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«Cosa pensa che voglia fare? Rapirlo?», chiese in un sussurro, appena la vecchia nurse rientrò ancheggiando in casa, con il bambino tra le braccia.

Alde sorrise.

«È soltanto preoccupata», spiegò, mentre raccoglieva le chiavi della motocicletta che erano cadute a terra, e le asciugava con un lembo della gonna mettendosele in tasca.

«Fa sempre così?», chiese Rudy. «Per un istante ho pensato che sarebbe venuta a sculacciarti.»

Il sorriso di Alde si fece più caldo e la ragazza abbassò timidamente il capo.

«Medda pensa a Tir come ad un suo figlio. Nessuno si preoccupa più di lei del Principe, forse neanche sua madre.»

Anche Rudy sorrise.

«Capisco. Mia zia Felicia fa lo stesso: a sentirla parlare con mia madre, non potresti credere che ha allevato sette figli da sola… ma glielo lasciamo fare.»

«Certamente non puoi cambiare delle dorme così», convenne Alda. «Dalla a me la stuoia. Posso portarla io. Medda sverrebbe se tu entrassi. Sa bene quali sono gli ordini della Casa di Bes… lascia pure, l’ho presa…»

Rimasero in silenzio, l’uno davanti all’altra, le braccia che si toccavano sotto la vecchia pelliccia rossa rosicchiata dalle tarme.

«Ti chiami Alde?», chiese Rudy.

La giovane annuì.

«È il diminutivo di Minalde…», spiegò. «Qualcuno mi ha detto il tuo. Se…»

«Alde!»

L’urlo di Medda giunse potente dall’interno della villa.

«Abbi cura di te,» sussurrò Rudy. «E del bambino…»

Alde sorrise e abbassò il capo come a nascondere un sorriso.

«… Anche tu…»

Poi si girò, e corse verso le grandi porte con gli artigli della pelle d’orso che tintinnavano strisciando sul pavimento levigato.

Il cielo sulla testa di Rudy aveva da tempo perso il pallore del giorno. Il sole era già sceso dietro le montagne, e il crepuscolo era apparso. Nonostante la bellezza dei colori e la pace di quel pomeriggio, Rudy non aveva intenzione di trascorrere un’altra notte su quel mondo. Oltretutto aveva una fame terribile, e la cosa più difficile da trovare in quella città era proprio il cibo.

Attraversò il giardino e si avviò verso il cancello arrugginito. La strada era quasi del tutto buia, anche se il cielo conservava ancora qualche chiarore del giorno, quasi fosse all’interno di un canyon. Rudy continuò a camminare preparandosi a cercare Ingold dovunque fosse, e pregustando già l’idea di tornare a casa sua.

«Rudy!»

Si girò, e si trovò davanti Gil che gli si era quasi materializzata accanto sbucando dall’oscurità, in compagnia, tra l’altro, di un giovane alto con una bianca treccia da vichingo, che indossava l’ormai familiare uniforme delle Guardie della Città.

Si accorse che Gil aveva rubacchiato un mantello da qualche parte e che portava una spada legata con uno spago ai suoi Levi’s. Quella strana bardatura lo fece ridere: la ragazza che aveva davanti era molto diversa dalla studentessa spocchiosa dell’altro pomeriggio…

«Dov’è Ingold?», chiese, non appena i due gli furono vicini.

Gil rispose seccamente.

«L’hanno preso.»

«Preso?» Per un attimo Rudy la fissò, perplesso. «Vuoi dire arrestato?»

«L’ho visto con i miei occhi», replicò Gil.

Ora che erano più vicini, Rudy si accorse che la ragazza era esausta, tesa, con gli occhi grigio-blu cerchiati di rosso che spiccavano sulla pelle cerea del volto.

Non si addice alla sua bellezza…, pensò. C’era però anche un accenno di durezza in quegli occhi che in quel momento non si sentiva di condividere.

Gil continuò.

«Un gruppo di soldati è comparso e lo ha circondato portandolo sulle scale del Palazzo Comunale mentre le Guardie erano occupate a scaricare i rifornimenti.»

«E lui non ha protestato? È andato con loro così, senza fare niente?», rispose Rudy esterefatto e incredulo.

L’uomo che accompagnava Gil annuì.

«Sapeva che doveva andare o combattere. Se avesse scelto quest’ultima strada, ci sarebbe stata certamente una rivolta.»

