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È uscito proprio da quella luce… E tra un attimo sarò pazzo quanto lui…

La confusione rese un poco più aspra la voce di Rudy.

«Tutto ciò che capisco è che sei pazzo come un cavallo!»

«Credi veramente che lo sia?» Le candide sopracciglie del vecchio si alzarono in un ghigno derisorio. «E cosa intendi con il termine “pazzo”?»

«Beh… Chi non sa… Chi non sa riconoscere la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è, o almeno, lo è soltanto nella sua immaginazione?»

«Ah!», rispose Ingold «È tutto chiaro adesso. Vuoi dire che se mi rifiutassi di credere a qualcosa che ho visto con i miei stessi occhi — e soltanto perché ho creduto che fosse impossibile — sarei pazzo?»

«Io non ho visto niente!!», gridò Rudy.

«Non è vero. Sai di aver visto qualcosa che non riesci a comprendere,» replicò, sempre con la stessa calma Ingold. «Ammetti che già adesso credi in migliaia di cose che non hai mai visto realmente con i tuoi occhi.»

«No!»

«Di sicuro credi nel Presidente del tuo Paese.»

«Certo. L’ho visto centinaia di volte alla televisione!»

«E non hai anche visto delle persone che si materializzavano nelle immagini trasmesse dallo schermo?», continuò implacabile Ingold.

«Dannazione! Non puoi fare questi paragoni! Sai bene quanto me…»

«No, io no, Rudy. Se tu scegli di ignorare deliberatamente l’evidenza dei tuoi stessi sensi, è un problema che riguarda te, non me. Io sono ciò che sono, e sono certo di esserlo…»

«Tu non lo sei!»

Lentamente, imitando il modo di fare di Ingold senza accorgersene, Rudy accartocciò tra le mani la sua lattina di birra vuota.

«Certamente sei uno dei giovani più prevenuti che abbia mai incontrato,» dichiarò il vecchio. «Per essere un artista, sei di vedute troppo ristrette.»

Rudy inspirò prima di rispondere, poi espirò con uno sbuffo rumoroso.

«Come fai a sapere che sono un artista?»

Uno sguardo chiaro e due profondi occhi blu lo fissarono divertiti.

«È solo una supposizione…»

Rudy nel suo cuore sapeva però che non era affatto così.

«Lo sei, è vero?»

«… dipingo quadri con pittura a spruzzo su vecchi camion, serbatoi di motociclette, cose del genere insomma…» Vedendo lo sguardo inquisitorio di Ingold si corresse. «Beh… suppongo che si possa chiamarla arte.»

Ci fu ancora silenzio. Il vecchio si fissava le cicatrici sulle mani, nella luce solare che inondava il piano del tavolo. La baracca intorno sembrava isolata dal mondo, immersa in un oceano di silenzio. L’unico rumore era quello del ronzio delle api e del frinire di qualche grillo tra l’erba alta fuori nel prato.

Lo Stregone alzò lo sguardo dal piano del tavolo e disse:

«Ed è male non avere amici! Tu la definiresti qualcosa di anormale…»

Rudy ripensò ai ragazzi che oziavano stravaccati sulle seggiole del bar accanto al negozio di motociclette di Wild David. Una anormalità… Era soltanto un modo di dire…

Sorrise.

«Diamine! In fondo credo di avere almeno due amici. Va bene. Hai vinto!»

Il vecchio sembrò preoccupato.

«Vuoi dire che adesso mi credi?»

«No. Ma non m’importa se non importa neanche a te!»

Se è schizofrenico, si ritrovò a pensare più tardi il ragazzo, non è certamente recuperabile.

Stregoneria; il mitico Regno di Darwath; la Città Nascosta di Quo sull’Oceano Occidentale, dove l’immensa cultura di cento generazioni di Maghi era conservata nei labirinti oscuri della Torre di Forn… questo era il mondo di Ingold, ma il vecchio sembrava conoscerlo intimamente quanto conosceva il mondo di Rudy, fatto di bar, motociclette e negozi di abbigliamento… un mondo pieno di fumo e di acciaio.

