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Per la terza volta in quella notte, fecero ritorno in città. I boschi ed il cielo erano completamente scuri, ed i rami degli alberi sbattevano al vento come ali di corvo. Tutt’intorno continuavano ad echeggiare grida e lamenti: sembrava quasi una scena dantesca illuminata com’era dalla luce sobbalzante e incerta delle torce!

Qualcuno alle spalle di Gil gridò.

Alzando gli occhi, la ragazza scorse il Buio che si materializzava nell’aria nera come inchiostro… ali gocciolanti una bava nerastra e mortifera e code uncinate che frustavano tutt’intorno…

Si fermò.

La sua spada sibilò non appena la impugnò, e fu appena conscia della presenza di Seya alla sua destra e di qualcun altro dall’altra parte.

Poi non ci fu altro che oscurità, vento, fuoco, colpi ciechi. I fuggitivi dietro di lei cercarono di riunirsi come pecore al macello mentre i bambini gridavano e gli uomini piangevano senza ritegno.

Un velo lacerato di qualche misteriosa materia scivolò sul terreno, e Gil scorse la sagoma alla sua sinistra piegarsi goffamente sulle ginocchia, disseccata, bianca come un panno lavato, intrisa di sangue che già si andava raggrumando, mentre un Guerriero del Buio si scagliava su di lei come una gigantesca bolla volante floscia e viscida.

Altre onde di oscurità furono generate dai boschi.

Il Falcone di Ghiaccio trasformò la sua voce bassa in un grido penetrante.

«Questo sarà il nostro ultimo viaggio, fratelli e sorelle! Ce ne sono sempre di più e, se vogliamo salvarci, dobbiamo raggiungere la città!»

In quell’attimo di tregua, intanto che i Guerrieri del Buio si riunivano in uno stormo terribile sopra il loro capo, si udì la voce di una Guardia osservare aspramente:

«Raggiungere quella città? Quella stia per polli, senza muri?»

«È l’unico rifugio che abbiamo. Ora correte!»

Corsero tutti. Corsero inseguiti da quell’incubo nero. Corsero con il vento che soffiava su di loro come il respiro di un mostruoso essere sepolto in qualche indicibile abisso. Corsero insieme ad un sogno orrendo fatto di boschi, di oscurità, di forme sinuose appena intraviste, di fiamme, di un terrore che non lasciava tregua.

Corsero verso il rifugio di Karst, ed i Guerrieri del Buio li inseguirono…

CAPITOLO SETTIMO

Era un gioco maledetto quello che continuava a condurre Alwir…

Rudy inciampò e cadde pesantemente a terra tra i pilastri che formavano l’arcata della scala d’entrata alla villa, e chiuse gli occhi.

Si sentiva in preda ad un vortice di sensazioni: la luce selvaggia delle torce, le urla che giungevano fino a lui come lance che gli trafiggevano la testa, e poi vertigine, ed affanno per la corsa…

Che la ricchezza vinca su ogni cosa e trasformi Karst nella Capitale del nuovo Regno prima che sprofondi nel nulla… Ingold, qualsiasi cosa abbiano fatto di lui, aveva ragione!

Il ragazzo aprì di nuovo gli occhi, e la luminosità della sala gli trafisse la vista ed il cervello come una lama: sembrava di essere nella sala d’attesa del Giorno del Giudizio.

L’intero ambiente e l’entrata, su ambedue i lati dell’arco scanalato, erano zeppi di gente, profughi dei boschi e della piazza che avevano cercato riparo quando le linee difensive intorno alla città avevano ceduto.

Molti piangevano, altri pregavano, ed altri ancora lanciavano maledizioni con voce stridula; si accalcavano l’uno sull’altro come pecore impaurite alla presenza del lupo. Il fracasso martellante somigliava a quello del finale di un concerto rock, talmente assordante da impedire di udire una sola parola, mentre i visi illuminati dalla luce sanguigna delle torce si contorcevano in smorfie di disperazione e di terrore.

L’aria era diventata quasi irrespirabile, ed era piena di fumo e del sentore acre della paura.

