Dopo quell’interminabile oscurità, la cucina sembrava quasi illuminata: riuscì a distinguere la forma del tavolo, il banco, il luccichio d’argento del rubinetto dell’acqua, il pallido riflesso delle finestre accanto alla porta, sopratutto di quella sulla sinistra con il vetro rotto… Poi si accorse di cosa stava entrando proprio da quel vetro rotto!
Non riuscì mai a spiegarsi come fece a tornare nella camera da letto, anche se più tardi si trovò il corpo coperto di contusioni e tagli per aver quasi aperto le pareti pur di fuggire. Gli sembrò che fosse trascorso solamente un attimo da quando aveva scorto quella cosa oscura che mugolava attraverso la finestra, fino a quando si era trovato a sbattere contro la porta della camera da letto singhiozzando.
«È là fuori… È là fuori!»
Ingold, alle sue spalle, il volto pieno di cicatrici che si rifletteva sulla lama della spada, disse a bassa voce:
«Cosa ti aspettavi, Rudy? Degli esseri umani?»
Il fuoco stava già bruciando. Gil aveva fatto un falò con i ramoscelli in mezzo al pavimento di cemento e stava tossendo, avvolta in una nuvola di fumo. Sul vecchio materasso, Tir fissava l’oscurità con gli occhi sgranati dal terrore, e guaiva come un cucciolo che avesse paura di abbaiare. Un altro bambino, forse, avrebbe gridato, ma le memorie ataviche che si agitavano nella mente inconsapevole del fanciullo, lo avvisavano che gridare o piangere ad alta voce voleva significare soltanto la morte!
Rudy si alzò cercando di scuotersi da quello spavento.
«Cosa faremo?», sussurrò. «Potremmo uscire dalla porta posteriore e raggiungere la macchina…»
«Pensi di riuscire a metterla in moto?» Nella luce del fuoco, gli occhi di Ingold non si staccavano mai dalla porta. Mentre parlava, Rudy si accorse che le sue mani non abbandonavano neppure per un istante la lunga elsa della spada e tremavano, pronte a colpire. «Dubito che riusciremmo a raggiungere la macchina, in ogni caso. Quella “cosa” può mutare forma e rimpicciolirsi quanto vuole…»
Rudy deglutì, gelato dal terrore al vedere ancora quell’essere minuscolo, nascosto, ma capace di generare un’inspiegabile paura.
«Vuoi dire che può mutare di dimensioni?»
«Oh, Sì!» Con la spada stretta in pugno, Ingold si diresse a passi felpati verso la porta. «Il Popolo del Buio non è fatto di materia così come la intendiamo noi. Non è neppure del tutto visibile, e non sempre la sostanza di cui sono composti è formata da elementi conosciuti. Uno l’ho visto diventare grande come una casa — e non era più largo di due mani unite — in pochi secondi…»
Rudy si asciugò le palme sudate sul tessuto dei jeans, tremando di paura e totalmente disorientato.
«Ma se non sono materiali…», balbettò, «cosa possiamo fare? Come possiamo combatterli?»
«Ci sono dei modi.» Le fiamme del falò creavano lunghe ombre rossastre sul mantello di Ingold che se ne stava in piedi, una mano fissa sulla maniglia della porta, l’altra stretta con forza intorno all’elsa della spada, la testa china per raccogliere il minimo fruscio. Dopo un istante, parlò di nuovo, e la sua voce era flebile, appena un sussurro. «Gil,» disse, «voglio che prendi Tir e lo metti tra il letto ed il muro. Rudy, quanto fuoco ci rimane?»
«Non molto. Quella era legna secca. Brucia troppo velocemente.»
Lo Stregone si allontanò dalla porta senza però distogliere la sua attenzione. La piccola stanza era piena di fumo, mentre il fuoco diminuiva sempre più, lottando debolmente contro l’anello di ombre intrecciate che danzava sul soffitto e sulle pareti. Senza guardarsi indietro, Ingold tese una mano.
«Dammi il kerosene, Rudy.»
Senza battere ciglio, il ragazzo ubbidì.
