Quasi che l’apertura di quella piccola porta avesse lasciato entrare un invisibile turbine di vento, la folla cominciò a tremare, mentre l’aria stessa della sala cominciava ad agitarsi tra le colonne ed il grande soffitto a cupola. Alcuni si misero a dormire, sicuri in quell’ambiente protetto per la prima volta dopo tante notti; altri invece si alzarono, ed iniziarono a muoversi qua e là, mentre il suono delle loro voci era simile a quello cupo del mare quando cambia la marea.
Il filo d’aria che penetrava dalla porta fece oscillare la luce delle torce che si andò a riflettere sugli archi di pietra e sui volti stralunati di una parte della folla. Uomini e donne che fino a quel momento si erano tenuti distanti dal cerchio di luce rossa intorno al quale erano raccolti i potenti del Regno, si avvicinarono silenziosamente, e Gil poté sentire il loro mormorio tra i varchi delle colonne alle quali si era appoggiata con il roseo Principe addormentato tra le braccia.
«È la Piccola Maestà?»
«È Sua Piccola Signoria…»
«Non esiste un bambino più dolce…»
«Grazie a Dio che ha voluto risparmiarlo…»
«Dicono che il vecchio Ingold lo abbia protetto dal Buio, ma quello è un tipo strano, vero?»
«È un vecchio, scaltro bastardo, dico io…»
«È lo Specchio di Satana, come tutti gli altri Maghi…»
«Ha grandi poteri, ed ha salvato il Principe, che sarebbe di sicuro morto, sicuro come il ghiaccio del Nord…»
«È il Re ora… il solo figlio di Lord Eldor…»
Gentaglia, pensò Gil, e raddrizzò la schiena indolenzita dalle lunghe ore passate in piedi, e sulla quale gravava anche il peso del bambino che teneva addormentato tra le sue braccia.
La gente si avvicinava sempre più anche perché lei era una straniera: forse pensavano che fosse una creatura soprannaturale. Gil respirò quel tanfo di sudore stantìo che emanava dalla folla, e l’odore sgradevole si assommò a quello della sporcizia del viaggio.
Però, non appena si mosse, Tir si svegliò, afferrò un ciuffo di capelli e cominciò a piagnucolare. Rudy, che fino a quel momento era rimasto disteso a terra, addormentato su un gradino di granito davanti ai suoi piedi, aprì gli occhi e la guardò, poi si alzò con le giunture irrigidite ed allungò a fatica le braccia.
«Dammelo,» disse il ragazzo. «Lo terrò io per un po’. Questo bambino sta morendo di fame.»
Gil stava per ubbidirgli, quando Alwir si girò verso di loro e si aprì un varco attraverso la folla per avvicinarsi ai due ragazzi.
«Prenderò io il bambino», disse a Gil e Rudy, neanche fossero stati due servi, «e lo darò alla sua balia.»
«Fallo vedere prima alla Regina», esclamò Ingold apparendo silenziosamente al suo fianco. «Forse la vista del bambino potrà aiutarla più di qualunque medicina.»
Il Cancelliere annuì distrattamente.
«Forse hai ragione. Andiamo.»
Quindi si girò e salì le scale immerse nell’ombra, mentre il bambino si agitava e piangeva debolmente tra le sue braccia. Ingold fece per seguirlo, ma Janus lo afferrò per un lembo del mantello e lo tirò indietro.
«Ingold, posso chiederti un favore?»
La sua voce era tanto bassa da essere incomprensibile per tutti, tranne per chi gli stava più vicino. Govannin era già andata a parlare con un paio di monaci incappucciati, mentre Bektis stava salendo le scale nella scia di Alwir, le mani infilate nelle maniche orlate di pelliccia ed un’ombra di rassegnazione sul volto.
Normalmente, pensò Gil, il Comandante delle Guardie deve essere un uomo grande ed imponente, quasi come i recipienti di rame irlandesi…
La tensione e la preoccupazione però avevano piegato la sua prestanza, stendendo un velo di vecchiaia polverosa su quel viso squadrato.