Rudy si chiese se non fosse capitato in uno dei famosi incubi di Gil, ma sentiva troppo forti i morsi della fame per pensare di essere addormentato, ed inoltre, se si fosse veramente trattato di un sogno, aveva certamente cominciato a sognare dalla parte sbagliata, ancora prima di dormire.

Spero che non si tratti della fine del mondo, disse tra sé il ragazzo. Non avrei mai creduto che fosse così rumorosa…

Simile ad un Principe delle Tenebre, Alwir se ne stava in piedi al centro del locale; il sangue gli colava da una ferita sulla guancia e solcava di rosso il suo viso accaldato. Una mano stringeva spasmodicamente il pomo della spada e l’altra gesticolava in aria, mentre parlava con il Comandante Janus e con il Vescovo Govannin, anch’essa appoggiata alla sua lama, le maniche rimboccate a cercare un po’ di refrigerio.

Sotto i segni evidenti della battaglia, quel viso scheletrico era calmo, e Rudy rifletté sul fatto che tutti in città sembravano saper maneggiare una spada tranne lui.

Alwir suggerì qualcosa, ma il Vescovo scosse il capo in un secco gesto di rifiuto. Il Cancelliere reagì con un gesto furioso che non sfuggì a nessuno nella stanza.

Rudy ebbe la brutta sensazione di sapere quale fosse il problema: la casa era certamente indifendibile!

Era ovvio. Erano stati trascinati in quel posto quando le difese intorno alla piazza si erano sgretolate sotto l’attacco dell’Oscurità che, come una densa nebbia, aveva coperto la luce dei falò. In quel momento Rudy era riuscito a rimanere in piedi tra le file di uomini armati, stringendo goffamente l’elsa di una spada che qualcuno gli aveva messo tra le mani. Poi era stato spinto indietro, oltre il bagliore fumoso di una dozzina di falò sferzati dal vento insieme ad una folla urlante, civili indifesi che, agghiacciati, si affollavano nella piazza in cerca di una protezione, fissando terrorizzati i movimenti indistinti oltre la cortina di fiamme.

Infine l’Oscurità aveva iniziato ad avvicinarsi, e la traccia mutevole di quei corpi nebulosi era diventata sempre più nitida.

Rudy aveva visto i falò diventare pallidi e fiacchi… quindi era stato coinvolto nella fuga cieca e precipitosa verso un luogo qualsiasi dove nascondersi, un muro, un riparo contro quell’incubo travolgente.

Era stato uno dei fortunati: la piazza e le strade intorno invece traboccavano dei corpi smembrati degli altri…

L’ironia del caso, pensò Rudy guardandosi intorno nella confusione dantesca che regnava dappertutto, aveva voluto che quel luogo dove si erano radunati, fosse difendibile quanto una gabbietta per canarini.

Non era niente più che una residenza estiva, e non c’era bisogno di una laurea in architettura per capirlo. L’intero palazzo era progettato per far entrare luce, aria, e la brezza estiva. I colonnati si univano a gallerie aperte; graziosi archi a forma di trifoglio si aprivano su stanze dalle ampie finestre; le due scale che partivano dalla sala d’entrata sulla sua sinistra, finivano in una balconata collegata al resto della villa da grandi arcate. L’intera casa era inutile: come una tovaglia di pizzo in un uragano!

Se non fosse stato accecato dalla stanchezza ed in procinto di dover affrontare una sorte sconosciuta e terribile, Rudy si sarebbe messo a ridere.

Janus intanto si agitava proponendo un qualche suo piano di fuga, ma Alwir scosse la testa.

Da qui non usciremo di certo!, pensò Rudy.

L’oscurità sembrava premere come un’entità incorporea contro le lunghe vetrate che coprivano una parete intera. Alcuni minuti prima, attraverso quei vetri era ancora possibile scorgere il riflesso rossastro e lontano dei falò. Adesso c’era solamente oscurità!

Lentamente, l’assordante brusio dei fuggitivi cominciò a spegnersi: gli uomini e le donne si spingevano in silenzio nell’oscurità tenebrosa della sala d’entrata oltre l’arcata, come a cercare un posto sicuro dove nascondersi, ma facendo in modo di non lasciare entrare nessun altro.