Lo scenario prese lentamente forma nella mente di Rudy: le Guardie avrebbero certamente appoggiato Ingold e sarebbero corse ad aiutarlo. La gente nella piazza si sarebbe lanciata sul cibo. Tutta la violenza accumulata in quei giorni si sarebbe scatenata, e l’intera città sarebbe esplosa come una polveriera! Lui era abbastanza abituato alle risse nello Shamrock Bar di Fontana per sapere come andassero quelle faccende. Quello che andava bene per una città mineraria il venerdì notte, qui si sarebbe trasformato in una tragedia con morti e feriti, disperazione, furia; una tempesta che avrebbe travolto l’intera città risucchiandola in sé!

Strinse i pugni e si rivolse ai due davanti a lui. La sua voce era venata da una profonda amarezza.

«Certamente sapevano con chi avevano a che fare. Chi è stato ad imprigionarlo? Lo sai?»

«Le truppe della Chiesa sembrerebbe. Almeno da come le ha descritte Gil…», rispose il Falcone di Ghiaccio. «I Monaci Rossi, uomini del Vescovo… ma avrebbero potuto agire per ordine di chiunque…»

«Chi altro?» Lo sguardo di Rudy scivolò da Gil al Falcone di Ghiaccio, mentre le ombre della strada sembrarono addensarsi intorno a loro. «… Alwir! Certo! L’altra notte non era riuscito a buttarlo fuori dal Consiglio…»

«Alwir è sempre stato invidioso del potere di Ingold sul Re», commentò pensosamente la Guardia.

«… Ed anche i suoi uomini sono vestiti di rosso,» aggiunse Gil.

Il Falcone di Ghiaccio scosse le spalle.

«Il Vescovo del resto non ha mai gradito la presenza di un “agente” di Satana così vicino al Trono.»

«Un che?», chiese Gil con voce alterata dalla rabbia, e Rudy provvide a spiegarle ciò che la Chiesa locale pensava della Magia. Il commento della ragazza non fu certamente né da studentessa né da figliola di buona famiglia.

«Il Vescovo è radicato nelle sue idee,» rispose il Falcone di Ghiaccio con la sua voce dolce e tranquilla e con un tono incolore quanto i suoi occhi. «Oh… certamente anche la Regina avrebbe potuto ordinare il suo arresto. A detta di tutti, non ha mai avuto fiducia in Ingold.»

«Sarebbe stato possibile, se non fosse per il fatto che la Regina è chiusa nella Sezione Otto — il manicomio per intenderci — in questi giorni,» intervenne Rudy duramente. «E comunque, chiunque sia ad averlo catturato, dobbiamo assolutamente trovare dove lo tengono, se non vogliamo trascorrere un’altra notte qui.»

«Per non dire i prossimi cinquant’anni… se decidono di murarlo in qualche cella dimenticata…», aggiunse Gil con la voce che le tremava per la preoccupazione.

«Proprio così!», assentì Rudy. «Anche se, personalmente, non vorrei essere l’uomo che si dovrà prendere la briga di liberarsi di Ingold per sempre.»

«Aspettate!», si intromise il Falcone di Ghiaccio. «Karst non è una grande città. Lo avranno certamente portato nella prigione del Palazzo Comunale o nelle cantine della villa di Alwir… o da qualche altra parte nella residenza estiva del Vescovo! Se ci dividiamo, non passerà un’ora che l’avremo trovato: poi voi potrete fare ciò che credete meglio.»

La voce dell’uomo mutò impercettibilmente di tono, ed anche quell’insignificante cambiamento fece tendere i nervi già scossi di Rudy; il ragazzo presentì una minaccia, ma gli imperscrutabili occhi del Falcone di Ghiaccio, chiari come nebbia, lo sfidarono a rivelare quel pericolo sconosciuto.

Alde gli aveva detto che le Guardie erano pazze, ma Rudy non riusciva a credere che lo fossero al punto da far evadere un Mago sotto il naso di tutte le forze schierate in quella sorta di gioco politico. Esse erano certamente alleate di Ingold e, se la sua impressione non era sbagliata, ora lo erano anche di Gil. Rudy si chiese se valesse la pena di immischiarsi anche in quest’ultima storia, ma capì pure di non avere molte scelte a disposizione: doveva cercare di realizzare un’evasione quella stessa notte, oppure rassegnarsi a passare chissà quante altre notti sotto quel cielo straniero!