Выбрать главу

«Così come lo è stato per il mio Signore Eldor…»

Il Cancelliere Alwir si alzò per un attimo, e la sua mole e la sua eleganza dominarono la sagoma piccola e sciatta dello Stregone. Il suo viso, naturalmente passionale, in quel momento era sotto il controllo di una maschera fredda e senza emozioni, ma Gil si accorse che quell’atteggiamento nascondeva la sfiducia e la tensione che esisteva tra i due uomini… quasi un’ostilità, e di antica data…

Alwir sembrava annoiato, ed Ingold profondamente stanco.

«In verità», continuò il Cancelliere, «il suo avvertimento fu il primo. I ricordi della Casa di Dare erano forti nel suo ramo della Famiglia. Tuttavia, non è bastato a salvarlo. Noi tutti pensammo che avessi preso con te il Principe e fossi scappato dalla battaglia, quando non trovammo la tua spada tra le macerie della sala, anche se molti combattenti, specialmente verso la fine, raccolsero le armi cadute e continuarono ad usarle. Come sei riuscito ad assumere la forma del Buio e sfuggire così alla loro attenzione?»

«Ti sbagli,» rispose Ingold senza esitare. Ma un mormorio giunse da quelli che si trovavano più vicini al tavolo: infatti la conversazione tra lo Stregone e il Cancelliere, anche se condotta a bassa voce, era oggetto dell’attenzione di almeno duecento persone, oltre ai cinque che stavano loro vicino.

Gil, dimenticata da tutti e con il bambino che le dormiva tra le braccia, si appoggiò con la schiena ad una delle colonne di granito, e poté osservare le occhiate perplesse che molti indirizzavano a Ingold. C’era paura, timore, sfiducia in quegli sguardi: sembrava quasi che stessero osservando un alieno, uno straniero perfino nel suo stesso Paese. La ragazza comprese subito che il loro compagno doveva essere un Mago dissidente che non si era mai assoggettato alle leggi ed al volere del Re. La gente quindi riusciva a credere di lui — ed era evidente che lo faceva — che fosse talmente vicino alle Creature del Buio da riuscire a prenderne la forma.

«Comunque sia, sei riuscito a trovare una scappatoia… anche per il Principe: e di questo ti siamo grati… Rimarrai a Karst?»

«Perché hai lasciato Gae?»

Le sopracciglia curate di Alwir si sollevarono, incuriosite e divertite da quella domanda.

«Mio caro Ingold, quando sei stato là?»

«Quando ci sono stato non ti deve interessare», rispose Ingold calmo. «A Gae però c’era acqua, cibo, ed edifici sufficienti ad offrire un riparo a tutti. Almeno là questa gente poteva rimanere tranquilla e sicura da ruberie e sopraffazioni.»

«Certo Karst è più piccola», ammise Alwir, gettando intorno un’occhiata colma di biasimo verso la folla raggruppata nella sala piena di fumo. «Ma qui i miei uomini e le Guardie della città, sotto l’abile comando di Janus, possono controllare meglio la situazione: sicuramente meglio che in quel pazzesco labirinto semi bruciato che è poi quanto rimane della metropoli più bella dell’Ovest! Il Buio perseguita le valli del fiume», continuò, «come una malattia da palude. Evita però le grandi altezze… È anche possibile fare un patto con quelle creature… come può farlo una pecora delle montagne con un leone delle pianure: per evitare il leone, basta stare lontani dal suo territorio di caccia!»

«Per evitare il cacciatore», replicò Ingold con lo stesso tono rilassato, «il cervo sfugge le città degli uomini, ma gli uomini lo vanno a cercare nelle foreste. Il Buio non si avvicina mai alle località più alte perché là vi è meno profitto. Quando però le prede si spostano, farà di tutto per sorprenderle in campo aperto. E così potrà trovare un bel boccone pronto sulla strada, fino a Gettlesand, senza muro o fuochi, dato che questi fuggiaschi sono convinti di essere al sicuro!»

Gli zaffiri della collana del Cancelliere scintillarono alla luce delle torce non appena l’uomo si mosse, e i suoi occhi blu, del colore del fiordaliso, divennero duri come quelle pietre.

