Dalla cima delle scale, Rudy e Minalde riuscirono ad intravedere lo spazio aperto della sala dove una torcia, caduta chissà a chi, stava finendo di bruciare sul pavimento e rivelava, con guizzi fumosi, un ammasso di vestiti consumati e logori, scarpe abbandonate, mobili sconquassati e calpestati dalla folla che era fuggita.
Intorno all’arcata, appena visibili al di là, un mucchio di ossa sanguinanti e di corpi straziati e raggrinziti, mostravano ciò che era accaduto dopo che Rudy si era gettato all’inseguimento di Alde. Oltre quel macabro segnale, un’oscura massa, fluida e mutevole, sembrava quasi scorrere e scivolare sui corpi dei caduti.
Rudy sentì la gola che gli si stringeva. Esposti com’erano in cima alle scale, niente avrebbe potuto indurlo a scendere in quella sala e a cercare di attraversare quello spazio. Accanto a lui, Alde gemette, e lui vide cosa cercava di indicargli.
Quattro o cinque creature, neri gusci di lumaca dai quali scendevano lunghe code sinuose che flagellavano l’aria, erano attaccate al soffitto ad arco della stanza. La pallida luce della fiaccola aleggiò sul baluginare chitinoso delle loro schiene rilucenti e mise in risalto il groviglio di artigli e di spine che usavano per uccidere e straziare, mentre dalle loro bocche invisibili colava lungo la parete una brillante bava di acido.
Una alla volta, come mostruosi pipistrelli, quelle creature lasciavano la presa e si lanciavano in aria, cambiando forma e grandezza per poi tornare a confondersi con le altre ombre. Anche se li aveva scorti in quel loro volteggiare, Rudy non avrebbe saputo dire dove fossero scomparse.
«C’è un’altra strada per le sale. È dietro di noi…»
Il sussurro di Alde lo colse di sorpresa, ma seguì immediatamente la ragazza che si era messa a correre.
Non c’era certo bisogno di sprecare altre parole, pensò Rudy, mentre si muoveva veloce con i lunghi capelli della ragazza che svolazzavano davanti a lui. Quante di quelle cose ci volevano per soffocare la luce di un fuoco? Una dozzina? Mezza dozzina? Quattro?
La sua maglietta e la giacca di tela erano ormai inzuppate di sudore, e la mano gli doleva tanto la teneva stretta sull’elsa della spada. Le ombre intorno a loro sembravano muoversi ad ogni passo avvicinandosi sempre più, mentre la luce della torcia si rifletteva nello sguardo fisso e terrorizzato di Tir.
Un passaggio si aprì improvvisamente nel corridoio, ma continuava ad accompagnarli la certezza di qualcosa che correva con loro, dietro di loro, come un respiro profondo che scompariva non appena si voltavano indietro a guardare.
Il respiro di Alde divenne sempre più affannoso, ed i suoi passi sembrarono improvvisamente più pesanti e faticosi.
Una piccola porta nera li condusse verso l’improvvisa spirale di una angusta scala a chiocciola che portava verso il basso, sempre più giù, ripida come una scala a pioli e tremendamente scivolosa; il tremolio ambrato delle torce si diffuse sulle pareti che sembravano stringersi sempre di più attorno a loro.
Infine raggiunsero il fondo, e Rudy avvertì l’odore aspro e nitroso delle cantine.
«Dove diamine siamo finiti?», sussurrò. «Nelle prigioni sotterranee?»
Sulle pareti aleggiava un lucore misterioso, quasi fossero coperte di fosforo che scendeva fino alle pietre melmose del pavimento.
Alde annuì ed indicò il corridoio che si apriva davanti a loro.
«Di là…»
Rudy afferrò una delle torce e la tenne bassa come se non volesse sfiorare il soffitto di pietra con la fiamma.
«Allora siamo veramente vicino alle segrete?»
«Si,» rispose a bassa voce la ragazza. «Però si parla di molto tempo fa. Ogni grande Casata del Regno aveva le sue truppe e dettava legge sul proprio popolo. I grandi Re, i Re di Gae, hanno cambiato tutto: qualsiasi uomo ora può appellarsi contro le decisioni delle Corti dei proprietari terrieri, o uno dei Lord a quella del Re… Questo vale per la legge civile naturalmente. La Chiesa è ancora Ubera di giudicare per suo conto.» In quel momento, esitò di fronte ad una diramazione.
