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Appena terminate le presentazioni — il Vescovo stese la mano con il grande anello di ametista per farlo baciare — Gil sentì alle sue spalle il basso mormorio della voce di Janus che si era subito rivolto a Ingold.

«… combattimento nella sala… I rifugiati di Alwir hanno messo il campo qui… Si, sono state mandate pattuglie nella città… anche per i viveri… Portate tutta là gente qui…»

«Il Signore Alwir ha assunto il comando allora?», chiese bruscamente Ingold.

Janus annuì.

«È il cancelliere del Regno e fratello della Regina.»

«E Eldor?»

Janus sospirò e scosse il capo.

«È stata una carneficina, Ingold. Abbiamo raggiunto Gae poco prima dell’alba. Le ceneri erano ancora calde ed il Palazzo stava bruciando. E così anche il resto: era tutto bruciato!»

«Lo so!», annuì stancamente Ingold.

«Mi dispiace. Avevo dimenticato che eri là. Il tetto della sala aveva ceduto, ed il locale era diventato peggio di una fornace: le ossa e i corpi erano sepolti sotto le macerie. Era troppo caldo per fare altre ricerche. Abbiamo trovato questo però, accanto alla porta della piccola stanza dietro il trono. Era nella mano di uno scheletro carbonizzato e semi nascosto sotto una trave caduta».

Janus indicò qualcosa su un tavolo.

Con la padronanza che nasce da una lunga abitudine nel maneggiare quelle cose, il Vescovo alzò la lunga e dritta spada dall’impugnatura a due mani per porgerla a Ingold dalla parte dell’elsa. Sebbene annerita dal fuoco, Gil poté distinguere lo scintillio e la forma dei rubini che vi erano incastonati. Una volta, in uno dei suoi sogni, lei aveva visto quelle gemme luccicare alla luce di una lampada e spandere intorno la loro lucentezza in armonia con il respiro dell’uomo che reggeva quella spada. Ingold sospirò e chinò il capo, affranto.

«Mi dispiace,» disse ancóra Janus. Il suo volto rude e squadrato era segnato dalla stanchezza e dalla rabbia, e la sua ispida barba era irta. Aveva perso un amico che stimava ed aveva anche perso nello stesso istante un Re!

A Gil tornò il ricordo di una stanza illuminata, e di un uomo alto, vestito di nero, che stava parlando.

«… quale tuo amico, ti chiedo…».

La ragazza provò una sensazione cocente di dolore per quella voce, per quel vecchio.

«E la Regina?»

Il tono della voce indicò che Ingold conosceva già la risposta.

«Oh…», Janus trasalì, intimorito, alzando la testa. «È stata fatta prigioniera…»

Ingold fece un balzo per la sorpresa.

«Prigioniera?» Le sue sopracciglia si corrugarono. «Allora avevo ragione…»

Janus annuì.

«Abbiamo cercato di afferrarla… Quelle creature però possono trasportare dei pesi, e quelle loro code taglienti sono simili a catene. Il Falcone di Ghiaccio ed una dozzina di ragazzi sono rimasti intrappolati nella sala principale. Sono rimasti a guardia delle Scale fino a che la volta non è caduta…»

«Certo, certo», lo interruppe Ingold con impazienza. «Pensavo che fossero rimasti uccisi durante il primo attacco, ma li avevo sottovalutati. Non è stato come pensavo», aggiunse con l’ombra di un ghigno dipinto sul volto. «A parte il Falcone di Ghiaccio… Continua!»

«Il fuoco, dalla Sala, si è diffuso in tutto il Palazzo. Tutti quelli che erano rimasti intrappolati hanno iniziato a bruciare qualsiasi cosa avevano a portata di mano per creare luce. I Guerrieri del Buio sono piombati giù dalle volte come un fiume nero trascinando con loro circa una cinquantina di prigionieri, e la maggior parte delle donne si lamentava neanche fossero bestie… Il Falcone di Ghiaccio e i ragazzi non pensarono di appiccare il fuoco alla volta, ed ingaggiarono una lotta infernale. Alla fine, metà dei prigionieri fu sollevata da terra, ed il Buio si diffuse sulle scale. Cinque donne e qualche serva morirono di spavento… almeno lo pensiamo…»

«E la Regina?»