«Due giorni fa c’era un Re a Gae», disse. «Adesso… non c’è più nessuno. Ma questa situazione è soltanto temporanea, credimi Ingold Inglorion: una città non può andarsene e tornare all’improvviso come fai tu, e noi, ovviamente, non potevamo rimanere a Gae…»

«Perché no?», chiese Ingold in tono di accusa.

L’ira marcò la voce di Alwir.

«C’era il caos là! Noi…»

«Sarà stata una sciocchezza,» lo interruppe Ingold lentamente. «Il vero caos lo avrete quando i Guerrieri del Buio verranno qui.»

Nel silenzio che seguì quella affermazione dello Stregone, Gil poté percepire la presenza frusciante e silenziosa della gente che si era radunata intorno al loro gruppetto per ascoltare, accalcata intorno al tavolo ricoperto di pergamene che costituiva il quartier generale del Regno di Gae. Erano uomini, donne e bambini, seduti, o rannicchiati scomodamente sulle loro masserizie, condotti quasi senza accorgersene in quel vortice di volti e di corpi che si era venuto via via creando intorno all’alto, elegante Cancelliere, ed al trasandato pellegrino che sembrava possedere solamente la spada minacciosa che gli pendeva dal fianco. Nelle zone più lontane della sala si poteva udire — soprattutto sotto l’ombra dei grandi pilastri — un vociare smorzato: vicino alla ragazza, invece, non si sentiva volare una mosca. Quel duello sarebbe stato combattuto per forza di cose alla presenza di una moltitudine di testimoni.

Lo stesso Alwir sembrò rendersene conto, e la tensione che traspariva dal suo atteggiamento calò di colpo, mentre la sua voce si ammorbidiva conservando una sfumatura di ironia quando disse:

«Corri troppo signor Mago. Il Buio non è mai venuto a Karst: di tutte le città di questa parte del Regno, questa è l’unica senza traccia dei loro Nidi. Come ho già detto, questo stato di cose è temporaneo: ci vuole tempo per sistemarsi ed organizzarsi. Coloro che si sono rifugiati qui non hanno nulla da temere. Noi tutti faremo di Karst il nuovo cuore del Regno, lontano dal pericolo del Buio. È qui che raduneremo un esercito di alleati degli uomini. Abbiamo già chiesto all’Arcimago di Quo, Lohiro, il suo consiglio ed il suo aiuto, ed inoltre nostri messaggeri sono in viaggio verso Sud per trattare con l’Impero di Alketch.»

«Cosa avete fatto?»

Questa volta la voce di Ingold si alzò alta, ed il Mago apparve stupefatto ed innervosito quanto Gil non lo aveva mai visto.

«Mio caro Ingold», disse subito Alwir in tono diplomatico, «certamente non puoi aspettarti che ci si metta a sedere rimanendo con le mani in mano. Con l’aiuto dell’esercito dell’Impero di Alketch, possiamo portare la guerra fin dentro i Nidi del Buio. Con quell’aiuto, e con quello del Consiglio dei Maghi, possiamo attaccare il Buio nel suo stesso territorio, bruciarlo, e liberare una volta per tutte la Terra da quella immonda pestilenza!»

«Sciocchezze!»

Alwir infilò i pollici nella sua cintura ingioiellata, chiaramente soddisfatto di aver spiazzato lo Stregone.

«E tu cosa proporresti, signor Mago?», chiese dolcemente. «Ritornare a Gae per essere divorati dai Guerrieri del Buio?»

Ingold fece uno sforzo per trattenersi, e vi riuscì; ma Gil riuscì a vedere, dal suo posto sulle scale, quanto fosse stato scosso delle ultime parole del Cancelliere. Quando parlò, la sua voce fu calma, molto calma.

«Propongo di scendere a valle», disse. «Di andare a Renweth.»

«Renweth?» Alwir si girò di scatto, incerto se esplodere per la rabbia o se sbottare a ridere. «Renweth? Quel freddo buco infernale? È a dieci giorni di viaggio dalla fine del mondo, e sembra il punto d’inizio dell’Inferno. Lo potremmo certamente scavarci la tomba e seppellirci… Renweth! Stai scherzando?»

Il Vescovo, incuriosito, spostò il suo sguardo da rettile verso Ingold, ed intervenne di nuovo nel discorso.