Quelle prigioni apparivano come un labirinto umido e buio di passaggi stretti e tortuosi: Rudy si chiese come quella strana ragazza potesse essere, in quelle condizioni disperate, così fiduciosa.
«Quaggiù… penso,» mormorò Alde.
I due giovani attraversarono lo stretto corridoio, e la fiamma delle loro torce sfiorò leggermente le porte chiuse delle antiche celle. Erano fatte di pesanti tavole di quercia intagliate, coperte di bronzo verdastro e ferro rugginoso, a volte allo stesso livello del passaggio, a volte più in basso. La maggior parte di esse erano sbarrate, sigillate da pesanti marchi di piombo, ma una o due erano state murate, e le mani di Rudy sudarono al pensiero della sorte di chi vi era stato rinchiuso in base, magari, al giudizio affrettato e distratto di qualche giudice vendicativo. Quella vista gli fece ricordare di essere su un altro mondo, in un altro universo dove vigevano leggi e usanze diverse. Lì esisteva una giustizia e dei sistemi sommari per trattare coloro che si opponevano al sistema…
Alde inciampò, e dovette aggrapparsi al suo braccio per non cadere. Fermandosi per sostenerla, Rudy avvertì improvvisamente uno spostamento d’aria innaturale ed un odore che ormai gli era divenuto familiare.
Non si scorgeva niente nel corridoio davanti a lui, e le pareti sembrarono restringersi in un rettangolo d’oscurità che la luce della torcia non riusciva a penetrare, un’oscurità agitata dal vento, che quasi pareva attenderli.
Il vento divenne più forte e piegò la fiamma della torcia; Rudy divenne improvvisamente consapevole del buio che riempiva il passaggio alle loro spalle e che li lasciava ancora una volta completamente indifesi. Forse furono i suoi nervi tesi fino allo spasimo, o lo sforzo di conservare un minimo di lucidità in quegli attimi tremendi, in quelle lunghe ore d’incubo, ma credette di scorgere un movimento davanti a loro.
Mezzo paralizzato, riuscì però a mormorare qualcosa.
«Non c’è via di uscita qui, Alde. Guarda se qualcuna di queste porte non è ben chiusa…»
Si mossero con circospezione, e Rudy non distolse mai lo sguardo dalle ombre. Dal tremolio della torcia alle sue spalle, capì che la ragazza lo seguiva controllando una porta dopo l’altra. Quel bagliore gli sembrò però misera cosa rispetto al peso schiacciante del buio, poi, d’improvviso, sentì Alde sussurrare:
«Questa è soltanto sbarrata, non è sigillata.
Allora tornò piano indietro fino a raggiungerla.
La porta era in cima a tre gradini logori, stretta ed invalicabile, con i pesanti cardini ed i massicci chiavistelli profondamente incassati nella roccia. Rudy porse la sua torcia ad Alde e si accostò alla segreta.
Con la sua spada cominciò a tagliare il filo che stringeva ai cardini i pesanti listelli di piombo. Il metallo era vecchio e consumato, e stridette una acuta e rugginosa protesta quando cercò di tirare indietro il chiavistello, mentre i cardini scricchiolavano quando tentò di aprirla quel tanto bastante ad entrare.
Da quello che riusciva a scorgere alla luce della fiaccola, il luogo era vuoto, poco più di un buco rotondo con una minuscola nicchia nella parete più lontana, ed una piccola pila di paglia sulla quale giacevano poche ossa polverose e spolpate. L’aria era pesante, ed il tanfo di chiuso lo disgustò mentre entrava cautamente spalancando gli occhi per sondare l’intensa oscurità della cella.
Anche se si era preparato a qualche sorpresa, l’attacco che lo colpì dall’oscurità fu troppo veloce per riuscire a sentire almeno un rumore: tra un battito e l’altro del suo cuore venne sollevato per la gola, ed un colpo potente lo scagliò contro il muro mozzandogli il respiro.
Colpì la parete di pietra con la testa, e il suo grido si spense sotto la pressione di un avambraccio che gli schiacciò la carotide. Sentì la spada sfuggirgli di mano e, dopo un attimo, avvertì il morso dell’acciaio accanto alla giugulare. Dall’oscurità che lo circondava una voce sussurrò: