— Uh-uh. — Maud annuì.
— Perché mi avevi abbordato in quel bar, comunque?
Occhi di ghiaccio: — Te l’ho detto, ci muoviamo negli stessi ambienti. È logico che ci capiti di trovarci nello stesso bar, la stessa sera.
— Immagino sia una di quelle cose che io non debbo sapere, eh?
Il suo sorriso era adeguatamente ambiguo. Non insistetti.
Fu un pomeriggio molto noioso. Non saprei ripetere una sola frase delle tante sciocchezze che ci scambiammo davanti alle montagne di panna montata coronate da ciliegine. Impegnammo tanta energia nel fingere di divertirci che, credo, nessuno dei due riuscì a trovare il modo di captare qualcosa di significativo, ammesso che ci fosse.
Lei se ne andò. Io restai lì ancora un poco, a pensare alla fenice carbonizzata.
L’amministratore del Glacier mi chiamò in cucina per chiedermi di una spedizione di latte di contrabbando (The Glacier produce direttamente i suoi gelati) che ero riuscito a organizzare durante il mio ultimo viaggio alla Terra (è sorprendente notare che vi sono stati pochissimi progressi nell’allevamento delle vacche da latte, negli ultimi dieci anni; era stato vergognosamente facile fregare quel vecchio allevatore rimbecillito del Vermont) e sotto le luci bianche e le grandi gelatiere ruotanti di plastica, mentre io cercavo di assestare le cose, lui fece qualche commento sull’Heist Cream Emperor: e questo non servì a niente.
Quando arrivò la solita folla degli avventori della sera, e il moog faceva musica e le pareti di cristallo sfolgoravano; e gli artisti — un’aggiunta nuova nuova di quella settimana — si erano convinti a esibirsi comunque (un baule di costumi era andato perso durante la spedizione, o rubato, ma questo non glielo avrei certo detto), io personalmente, mentre mi aggiravo fra i tavoli, sorpresi una ragazzetta, chiaramente stordita dalla morphadina, che cercava di sfilare il portafoglio di un cliente — mi limitai ad afferrarle il polso, costringendola a mollare la presa, e l’accompagnai alla porta, gentilmente, mentre lei sbatteva le palpebre e mi guardava con gli occhi dilatati, e il cliente non s’era accorto di nulla — e gli artisti decisero, che diavolo, di fare il loro numero au naturel, e tutti si divertivano come matti, ma io mi sentivo veramente giù.
Uscii, sedetti sui gradini, e ringhiai quando dovevo spostarmi per lasciare entrare o uscire la gente. Verso il settantacinquesimo ringhio, la persona contro cui ringhiai si fermò e disse con voce tonante: — Sapevo che l’avrei trovato, se avessi cercato abbastanza a lungo! Voglio dire, se l’avessi cercato davvero.
Guardai la mano che si agitava sulla mia spalla, seguii il braccio, su, su, fino a un maglione nero, dove c’era una testa carnosa, calva, sogghignante. — Arty — dissi. — Cosa…? — Ma lui continuava ad agitare la mano e a ridere con inespugnabile Gemü tlichkeit.
— Sapesse la fatica che ho fatto a procurarmi una sua foto, ragazzo mio. Ho dovuto corrompere uno del Servizio Speciale di Tritone per averla. Il suo trasformismo. Grande. Grande davvero! — The Hawk mi sedette accanto e mi batté la mano sul ginocchio. — Ha un posticino meraviglioso, qui. Mi piace, mi piace un pozzo. — Ossa minuscole in una pasta molliccia e venata. — Ma non abbastanza per farle un’offerta. Comunque, lei sta imparando abbastanza in fretta. L’ho capito. Sarò fiero di poter dire che sono stato io a offrirle la sua prima occasione in grande stile. — La mano si allontanò e cominciò a stropicciare l’altra. — Se ha intenzione di mettersi in grande, deve avere almeno un piede saldamente infilato nella staffa giusta della legge. Tutto sta nel rendersi indispensabile alla brava gente: quando c’è riuscito, un buon delinquente ha le chiavi di tutte le casseforti del sistema. Comunque, non le sto dicendo niente che lei non sappia già.
— Arty — dissi io — crede che possiamo farci vedere insieme qui, noi due…?
