«Il monastero di quella città è stato chiuso venti anni fa durante l’Inverno Cattivo. Dubito che ci sia ancora un villaggio.» La sua voce risuonò come un secco, sottile sussurro, come il vento che sibila attraverso le ossa scolorite di qualche sperduto deserto. «Certamente è troppo lontana dal centro del Regno per stabilirvi la Capitale…»
«Lontana?», gridò Alwir. «È come dire che l’Inferno ha un clima temperato. È un luogo maledetto, fuori mano, in mezzo alle montagne!»
«Non mi preoccupo del Regno», disse Ingold, e la sua voce ora era diventata dura, anche se i suoi occhi brillavano nella luce tenebrosa delle torce. «Non esiste più alcun Regno, ma soltanto persone in pericolo. Tu stai ingannando te stesso se pensi che il potere politico potrà proteggerti da tutto, quando il pensiero di ognuno è quello di salvarsi.»
Il Cancelliere non rispose, ma sulle sue guance si dipinse un violento rossore che gli rigò la pelle bianca.
Ingold continuò.
«La Valle di Renweth è il luogo dove sorge il Torrione di Dare. Dal Torrione, qualsiasi cosa decidessimo di fare, possiamo però tenere lontano il Buio.»
«Oh, suppongo che forse ci riusciremmo se il Torrione esistesse ancora,» ammise bruscamente il Cancelliere. «Potremmo mantenerli a distanza anche se vivessimo nelle foreste come i Doic, che si nascondono nelle caverne e si nutrono di cimici e lumache, senza neanche andare tanto lontano. Ma non possiamo stipare l’intera popolazione del Regno nel Torrione di Dare, neanche con tutta la tua famosa Magia.»
«Ci sono altri Torrioni» si intromise improvvisamente il Vescovo, e Alwir le lanciò un’occhiata rabbiosa. Ella però lo ignorò, strinse le sue lunghe dita, e disse pensierosa, con un filo di voce simile al suono della pergamena stropicciata:
«C’è un Torrione a Gettlesand che viene usato ancora come fortezza contro le incursioni dei Razziatori Bianchi; ce ne sono anche altri nel Nord…»
«Certo, sono gli stessi nei quali siamo andati a rintanarci negli ultimi tremila anni», rispose Alwir con il volto alterato dalla frustrazione. «La Chiesa non soffrirebbe certo molto della disintegrazione della nostra civiltà; la vostra organizzazione sopravviverebbe e raggiungerebbe lo scopo per il quale è stata creata: dominare! E tu, signor Mago, pensi che la tua razza non soffrirebbe… siete girovaghi e fratelli degli uccelli… Il viaggio fino a Renweth è lungo, forse troppo lungo…»
Alwir girò quindi la testa verso i volti attenti che costituivano la massa di facce confuse nella nebbia bluastra del fumo. Si erano avvicinati tutti ora: la ragazza con il gatto, il vecchio con le ceste di polli, e la donna grassa con il suo gruppo di bambini addormentati.
«Quanti di questi pensi che sopravviveranno ad una quindicina di notti all’aperto, viaggiando attraverso le valli del fiume dove passa la strada che conduce a Renweth? Qui siamo al sicuro. Più al sicuro di quanto potremmo esserlo su qualunque strada!»
Un mormorio di assenso e di timore serpeggiò tra la folla. Quella gente era già scappata una volta dalle proprie case confortevoli e dalla vita piacevole e comoda della città. Ora doveva sopportare la sregolatezza del giorno ed il terrore da incubo della notte… una spaventosa camminata sulle strade fangose con tutto ciò che potevano portar via affastellato sulle spalle… No, spaventati e confusi, non avevano alcuna voglia di andar via di nuovo; non c’era uno di essi che, sia pur con le promesse del Paradiso o con.il timore dell’Inferno, si sarebbe lasciato indurre a trascorrere un’altra notte all’aperto!
Alwir continuò, ma la sua voce si abbassò a tal punto da essere udita solamente da coloro che sedevano accanto al luccichio fumoso che circondava la base delle scale.
