«Non muoverti…»
Era una voce conosciuta… Rudy chiese in un sussurro:
«Ingold?»
Il braccio che lo strangolava allentò la presa sulla sua trachea. Il giovane non riusciva a vedere nulla nell’oscurità, ma il tessuto che sfiorò con la mano gli era familiare.
Deglutì, cercando di riprendere fiato.
«Cosa ci fai qui, amico?»
Lo Stregone sbuffò.
«A rischio di dire qualche stupidaggine, posso affermare che sto cercando di demolire la prigione che i tuoi amici hanno inutilmente eretto. Gil è con te?»
«Gil?» Rudy non riuscì a ricordare sul momento quando avesse visto per l’ultima volta la sua compagna di disavventure. «No… io… Gesù, Ingold…» La sua voce si ruppe e il giovane si sentì improvvisamente perso e solo.
Un bagliore luminoso si profilò nell’arco scuro dell’entrata mentre le ombre si agitavano sulle robuste pareti della cella. Minalde oltrepassò la porta e si fermò, mentre i suoi occhi si spalancavano per la sorpresa nello scorgere lo Stregone. La ragazza abbassò lo sguardo dopo un attimo, ed un muto rossore le scaldò il viso. Si agitò come volesse scappare di nuovo nel corridoio anche se non poteva farlo; nella sua confusione, si guardò intorno per cercare le torce e gettarle via.
Rudy stava ancora cercando di riprendersi da quella sorpresa, quando il Mago attraversò la stanza e si avvicinò a Minalde togliendole gentilmente una delle fiaccole di mano.
«Ragazza mia», le disse dolcemente, «un gentiluomo non ricorda mai cosa una signora può dirgli in un momento di rabbia. Considera pure dimenticato tutto.»
Le parole dello Stregone non fecero altro che aumentare il rossore di Minalde; lei cercò di allontanarsi, ma Ingold la strinse leggermente per un braccio e scostò la scura ciocca di capelli che nascondeva la figura del bambino silenzioso raccolto nello scialle della ragazza. Gli accarezzò teneramente la testa e poi fissò di nuovo lo sguardo su Minalde. Non c’era alcun tono inquisitorio nella sua voce quando le disse:
«Così sono arrivati, alla fine.»
Lei annuì, e le labbra di Ingold si strinsero sotto l’ispida barba arruffata. In quell’istante Minalde, come ricordandosi del pericolo che sovrastava tutti, si gettò contro la porta cercando di richiuderla.
Ingold disse con fermezza:
«Non farlo!»
I suoi occhi si spostarono verso Rudy cercando una conferma a quell’ordine imperioso.
Ingold continuò.
«Se chiudi quella porta, rimarremo chiusi qui per sempre.» Indicò la base di una piccola nicchia nel muro dalla quale sporgeva un teschio che li fissava tristemente tra le ombre. «Ci sono incantesimi gettati su questa segreta che io stesso stento a comprendere.»
«Ma là fuori ci sono i Guerrieri del Buio, Ingold!», sussurrò Rudy. «Nella villa sono morte centinaia di persone, e forse migliaia sono i caduti nella piazza e nei boschi. Sono dovunque, come fantasmi… non c’è speranza per noi…»
«C’è sempre speranza,» replicò Ingold. «I sigilli sulla porta di questa cella mi impedivano di uscire, ma ero certo che qualcuno sarebbe venuto prima o poi, e che lo avrei potuto sopraffare se fosse stato necessario. Qualcuno lo ha fatto…»
«Si, ma si è trattato di una…», Rudy cercò il termine migliore. «Una coincidenza!»
Gli occhi di Ingold scintillarono con una eco della loro vecchia ed indiavolata luce.
«Non verrai a dirmi che credi ancora nelle coincidenze, Rudy?» Afferrò la spada. «Troverete un certo sigillo appeso ai chiavistelli della porta. Rimuovetelo e ficcatevi qua dentro. Vi chiuderò quando sarò uscito. Qui sarete al sicuro come non potreste essere in nessun altro posto di Karst, fino a che non vi manderò a chiamare, oppure ritornerò. È una soluzione drastica», continuò vedendo gli occhi di Minalde spalancarsi per la paura, «ma almeno posso stare tranquillo sapendo che il Buio non verrà qui. D’accordo?»
