«Sai, sei il primo uomo che ho visto proporsi come volontario per il cambio di un pannolino.»
«Diamine!», replicò Rudy restituendole il sorriso. «Con sei tra fratelli e sorelle più giovani, uno deve abituarcisi!»
«Suppongo di si…» La ragazza provò una delle sedie traballanti, poi si accomodò tenendo una mano sulla spalliera. «Ho avuto soltanto una sorella, ed aveva appena due anni meno di me, così non ho mai dovuto occuparmene.»
Rudy la guardò.
«È come te?», chiese.
Gil scosse la testa.
«No. È molto più carina. Ha ventidue anni, ed è già al suo secondo divorzio…»
«Ti capisco: anche la mia sorella più giovane sta per divorziare», disse Rudy pensosamente, frugando nelle tasche della giacca in cerca delle chiavi della motocicletta che porse alle manine ansiose di Tir. Poi cercò di farlo mangiare. «Ha soltanto diciassette anni, ma ha visto molto più di me…» S’interruppe e seguì lo sguardo indagatore di Gil che stava fissando i disegni sulla sua giacca: teschi, rose, fiamme nere. «Picasso ha avuto il suo Periodo Blu. Io ho avuto il mio Periodo Pachuco…»
«Oh!», disse Gil con una vaga sfumatura di disgusto nella voce. «Fai parte di una banda?»
Rudy si accoccolò sui calcagni studiando l’espressione della ragazza.
«Cosa diavolo credi che faccia? Che viva nei bassifondi e campi di rapine?»
Poiché era esattamente quello che pensava, la ragazza non seppe cosa rispondere.
«No. Volevo dire…,» la sua voce si spezzò per la vergogna. «Vuoi dire che lo hai dipinto tu?»
«Certo!», affermò deciso Rudy, spiegando la giacca e mostrandogliela con tutta la sua elaborata simbologia intramezzata da macchie di grasso. «Lo disegnerei meglio adesso. Una sigla diversa e niente fuoco: il fuoco lo fa sembrare pacchiano. Cioè, se lo dovessi disegnare ora, userei una tecnica diversa», ammise. «Ma è comunque una buona pubblicità!»
«Vuoi dire che ti guadagni da vivere così?»
«Oh si! Per ora. Lavoro al negozio di abbigliamento e di pittura di Wild David Wild a Berdoo, e stai pur sicura che dipingere è di gran lunga più facile che fare l’operaio!»
Gil contemplò la giacca ancora per un poco e restò ferma con il mento appoggiato sulle mani incrociate sopra la spalliera della seggiola. Sebbene fosse violento e bizzarro, il disegno era veramente ben fatto, e rivelava una discreta abilità insieme ad una insospettabile delicatezza di stile.
«Allora non sei uno di quelli che girano in motocicletta?»
«Guido una motocicletta», rispose Rudy, «e le moto mi piacciono: ci lavoro su. Ma non faccio parte di una banda. Puoi veramente trovarti nei guai con quelli.» Il ragazza strinse le spalle. «Sono tipi un po’ troppo… anticonformisti. Io non potrei mai esserlo!»
Ingold rientrò di corsa in casa. Aveva seguito i cavi elettrici fino alla loro origine, ed aveva anche frugato nella terra intorno alla casupola come stesse cercando un tesoro nel polveroso silenzio dei boschi.
Gil si alzò, e riempì i piatti di stufato di manzo. Durante il pranzo, Rudy rimase in silenzio ad ascoltare la conversazione tra la ragazza e lo Stregone, e si chiese di nuovo come quella donna potesse credere in quello che il vecchio si ostinava a propugnarle come verità, e quanto di quelle chiacchiere tra i due potessero essere accettate per soddisfare la pazzia di un amico, per quanto si potesse volergli bene.
Era impossibile dirlo. Che Gil fosse pazza di quel vecchio era chiarissimo: era ovvio da come lo guardava e dall’intensità dei suoi sguardi. Il suo viso vivace e rilassato sembrava anche più carino. Era Ingold però che dominava la scena e conduceva: lei non faceva altro che seguirlo. Qualche volta Rudy si chiese se anche Gil non fosse pazza quanto il loro strano compagno.
«Non l’ho mai capito,» disse Gil, mentre soffiava sul caffé per raffreddarlo. «Devo ammettere che, quando tu ed Eldor ne avete parlato, mi sono sentita come una stupida.»
