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Gil sentì il sangue gelarsi nelle sue vene.

«Oh, mio Dio…», sussurrò.

Sono abituato a rischiare la mia vita, ma non metto mai a repentaglio quella degli altri…

Fu come se si fosse spalancata una porta nella sua mente: sapeva che Ingold aveva mentito, e credeva di conoscere anche il perché.

Inchiodò i freni, e la Volkswagen sobbalzò sulle pietre consumate della banchina non asfaltata: il suo sospetto andava tramutandosi in certezza. C’era una sola ragione che poteva aver spinto lo Stregone a chiedere dei fiammiferi… proprio lui, che nel suo mondo poteva ottenere del fuoco ad un semplice comando. C’era soltanto una ragione, in questo mondo, che lo spingeva ad avere bisogno di fuoco quella notte!

Ingold, fino al momento in cui Gil non si era offerta di rimanere con lui, non aveva mai parlato di andar via. Non lo aveva fatto fino al momento in cui la ragazza non aveva accennato alla possibilità che il Popolo del Buio rischiasse un inseguimento attraverso il Vuoto. Finché tutti coloro che potevano aver bisogno del suo aiuto non fossero stati al sicuro, Ingold aveva accantonato l’idea di ritornare a Gae… Così aveva fatto affidamento sulle sue sole forze, chiuso nella baracca isolata, senza rischiare di coinvolgere qualcun altro.

«Salta fuori!», ordinò a Rudy. «Io torno indietro.»

«Cosa ti passa per la testa?»

Rudy la guardò come se fosse diventata di colpo pazza.

«Ha mentito!», rispose Gil con la voce che quasi le tremava per la fretta e l’ansia. «Ha mentito quando ci ha detto che avrebbe attraversato il Vuoto stanotte. Voleva soltanto liberarsi di noi mandandoci via prima che arrivasse qualcosa…»

«Cosa?»

«Non m’interessa ciò che pensi», continuò rapida. «Io torno alla capanna. Ingold ha avuto paura fin dall’inizio che il Popolo del Buio potesse seguirlo attraverso il Vuoto…»

«Aspetta un minuto…», iniziò a dire Rudy, allarmato quanto la ragazza.

«No, non c’è tempo da perdere. Puoi chiedere un passaggio a qualcun altro verso casa. Io non posso lasciarlo da solo ad affrontarli.»

Il suo viso era bianco alla luce dei fari; i suoi occhi pallidi bruciavano con un’intensità quasi spaventosa.

Pazzi!, pensò Rudy. Sono tutti e due irrimediabilmente pazzi. Perché devono capitare tutte a me?

«Verrò con te!», disse. Fu un’affermazione, non un’offerta di aiuto, e Gil lo fissò con sospetto. «Non che non ti creda,» continuò Rudy agitandosi contro la tappezzeria sbrindellata della macchina, «ma voi due avete bisogno di qualcuno in gamba che possa badare al bambino! Ora gira questo trabiccolo!»

Gil non se lo fece ripetere due volte: pigiò sull’acceleratore senza neanche guardare la strada alle sue spalle. La macchina si inarcò in un spruzzo di ghiaia e poi riguadagnò velocemente l’asfalto.

«Là!», disse Rudy, mezz’ora più tardi, quando il Maggiolino slittò verso l’incrocio da dove si dipartiva il sentiero vicino ai boschi. Davanti a loro, sulla piccola altura, era chiaramente visibile la sagoma della capanna, e la luce che proveniva dalle finestre spiccava contro lo sfondo scuro del cielo.

Gil corse fuori dalla macchina ancora prima che la polvere della frenata si fosse posata, e Rudy la vide scattare sul terreno irregolare verso la scala della veranda. La seguì più lentamente, avanzando cauto tra le erbacce e chiedendosi come avrebbe fatto ad uscire da quella situazione pazzesca, e quale scusa sarebbe riuscito ad inventare con il suo capo quando avrebbe fatto ritorno al negozio.

Dave, non ce l’ho fatta a venire al lavoro lunedì, perché stavo aiutando un Mago che a sua volta stava proteggendo un Principe bambino in qualche posto sperduto tra Barlow e San Bernardino…

E poi, come avrebbe spiegato il fatto di non essere tornato alla festa di Tarot con le casse di birra?