The Hawk alzò la mano dalle ginocchia e l’agitò in un gesto di deprecazione. — Nessuno ci può fotografare. Ho appostato i miei uomini qui in giro. Non mi presento mai in pubblico senza il mio Servizio di Sicurezza. Ho sentito che anche lei se ne è creato uno. — Il che era vero. — Ottima idea. Ottima veramente. Mi piace il modo in cui si comporta.
— Grazie. Arty, non sono molto in vena, questa sera. Ero uscito per prendere un po’ d’aria…
La mano di Arty svolazzò di nuovo. — Non si preoccupi. Non resterò qui molto. Ha ragione lei. Meglio non farci vedere insieme. Ero di passaggio e volevo solo farle un saluto. Un salutino. — Si alzò. — Ecco tutto. — Cominciò a scendere i gradini.
— Arty?
Lui si voltò.
— Presto lei tornerà; e allora vorrà rilevare la mia parte del Glacier, perché io sarò diventato troppo importante: e io non vorrò cedergliela perché penserò di essere diventato abbastanza importante per battermi con lei. Quindi saremo nemici per un po’. Lei cercherà di ammazzarmi. Io cercherò di ammazzare lei.
Sul suo viso, prima un cipiglio confuso; poi, il sorriso indulgente. — Vedo che ha afferrato l’idea dell’informazione a ologrammi. Molto bene. Bene. È l’unico modo per spuntarla con Maud. Si assicuri che tutte le sue informazioni presentino un quadro completo della situazione. È l’unico modo per spuntarla anche con me. — Sorrise, fece per voltarsi, poi gli venne in mente qualcosa d’altro. — Se riuscirà a tenermi a bada abbastanza a lungo, e continuerà a crescere, e terrà sempre in perfetta efficienza il suo Servizio di Sicurezza, alla fine arriveremo al punto in cui varrà la pena di lavorare di nuovo insieme. Se resisterà, saremo di nuovo amici. Un giorno o l’altro. Aspetti.
— Grazie per avermelo detto.
The Hawk diede un’occhiata all’orologio. — Bene. Addio. — Pensai che se ne andasse, finalmente. Ma lui alzò di nuovo la testa. — Ha avuto la nuova parola?
— Giusto — dissi io. — È uscita stanotte. Qual è?
The Hawk attese che la gente uscita dal locale si fosse allontanata. Si guardò intorno, in fretta, poi si sporse verso di me, facendosi portavoce con le mani, gracchiò — Pirite — e ammiccò. — L’ho appena avuta da una ragazza che l’aveva ricevuta direttamente da Colette — (una dei tre Cantori di Tritone). Poi si girò, scese saltellando i gradini, e si fece largo a spallate tra la folla che passava sul marciapiedi.
Restai lì a rimuginare, fino a quando dovetti alzarmi a fare quattro passi. Passeggiare non rimedia alla mia depressione: vi aggiunge solo il ritmo rinforzante della paranoia. Quando tornai indietro, mi ero già fabbricato tutto un sistema maniacale: The Hawk aveva già cominciato a tramarmi intorno una congiura segreta, che finiva quando ci trovavamo tutti intrappolati in un vicolo cieco, e io, cercando di invocare aiuto, gridavo — Pirite! che però non era la Parola, ma serviva anzi a identificarmi a tutto beneficio dell’uomo con i guanti scuri, armato di pistola-bombe-a-mano-gas.
All’angolo c’era una cafeteria. Nella luce che usciva dalla vetrina, raccolti intorno al relitto accanto al marciapiedi c’era un branco di teppisti (à la Tritone: catene ai polsi, calabrone tatuato sulla guancia, stivali con i tacchi alti per quelli che potevano permetterseli). A cavalcioni di un faro sfasciato c’era la piccola morphadinomane che avevo buttato fuori poco prima dal Glacier.
D’impulso, mi avvicinai. — Ehi?
Lei mi guardò, sotto i capelli che sembravano fieno calpestato, con gli occhi che erano tutti pupille.
— Hai ancora avuto la nuova Parola?
Lei si soffregò il naso, già tutto graffiato. — Pirite — disse. — È arrivata appena un’ora fa.
— Chi te l’ha detto?
Lei rifletté sulla mia domanda. — L’ho avuta da un tale che dice di averla avuta da un altro che è arrivato stasera da New York e che l’ha ricevuta là da un Cantore che si chiama Hawk.