Muovendosi più velocemente, il vecchio ringuainò la lama con un unico gesto fluido, afferrò la lattina svitandone il tappo, e gettò un abbondante quantità di liquido sul legno secco della porta. Questa brillò di un giallo chiaro, il suo odore penetrante si sparse per la stanza unendosi al fumo, e quasi soffocò Gil che si era accoccolata contro la fredda parete di cemento stringendo a sé il corpicino imbaccuccato di Tir che se ne stava immobile fra le sue braccia.
Nel frattempo, la luce della fiamma, da gialla che era, aveva assunto una sfumatura arancione scuro, mentre le ombre distorte provocate dagli spostamenti veloci e sicuri dello Stregone, ondeggiavano sulle pareti che rinchiudevano il gruppetto.
Ingold si avvicinò al letto e versò il resto della lattina di kerosene sul materasso; l’odore violento e dolciastro del carburante quasi soffocò Gil che si trovava a poca distanza. Il vecchio poggiò in un angolo la lattina vuota poi, con un movimento leggero, si girò ed estrasse di nuovo la sua spada, che era rimasta nel fodero per tutta la durata di quella operazione, ossia meno di quaranta secondi.
Ritornò nel centro della stanza, a pochi passi dal falò morente che si era ripiegato su se stesso in un mucchietto di cenere e tizzoni ancora rosseggianti. Non appena l’oscurità cominciò a diffondersi più rapidamente, la pallida luce che sembrava originata dalla lama della spada sembrò aumentare, tanto da far risaltare il viso dello Stregone e le cicatrici che lo riempivano. Disse a bassa voce:
«Non abbiate paura.»
Se si trattasse di un incantesimo o della forza della sua personalità, Gil non avrebbe saputo dirlo, ma sentì diminuire improvvisamente la sua apprensione, e la paura che l’agghiacciava cedette il posto ad una sorta di torpore freddo ed al tempo stesso limpido.
Rudy si riscosse invece dall’immobilità nella quale si era congelato, afferrò l’ultimo dei ramoscelli che ancora giaceva sul pavimento e lo accese sui resti del falò.
L’oscurità scese nella stanza riempiendola; più pesante del buio era però il silenzio che regnava intorno. In quell’assenza di suoni, Gil percepì dei movimenti quasi impercettibili nella sala attigua: sembrava una sorta di graffiare chitinoso quasi che qualcosa di assolutamente misterioso tentasse di avanzare attraverso il buio.
Sentiva il cuore di Tir battere con forza contro il suo petto poi, di colpo, un vento gelido penetrò attraverso le fessure della porta trasformando il sudore sul suo viso in un velo ghiacciato. In quel preciso istante riconobbe l’odore aspro, acidulo, e sanguigno, del Buio!
La voce di Ingold echeggiò acuta dalle ombre.
«Rudy!», disse. «Prendi quella torcia e mettiti accanto alla porta. Non aver paura, e quando entra la creatura, voglio che tu chiuda la porta dietro di lei e dia fuoco al kerosene. Pensi di riuscire a farlo?»
Svuotato di energie, ma freddo e cosciente di quanto lo attendeva, Rudy sussurrò:
«Si, certo!»
Col pezzo di legno acceso, passò cautamente dietro lo Stregone. Appena raggiunta la sua posizione, avvertì la presenza di quella cosa: una creatura che viveva negli incubi più inconfessabili, capace di generare paura in chiunque.
La sentì bussare alla porta, dolcemente. Graffiò il legno scheggiato appena al di sopra dei suoi occhi e Rudy comprese che entrando sarebbe passata davanti a lui — se non si fosse invece girata verso la persona più vicina — a brevissima distanza dal suo viso. D’altro canto, e il pensiero gli attraversò fugacemente la mente, se fosse passata davanti a lui, nulla avrebbe potuto impedirgli di fuggire attraverso la porta aperta e correre verso la macchina.
C’erano troppe incognite però: la macchina avrebbe potuto non partire; la creatura, dopo essersi soddisfatta con Ingold e Gil, avrebbe anche potuto inseguirlo… No! Bisognava finirla qui ed ora con il Popolo del Buio, con quell’osceno intruso che strisciava nel mondo dolce e caldo di quella notte californiana!