Si guardò intorno: il paesaggio era immerso in un’oscurità profonda, ed un brivido di gelo gli corse giù per la schiena osservando il pallido lucore delle stelle. Un soffio di vento altrettanto gelido ed inquietante gli scompigliò i capelli portando con sé un odore che non era certo di erba polverosa o di terra riscaldata dal sole. Era un odore sconosciuto, alieno… Corse per avvicinarsi a Gil, e i tacchi dei suoi stivali risuonarono sul legno marcio dei gradini della veranda.

Gil intanto era già arrivata alla porta e stava bussando freneticamente.

«Ingold», gridò. «Ingold, facci entrare!»

Rudy la superò e si gettò contro la finestra che aveva rotto la sera prima per aprire la porta dall’interno. Entrarono nella cucina nello stesso istante nel quale compariva Ingold, la spada sguainata in mano, il volto contratto da un attacco di rabbia.

«Fuori di qui!», ordinò imperiosamente.

«Neanche per sogno!», rispose Gil fronteggiandolo.

«Non puoi essermi di alcun aiuto…»

«Non posso lasciarti solo!»

Rudy guardò prima l’uno, poi l’altra: la ragazza con la sua giacca di tela ed i jeans scoloriti, gli occhi pallidi animati da una luce selvaggia; il vecchio con il suo mantello ondeggiante, la spada stretta nella mano segnata di cicatrici.

Pazzi!, pensò. Perché diavolo sono entrato?

Poi, senza dire nulla, si diresse verso la sala.

Tir se ne stava sul letto, avvolto nelle coperte di velluto scuro, gli occhi blu pieni di paura. Nella stanza spoglia c’era un mucchio di ramoscelli accatastato in un angolo, e sembrava che tutte le suppellettili fossero state spezzate ed ammucchiate. Accanto vi era una lattina di kerosene. Udì dei passi provenire dalla sala alle sue spalle unitamente alla voce di Ingold tesa come una corda di violino.

«Non capisci?», disse.

«Capisco», giunse calma la risposta della ragazza. «È per questo che sono tornata.»

«Rudy,» chiamò Ingold con un tono di voce che rivelava un’antica abitudine al comando. «Voglio che tu prenda Gil e la porti via in macchina, lontano da qui. All’istante!»

Rudy si girò.

«Oh, stavo proprio per andar via.» La voce del ragazzo era tesa quanto quella dello Stregone. «Ma porterò il bambino con me. Non so cosa pensiate di fare voi due, ma non lascerò una creatura così piccola immischiata in questa strana storia!»

«Non essere sciocco!», replicò Ingold.

«Già! Perché voi invece…»

Rudy si chinò per afferrare il bambino che giaceva sul letto ma, non appena si avvicinò al piccolo, le luci ebbero un sussulto e poi si spensero.

Con un movimento veloce, Ingold corse alla porta e la chiuse, mentre la spada che ancora stringeva in mano sembrava luccicare quasi fosse cosparsa di fosforo. L’esigua luce delle stelle che entrava dall’unica finestra della stanza, rivelò il sudore che stava scorrendo sul suo volto.

Rudy rimise giù il bambino che piagnucolava e si avviò verso la porta.

«Maledetti fusibili!», mormorò.

Gil, col fiato mozzo, gli si gettò contro.

«No, Rudy… No!»

Ingold l’afferrò per un braccio mentre la ragazza stava per toccarlo. La voce dello Stregone nell’oscurità era gonfia di un’ingannevole dolcezza.

«Pensi proprio che sia il fusibile?»

«Oppure un corto circuito nel contatore…», rispose Rudy, continuando ad avanzare verso la porta.

Si voltò soltanto un attimo verso i suoi due compagni mentre varcava la porta, e scorse i loro profili indistinti nella totale oscurità. La debole luce che filtrava dall’esterno copriva di un alone argenteo i capelli di Ingold mettendo in risalto gli zigomi alti di Gil. L’unico bagliore che non era scomparso era quello della spada del Mago che sembrava emanare una sua propria luminosità.

Il salone era completamente al buio, e Rudy vi si fece strada come fosse cieco. Per tutto il tragitto non fece altro che ripetersi che il suo nervosismo nasceva dal sapersi intrappolato in una bicocca con una studentessa nevrotica ed un affascinante, ma completamente pazzo, vecchio Mago, che inoltre girava armato di una spada affilata, di una scatola di cerini e di una lattina di kerosene.