannata a morte, ma che avrebbe salvato Sennar. Per lei non c’erano speranze. Non appena il sole fosse tramontato, sarebbe morta.

Non posso salvare il mondo, ma una sola vita posso salvarla.

Nihal aveva paura di morire, proprio ora che aveva imparato a vivere, ma quello era il suo destino.

Recitò l’Incantesimo del Volare e mentre si lasciava trasportare dalla forza della magia, mentre sentiva la vita fuggire, le ali nere che aveva sulla schiena si spiegarono al vento.

Epilogo

Quando il Tiranno entrò nella mia mente conobbi la vera disperazione. Altre volte avevo creduto di essere disperato: quando raccolsi Nihal mezzo morta in mezzo al fango di Salazar, quando giacevo nella cella a Zalenia, quando riflettevo sul massacro che avevo compiuto nella Terra della Notte. Solo nel momento in cui il Tiranno abbatté tutte le mie resistenze e violò la mia anima, però, solo allora seppi cosa vuol dire non avere alcuna speranza. Perché mentre lui cercava nella mia mente la verità che non era riuscito a estorcermi con la tortura, per qualche istante riuscii a vedere nel suo animo e provai quel che provava lui. Scoprii così che era un uomo irrimediabilmente disperato.

Tempo addietro aveva smesso di credere, ogni certezza si era sgretolata sotto le sue mani e alla fine erano rimasti solo il dolore e il vuoto. Fu in quel momento che lo capii. Fino allora non riuscivo a spiegarmi come un essere vivente potesse aspirare alla distruzione. Avevo sempre creduto che anche il desiderio di morte del suicida non fosse che un eccessivo attaccamento alla vita. Il Tiranno voleva l’annientamento, di sé e del mondo, perché provava una pena infinita per se stesso e per tutte le creature del Mondo Emerso. La sua non era crudeltà, ma amore per il mondo. Era convinto che l’annullamento fosse l’unica speranza per queste Terre misere e perdute.

Quando seppi che era stato ucciso, benché fossi consapevole che non c’era altro modo per fermarlo, in fondo al cuore mi rattristai, perché in fin dei conti anche lui era una vittima, come tutti noi del resto.

Mi hanno raccontato che quando Nihal uccise Aster, d’improvviso la terra iniziò a tremare e la Rocca a sgretolarsi. In quel momento io non potevo accorgermi di nulla, perché languivo nella mia cella a un soffio dalla morte, ma tutti coloro che erano sopravvissuti capirono allora che quei quarant’anni di morte e terrore erano finiti; sollevarono le spade e alzarono un urlo di vittoria. Il grido di gioia si trasmise ovunque, dal Saar al deserto, e riempì la bocca di chi fino a poco prima conosceva soltanto le pene della schiavitù. Era finita, una nuova epoca si spalancava davanti al mondo.

La battaglia imperversò sotto i bastioni distrutti della Rocca fino al calare della notte e così anche la nuova era ebbe inizio nel sangue. Molti degli uomini del Tiranno si arresero, alcuni continuarono a combattere, ma a nessuno fu risparmiata la lotta, né a chi fuggiva, né a chi restava. Gli uomini che "lottavano per la pace", come Nihal aveva detto al Tiranno, si accanirono sui vinti con la boria e la crudeltà di cui solo i vincitori sono capaci, finché non scese la notte. Allora la pace calò il suo manto sulla terra.