«Mio Signore Ingold,» disse con calma, «hai avuto molto potere con Re Eldor. Potere basato sulla fiducia che riponeva in te fin da quando eri bambino e ti trovavi sotto la sua tutela. Come hai usato quel potere, è affare tuo e suo: avevate i vostri segreti… Ma Eldor adesso è morto, e la Regina versa in delirio. Qualcuno deve comandare, altrimenti il Regno si sfalderà e cadrà nell’Oscurità come un cavallo che corre impazzito verso una scogliera. La tua magia non può far nulla al Buio… il tuo potere nel Regno è finito…»
Gli sguardi dei due uomini si incontrarono, e si bloccarono come le lame di spade tenute immobili dalla forza contrapposta di coloro che le maneggiano. La tensione tra i due si addensò fino a che non si udì altro che il rumore del loro respiro. Occhi blu fissi in altri occhi blu, incorniciati nell’oscurità dal brillare della luce saltellante delle torce.
Senza distogliere gli occhi da quelli del Cancelliere, Ingold disse:
«Il Re Eldor è morto, ma giuro qui, davanti a tutti, che il suo posto spetta al figlio. E sarà un posto sicuro, non certamente Karst!»
Alwir sorrise. Fu solamente una leggera piega delle labbra che non spostò di un millimetro il suo sguardo.
«Così dovrà essere, non è vero mio signor Mago? Ma il Re ora sono io, e il bambino è sotto la mia protezione, non sotto la tua!» Solo allora i suoi occhi si mossero, l’intero portamento del suo corpo mutò, e la sua voce si rischiarò come quella di un attore un attimo prima di «entrare» in un ruolo. Il suo sorriso divenne sincero ed il suo tono di voce assunse una sfumatura di biasimo benevolo. «Su, mio Signore» disse, con sempre quel sorriso stereotipato sulle labbra, «ci sono dei casi nei quali non è necessario rischiare la vita, e sono certo che voi mi capite. Ora…», ed alzò una mano per prevenire la reazione di Ingold, «sono sicuro che ce la caveremo con conseguenze meno drastiche e terribili della dissoluzione della nostra civiltà. Ammetto che qui siamo angustiati da non pochi problemi, ed ammetto anche che ci troveremo a dover far fronte all’arrivo di altri profughi da Gae e dalle campagne circostanti. Provvederemo però a mandare un convoglio di Guardie ai magazzini sotto la Prefettura del Palazzo di Gae non appena farà giorno. Per quanto riguarda invece il metterci in contatto con l’Arcimago Lohiro, temo che questo sia molto difficile: i tuoi colleghi sembrano essersi nascosti, ed è persino al di là dei poteri di Bektis il raggiungerli.»
«C’è un incantesimo che pesa sulla città di Quo», intervenne il Mago trattenendo il respiro e sbirciando la reazione di Ingold da dietro il suo lungo naso adunco. «Con tutti i miei incantesimi e la Magia del Fuoco e del Gioiello, non sono stato capace di oltrepassare quello schermo.»
«La cosa non mi sorprende affatto,» rispose Ingold dolcemente.
Lo sguardo scuro e freddo del Vescovo scivolò per un attimo su entrambi.
«Il Diavolo sa badare a se stesso…»
Ingold chinò il capo verso la donna con gentilezza.
«Come fa il vero Dio, mia Signora. Ma noi Maghi non apparteniamo a qualche universo in particolare, e così dobbiamo difenderci come possiamo. Quo, la roccaforte della Magia come tutti la considerano, è sempre stata immune dalla distruzione e dalle invasioni. Dubito che qualsiasi Mago, per quanto abile, possa oltrepassare in questo momento le difese della città.»
«Ma questo è ciò che proponi di fare?», chiese Alwir con una nota di maliziosa curiosità nella voce. Aveva pur vinto la sua battaglia, o almeno questa particolare scaramuccia, e poteva ora permettersi di lasciar cadere il suo atteggiamento severo e divertirsi, cosa che Gil sapeva essergli familiare e abituale.
«È ciò che propongo di tentare. Subito dopo che — come ho già detto — avrò messo al sicuro il Principe. Ma prima, mio Signore Alwir, ho bisogno di riposo per me ed i miei giovani amici. Essi hanno camminato a lungo lontani dalle loro case, e sicuramente non le vedranno prima di molti tramonti. Inoltre, con il tuo permesso, vorrei vedere la Regina.»
Un’improvvisa agitazione pervase la sala. Qualcuno aprì la porta dell’entrata secondaria e l’improvvisa ventata gelida che entrò, rigettò indietro il fumo facendo tossire il Vescovo con un suono secco e stridulo. L’oscurità, oltre la porta, appariva sfumata di un colore grigio pallido.