Janus saltellò sui piedi quasi stesse calpestando dei carboni ardenti. I suoi occhi tremarono.

«Si è… spaventata…»

Lo Stregone lo fissò attentamente e controllò il suono della sua voce.

«Ha parlato?»

Bektis, il Mago di Corte, si intromise con un tono di voce ancora più basso.

«Ho temuto e temo ancora che i Guerrieri del Buio abbiano divorato la sua mente, come spesso accade alle loro vittime. Ha cominciato a delirare quasi fosse impazzita e, nonostante abbia impiegato tutta l’Arte in mio possesso, non sono stato capace di farla tornare in sé.»

«Ha parlato?», ripeté Ingold, guardando alternativamente Janus e Bektis come volesse scoprire qualcosa.

«Ha chiamato spesso suo fratello», rispose calmo Bektis. «Lui è arrivato con i suoi uomini e gran parte dell’esercito poche ore dopo l’alba.»

Ingold annuì e sembrò soddisfatto.

«E questi?», con un ampio gesto circolare che comprese tutta la silenziosa marea di persone accalcate nella sala fumosa, indicò la gente intorno.

Janus scosse il capo, preoccupato.

«Hanno continuato a venire sulla montagna per tutto il giorno,» disse. «Molti di loro si sono uniti a noi quando abbiamo abbandonato il Palazzo. Da allora hanno percorso il nostro stesso cammino. Tre quarti di questa gente è senza alcun mezzo di sostentamento né cibo… Non è soltanto per paura del Buio che hanno abbandonato Gae! Nonostante tutte le Guardie ed i reggimenti di Alwir, Gae è finita! In città, anche durante il giorno, regna la pazzia. Tutte le leggi sono state infrante. Noi entrammo appena dopo l’alba per fare un’ispezione del Palazzo e già c’era della gente che lo stava saccheggiando. Ogni fattoria, nel raggio di dieci miglia dalla città, è stata abbandonata: i raccolti marciscono nei campi, mentre i profughi sulle strade muoiono di fame… Karst è una città piccola, e loro lottano per ogni pezzo di pane, per un po’ d’acqua e per un posto al coperto, edificio per edificio… Noi qui possiamo essere al sicuro dal Buio, ma certo non lo siamo l’uno dall’altro!»

«E cosa ti fa credere di essere al sicuro dal Buio?», rispose Ingold con un tono di voce stranamente pacato.

Indignato, Janus fece per protestare, poi si zittì. Il Vescovo allora spostò i suoi occhi sullo Stregone, come un gatto che guatasse una preda, e chiese con voce subdola:

«E cosa sa il mio Signore Ingold del Buio che noi non conosciamo?»

«Soltanto quello che ognuno di noi sa!», replicò una nuova voce. Risuonò profonda, regale, quasi fosse quella di un possente strumento a fiato, e gli occhi di tutti si rivolsero verso colui che aveva parlato.

L’uomo stava in piedi, con la maestà di un sovrano, illuminato alle spalle dal bagliore delle torce. La sua ombra gli ondeggiò davanti come acqua mentre si faceva avanti; il mantello di velluto si alzò come un gran paio di ali nere sulle sue spalle. Il suo volto pallido era freddamente bello, e il suo stesso corpo, regolare e forte, sembrava scolpito dalla profondità della sua mente. I capelli ondulati che gli incorniciavano il viso, ricoprivano quasi per intero la pesante catena d’oro e zaffiri che gli brillava sulle spalle e sul petto come una collana di gelidi occhi blu. «C’è sempre un profitto o del prestigio legati a chi preannuncia un disastro, e noi lo sappiamo bene.»

«C’è profitto solamente per chi da retta a quegli annunci, mio Signore Alwir,» rispose dolcemente Ingold, e si voltò verso le ombre fumose della stanza dietro di loro e verso la folla sudicia e scomposta che aveva ripreso a parlottare in sordina mentre i bambini correvano intorno. «E, a volte, nemmeno gli avvertimenti sono sufficienti a salvare qualcosa.»