«Partiremo per Gae tra mezz’ora. Il Falcone di Ghiaccio sta già radunando le truppe. Per adesso disponiamo di tutte le Guardie che riusciremo a trovare, alle quali devi aggiungere i soldati di Alwir. I boschi sono pieni di banditi e di profughi, tutta gente che per mangiare ammazzerebbe anche la madre… Ora è tardi per imporre ancora la legge, e a Gae sarà anche peggio: il Codice è stato infranto e, anche se Alwir sostiene di riuscire a tenere ancora unito il Regno, sono convinto che sappia quanto noi che ciò non è possibile.»
Ingold annuì, stringendo le mani per il freddo che proveniva dall’esterno. Insieme a quell’aria gelida giunse anche il mormorio delle voci, il rumore rimbombante delle ruote dei carri sui ciottoli della strada, ed il lontano cigolìo delle corazze di cuoio.
«So che è pazzesco chiedertelo,» continuò Janus, «dopo tutto quello che hai fatto: nonostante quello che dice Alwir, ti sei comportato eroicamente… Ma vuoi venire con noi a Gae? Il magazzino, come ben sai, si trova sottoterra, e tu puoi aiutarci a riportare indietro il cibo. Forse tu non puoi nuocere al Buio, ma puoi però chiamare la Luce e, inoltre, sei il migliore spadaccino dell’Ovest. Abbiamo bisogno di ogni lama… ho già chiesto a Bektis di venire con noi, ma non ha voluto…» Il Comandante sbuffò contrariato. «Dice che non vuole rischiare di lasciare il Regno senza un Mago che possa consigliare i suoi governanti!»
Ingold sogghignò, e nessuno riuscì a capire se si trattava di divertimento o di indignazione, poi tacque. Fuori si udivano le voci delle Guardie ed il frastuono della gente che si radunava nella piazza, mentre sempre nuovi profughi stavano entrando in città. Negli angoli più lontani del fumoso salone risuonava il sordo picchiettio delle pentole delle cucine da campo, la voce lamentosa di qualche uomo, ed il pianto dei bambini.
Lo Stregone sospirò a lungo, poi annuì stancamente.
«Va bene. Posso dormire in uno dei carri lungo la strada. Prima però devo vedere la Regina. Voi, intanto, radunate più armi e carri che potete.» Si girò quindi verso le scale, ed il bianco dei suoi capelli si unì al luccichio dorato della torcia. Gil lo seguì, incerta se chiamarlo per nome, e lui si fermò come se l’avesse sentita parlare. «Sarò di ritorno prima di notte», le disse con calma. «Di giorno sarete abbastanza al sicuro voi due, ma non andate in giro da soli. Come ha detto Janus, la città non è sicura… Prima del tramonto sarò tornato, e vi aiuterò a ripercorrere il cammino attraverso il Vuoto.»
«Non è un po’ presto?», chiese Rudy in tono dubbioso. «Voglio dire, che eri tu a sostenere che due passaggi nel Vuoto potevano essere dannosi, e mi sembra che siano trascorse soltanto», conteggiò con le dita, «quindici o sedici ore.»
«Conosco i rischi», rispose Ingold. «Però siete entrambi giovani e forti, e il Passaggio non dovrebbe arrecarvi dei danni permanenti. Considerate d’altronde le alternative: di giorno, a Karst siete relativamente al sicuro, e sembra quasi che Alwir abbia ragione, dato che il Buio non si è ancora avvicinato a queste colline. Però non posso assicurarvi nulla per la notte. I nostri mondi sono abbastanza vicini: il Buio mi ha già seguito una volta attraverso il Vuoto e, per quelle creature, ora sarebbe molto facile ripetere lo stesso viaggio. Dissi una volta che ero il solo a comprendere la natura del Vuoto, e come tale ho anche una certa responsabilità: non posso permettere che quegli esseri immondi arrivino a contaminare altri mondi, certamente non uno tanto popolato e indifeso come il vostro! Un’altra notte, potrebbe intrappolarci qui,» terminò bruscamente, «perché, se i Guerrieri del Buio saranno nei pressi, io non vi potrò rimandare indietro!»
«Allora tu non credi a ciò che ha detto Alwir!», esclamò Rudy, incrociando le braccia e cominciando a passeggiare vicino ad una delle grandi colonne di sostegno.
«No. È solamente una questione di tempo, poi i Guerrieri del Buio giungeranno fino a Karst, ed io voglio che voi non siate qui quando accadrà, perché accadrà di sicuro!»