«In verità non lo capisce nessuno», replicò Ingold. «È un fenomeno raro, più raro della stessa Magia. Per quanto la storia del Regno ricordi, si è verificato solamente in due o tre case di nobili e in due di contadini. Non sappiamo cos’è e perché agisca così: un bambino improvvisamente richiama alla memoria avvenimenti accaduti a suo padre, ma nemmeno suo nonno ha mai mostrato di possedere un talento simile in tutta la sua vita. Sembra che si trasmetta soltanto per linea maschile e che salti qualche generazione: una o due, oppure cinque… Solo alcuni bambini riescono a ricordare certi avvenimenti, altri no!»
«Potrebbe trattarsi di un gene doppio, recessivo…», disse Gil pensosamente.
«Un cosa?»
«Una caratteristica genetica…» Rimase un attimo in silenzio. «Cristo! Nel tuo mondo nessuno sa niente di genetica, è vero?»
«Ha a che vedere con l’allevamento dei cavalli?», chiese Ingold sorridendo.
La ragazza annuì.
«Qualcosa del genere. Se procrei per ottenere una determinata caratteristica ed ottieni invece una regressione, continuerai a ottenerne quanto più procrei… o giù di lì. Dovremo parlarne più approfonditamente qualche altra volta.»
«Vuoi dire che il bambino,» disse Rudy entrando d’improvviso nella conversazione, «può ricordare ciò che accadde a suo padre e suo nonno, e cose simili?»
«Dovrebbe,» rispose Ingold. «Ma sarebbe un colpo di fortuna, perché non sappiamo per certo se e cosa ricorderà. Suo padre ricorda… ricordò,» la voce dello Stregone si spezzò per un attimo ed i suoi occhi si velarono appena, «cose che accaddero al tempo dei loro più antichi antenati. Riuscì ad arrivare fino a Dare di Renweth. E Dare di Renweth, Gil, era il Re al tempo della comparsa del Popolo del Buio.»
«Di chi?», chiese Rudy.
«Il Popolo del Buio.» L’impatto con il profondo sguardo blu dello Stregone diede l’impressione a Rudy che gli stesse leggendo i pensieri. «Il nemico dal quale stiamo scappando.» I suoi occhi si spostarono su Gil mentre la luce del sole si rifletteva morbida sui vetri della finestra posta ad occidente e scendeva a colpire i suoi lineamenti severi. «Sfortunatamente, ho motivo di temere che i Neri lo sappiano. Sono in grado di sapere molte cose… e il loro potere è diverso dal mio: di una diversa natura, poiché proviene da una fonte diversa. I loro attacchi si sono concentrati sul Palazzo a Gae perché, probabilmente, ritenevano che Eldor e Tir fossero pericolosi per i loro disegni. I loro ricordi forse erano effettivamente la chiave che può permetterci di sconfiggerli definitivamente. Sono riusciti a ehminare Eldor: ora rimane soltanto Tir…»
Gil alzò la testa e guardò con tenerezza il viso paffuto del bambino che continuava a giocherellare col mazzo di chiavi della motocicletta di Rudy. Poi si rivolse verso lo Stregone il cui profilo era riflesso dal vetro sporco e incrinato della finestra. Le colline facevano da cornice a tutta la scena, desolate, aspre e segnate di calanchi, ma con una loro severa bellezza accentuata dall’oro che spandeva su di loro la luce solare.
La sua voce si alzò tranquilla.
«Pensi che vi abbiano seguito sin qui?»
Ingold la guardò rapidamente, ed i suoi occhi azzurri incontrarono quelli della ragazza per allontanarsene subito.
«Oh, penso di no», replicò con la stessa tranquillità. «Non sanno nulla del Vuoto, né di come attraversarlo!»
«Come puoi esserne sicuro?», insistette Gil. «Tu stesso hai detto che non conosci tutti i loro poteri ed il loro sapere. Oltretutto non hai alcun potere particolare in questo mondo. Se quelli del Buio attraversassero il Vuoto, si troverebbero nella tua stessa situazione?»
Ingold scosse il capo.
«Dubito che riescano a materializzarsi in questo Universo», disse. «Le leggi della materia sono troppo diverse. Qui non c’è ciò che rende materialmente possibile la Magia… un mutamento dei criteri che regolano le leggi della fisica…»
La discussione cominciò a scivolare sulla Magia teorica e sulle sue relazioni con le arti marziali, e Rudy la segui sconcertato: anche se Ingold riusciva ad avere l’ultima parola, era più spesso la ragazza a proporre nuovi argomenti a difesa delle sue tesi.