«Vuoi dire che, una volta chiusa quella porta, nessuno può uscirne?», chiese ansiosamente Rudy guardando con la coda dell’occhio la ragazza e il teschio nella nicchia buia.
«Precisamente: la porta è del tutto invisibile dall’interno.»
Rudy sbirciò il pesante battente e non gli sembrò affatto straordinario. Quello che lo preoccupava veramente era l’oscurità del corridoio. La fioca luce della fiaccola delineava il ferro massiccio dei chiavistelli e rivelava la rozzezza delle antiche tavole di quercia impregnate di fumo.
Il vento che spirava dal corridoio fece ondeggiare vistosamente i sigilli di piombo appesi ai chiavistelli, quasi fossero dotati di vita propria. Rudy si accorse che, sebbene Ingold fosse in piedi accanto alla porta con la sua torcia alta in mano, non riusciva a sfiorare il battente.
«Presto,» disse il Mago. «Dovete decidervi: non abbiamo molto tempo.»
«Rudy…» la voce di Alde era incerta, ed i suoi occhi sembravano enormi alla luce della fiaccola. «Se sono veramente al sicuro qui dentro, al sicuro come in nessun altro posto di Karst, preferirei che tu andassi con Ingold. Se dovesse succedere qualcosa, mi sentirei meglio sapendo che almeno due persone conoscono questo posto, invece di una sola…»
Rudy cercò di capire cosa volesse dire la ragazza.
«Non avrai paura a restare qui da sola?»
«Non più di quanta ne ho avuta fin’ora.»
«Prendi il sigillo allora,» disse Ingold, «ed andiamo.»
Rudy si avvicinò cautamente alla porta; la luce fluttuante illuminava a malapena la stretta fessura della toppa. Il sigillo penzolava ancora dai nastri neri che aveva tagliato. Era una placca scura, rotonda, e sembrava assorbire più che riflettere la luce. Era marcata su entrambi i lati con una lettera dell’alfabeto di Darwath. Non appena l’ebbe sfiorata, provò un violento senso di disgusto a cui non seppe dare un nome. C’era veramente qualcosa di terrificante legato a quella cosa.
«Non possiamo lasciarlo qui?»
«Non posso permetterlo,» rispose semplicemente Ingold.
La sensazione di orrore e di incomprensibile sporcizia che emanavano da quel sigillo piccolo e grigiastro, impedirono a Rudy di chiedere una spiegazione più chiara per quello strano comportamento del Mago. Si limitò a togliere l’oggetto dai nastri neri dai quali pendeva, e a gettarlo con un rapido movimento del braccio tra le ombre della nicchia. Rudy notò, mentre compiva il gesto, che Alde si era ritratta, quasi temesse di essere contaminata dall’aura malefica che emanava dal sigillo.
La ragazza fissò la base della sua torcia in una fessura della parete e si volse verso Rudy cullando il bambino che teneva tra le braccia.
«Vi manderemo presto qualcuno,» promise Rudy a bassa voce. «Non preoccuparti.»
Minalde scosse il capo. L’ultima cosa che il ragazzo vide di lei fu l’esile figura bianca avvolta nella nera cascata di capelli con il bambino stretto al seno. L’oscurità della porta li aveva incorniciati come una dorata immagine votiva in qualche misterioso sacrario.
Poi la porta si richiuse, e Rudy provvide egli stesso a tirare il ferro arrugginito del chiavistello.
«Cos’era quella cosa?», sussurrò, provando nuovamente un senso di ripugnanza nel toccare i fili ai quali era stata appesa.
«È il Segno Magico della Catena,» gli rispose Ingold, che era già arrivato in cima ad una delle logore scalinate, mentre scrutava il corridoio lontano. «La cella stessa ha un suo potere nascosto nelle pareti, così che nessuno dall’interno possa trovare o aprire la porta. Con quel segno messo lì appositamente per me, anche se avessi trovato la porta e l’avessi aperta, non sarei mai stato in grado di varcare quella soglia. Con ogni probabilità contavano di lasciarmi qui fino a che non fosse stata pronunciata una formale condanna di bando nei miei confronti, sperando che nel frattempo sarei morto di fame.»
«Ma non potevano farlo!», esclamò Rudy disgustato.