Per tutto il resto della mattinata, Rudy trafficò con il motore della Chevy; Ingold lo aiutò quando ce ne fu bisogno, e si tenne in disparte quando non c’era necessità del suo aiuto. Parlarono di Magia, del Vuoto, dei motori, e di pittura. Ingold non commise nemmeno un errore. Conosceva ogni angolo del suo mondo di fantasia, ma possedeva una conoscenza imperfetta di quello di Rudy.

Il ragazzo notò che lo Stregone sembrava letteralmente affascinato dalle meraviglie della radio, della televisione, dalle complessità del mondo economico, dai misteri del motore, dei cilindri lucenti di olio, del frenetico andare dei pistoni…

Sembrava posseduto da una insaziabile curiosità che, come gli aveva spiegato, era il marchio distintivo degli Stregoni: l’avidità di sapere, di conoscere tutto, si sostituiva anche alle considerazioni più elementari sulla sopravvivenza o sulla sicurezza personale.

Se non fosse per il bambino, pensò Rudy gettando un’occhiata oltre il sipario del cofano verso lo Stregone seduto nell’erba alta intento a sezionare ed esaminare pensosamente un seme, non me ne interesserei. Al diavolo! Costui potrebbe anche credere di essere Napoleone, e non sarebbe certo affar mio. Però ha a che fare con un bambino piccolo, e lo sballotta per milioni di miglia da un universo all’altro!

Il sole picchiava alto: non aveva certo migliorato il suo mal di testa, e si sentiva ancora turbato dalla realtà innegabile della visione di prima. Certo non poteva dare la colpa al moscato: non c’entrava per niente. Ma qualcosa lo infastidiva. Qualcosa che non riusciva ancora a definire, a capire compiutamente.

Il dado arrugginito sul quale stava lavorando accanitamente da un po’, iniziò a svitarsi, ed altri problemi attrassero la sua attenzione. Dieci minuti dopo, si alzò da sotto la macchina, sporco di grasso, sudato, disgustato. Ingold mise da parte il seme e sollevò le sopracciglia con fare indagatore.

Rudy gettò nella polvere la chiave inglese che stringeva in mano.

«Dannata pompa della benzina!», sospirò, e si sdraiò accanto allo Stregone incrociando le gambe.

«È la pompa allora. Non il tubo?»

Rudy gli aveva spiegato quale fosse il problema.

«Si!», sacramentò il giovane, coinvolgendo nelle sue imprecazioni, la macchina, il proprietario e tutti i problemi che lo affliggevano. Poi finì con: «Suppongo che l’unica cosa che mi rimanga da fare sia quella di camminare fino alla strada principale e cercare un passaggio!»

«Mi dispiace», disse Ingold cercando di confortarlo. «Il mio contatto in questo mondo dovrebbe essere qui tra poco. Potresti sempre aspettarla e tornare in città con lei.»

Rudy si fermò asciugandosi le mani unte su uno straccio che aveva pescato dentro la macchina.

«Il tuo cosa?»

«Il mio contatto in questo mondo.» Vedendo l’espressione sorpresa di Rudy, Ingold spiegò: «La notte sarò in difficoltà nel tuo mondo, e sebbene in qualche occasione abbia patito la fame, non vedo alcuna ragione di soffrire se posso evitarlo.»

«Allora stai proprio soffrendo, non è così?»

Rudy si chiese se il «contatto» esistesse veramente o se si trattava ancora di un’allucinazione del vecchio, un’invenzione della sua peculiare immaginazione.

«In un certo senso…», rispose lentamente Ingold.

«Ma se sei uno Stregone… come puoi morire di fame anche nel tuo mondo?» La domanda di Rudy fu generata da un’allegra curiosità. «Com’è possibile? Non puoi far apparire del cibo se sei affamato?»

«No, le cose non funzionano in questo modo,» rispose semplicemente Ingold. «Creare l’illusione del cibo è relativamente semplice. Fare di un filo d’erba come questa qualcosa che rassomigli in maniera convincente ad un pezzo di pane, richiede che io convinca me stesso o gli altri del suo gusto, non solo della sua forma o della sua apparenza. Però, se tu lo mangiassi, non avresti altro nutrimento che erba, ed una dieta di questo genere ti porterebbe rapidamente a morire di inedia. Trasformare completamente l’erba in pane, modificandone la natura, vorrebbe dire alterare la realtà stessa, manomettere la struttura dell’intero universo.»