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«Si!», rispose semplicemente. «Tir è mio figlio. Se fossi morta io sola la scorsa notte, non avrebbe fatto una gran differenza… ti sarò grata in eterno per aver salvato la sua vita…»

Quindi si girò e salì le scale con la leggerezza di una ballerina, e le Guardie alle porte si inchinarono in un elaborato saluto al suo passaggio, mentre la giovane svaniva nelle ombre dell’entrata e Rudy rimaneva a bocca aperta per lo stupore, con i piedi che strusciavano nel fango della strada.

Il posto di guardia alle spalle della città, era stato una volta la stalla di qualche grande villa. All’occhio esercitato di Gil, la profusione di stemmi araldici eccessivamente lavorati sui cancelli delle case del complesso e la strombatura troppo ricercata delle finestre, sapevano di finta nobiltà, ed avevano l’inconfondibile impronta di qualche neo-arricchito.

Nella fredda luce del pomeriggio, la maggior parte del posto era visìbile dal pagliericcio dove giaceva, ricoperta da alcuni mantelli presi in prestito da chissà chi. Di quando in quando, il dolore la tormentava, strappandole qualche gemito sordo.

La luce del giorno non era certo benevola con quel luogo. L’edificio, che copriva tre lati del cortile, era stato grossolanamente trasformato in baracche e, tra le balle di fieno, spuntavano le maglie di ferro, le armi ed i materassi sui quali avevano dormito circa settanta Guardie, ammucchiate a casaccio. Il fango nel centro del cortile era scivoloso e coperto di impronte. In un angolo accanto alla fontana, qualcuno aveva improvvisato una cucina e stava preparando una farinata d’avena: la scia del fumo e l’odore del cibo giungeva fino al giaciglio di Gil. Nello spazio restante, una trentina di Guardie erano impegnate nelle esercitazioni quotidiane, infangate fino alle sopraccigha.

Erano brave però. Persino l’occhio poco esperto di Gil riusciva a cogliere la loro velocità ed il loro senso dell’ equilibrio. Erano guerrieri professionisti, un’elite. Stando lì per la maggior parte della giornata, la ragazza li aveva visti tornare dal loro turno di servizio. Tutti avevano combattuto la scorsa notte e molti, come lei, portavano addosso i segni di quella lotta. Tra i morti però, pochissimi erano Guardie, ed ora riusciva a capirne il motivo. La velocità, la resistenza, la capacità di reagire senza pensare, erano un tutt’uno per quegli uomini e quelle donne. Il movimento rapido dell’attacco e della difesa era tanto automatico per loro quanto quello di un dito che si ritraesse da una fiamma.

In quel momento si stavano addestrando con spade di legno simili agli shinai giapponesi, armi che certo non tagliavano né ferivano, ma lasciavano in cambio terribili escoriazioni. Nessuno del resto portava un’armatura od uno scudo per evitare i colpi.

Gil continuò a guardarli con un’ammirazione che in qualche punto sconfinava nel timóre reverenziale.

«A cosa stai pensando?», chiese una voce accanto a lei.

Alzando gli occhi, la ragazza scorse il Falcone di Ghiaccio in piedi vicino al suo letto, con il volto seminascosto dall’ombra.

Gil fece un gesto in silenzio verso le figure che si muovevano in lontananza, e verso il cupo ticchettio delle lame di legno che battevano una contro l’altra.

L’uomo annuì, volgendo il suo sguardo pallido nella stessa direzione.

«Per te è impossibile non essere perfetto in combattimento, vero?», chiese Gil continuando ad osservare i movimenti aggraziati delle Guardie, simili quasi ad una danza. «E loro sono come te: perfetti!»

Il Falcone di Ghiaccio scrollò le spalle, ma i suoi occhi avevano una luce interrogativa sotto le sopracciglia argentee.

«Se sai maneggiare soltanto un’arma» commentò, «è meglio essere perfetti. Come sta adesso il tuo braccio?»

Gil scosse lentamente la testa cercando di non pensare al dolore.

«È stato stupido da parte mia.» Le bende, ancora incrostate di sangue, spuntavano dalla manica logora e strappata della camicia. «Ero stanca, avrei dovuto accorgermene… forse non sarebbe accaduto.»

Il giovane alto si appoggiò al muro piegando i pollici sull’elsa della spada con un gesto che le Guardie conoscevano bene.

«Non ti sei comportata male però», le disse. «Hai una certa abilità istintiva, un certo talento. Personalmente non credevo che riuscissi a farcela dopo il primo combattimento: i principianti di solito non ce la fanno… tu, invece, hai l’istinto di uccidere…»

«Cosa?», esclamò Gil, più sorpresa che altro, anche se, dopo aver riflettuto un attimo, pensò che forse avrebbe dovuto essere almeno un po’ spaventata.

«Tra la mia gente è un complimento,» continuò il Falcone di Ghiaccio con quella sua voce incolore e sussurrante. «Uccidere, significa uscire vivi da un combattimento. Vuol dire avere veramente voglia di vivere.» Quindi alzò gli occhi verso il cielo grigio del pomeriggio, e si sistemò contro il muro stringendo le mani intorno ad un ginocchio. «Nel Regno, considerano una simile visione della vita pazzesca, e forse anche tra la tua gente è così. Per questo dicono che le Guardie sono pazze e, dal loro punto di vista, forse hanno ragione.»

Forse…, pensò Gil, forse…

Sembrava giusto se si esaminava la cosa da lontano, continuò a meditare la ragazza. Quell’impegno, quel bisogno, raramente veniva compreso… Nessuno più di Rudy era riuscito a capire il motivo che l’aveva allontanata dalla casa e dalla famiglia per amore delle gioie astratte e coinvolgenti dell’erudizione. E, a modo suo, era quasi lo stesso genere di pazzia…

Un uomo piccolo e calvo si muoveva tra i guerrieri che continuavano ad allenarsi, osservando tutto con i suoi occhi castani e luminosi. Si fermò proprio dietro Seya passandosi una mano attraverso i riccioli della folta barba bruna mentre osservava gli sforzi della donna che combatteva contro un’altra Guardia della sua stessa corporatura.

Seya sferrò un colpo ed evitò la replica dell’avversario, poi si spostò per colpire di nuovo, ma l’osservatore allungò una gamba agganciando quelle della donna e facendola, poco cortesemente, rotolare nel fango.

«Posizione più stabile,» disse, poi si voltò ed andò via.

Seya si alzò lentamente in piedi, si asciugò il fango dal viso, e ritornò al suo addestramento.

«Sono pochi quelli che riescono a capirci», continuò il Falcone di Ghiaccio con quel suo tono suadente. «Pochissimi possiedono interamente quest’istinto per la vita od un’esatta comprensione per il fuoco della perfezione. Forse è anche per questo motivo che sono sempre esistite poche Guardie.»

La fissò a lungo, e la luce mise in risalto le ossa irregolari del suo viso.

«Vorresti diventarlo?»

Gil si accorse di arrossire, ed il suo polso accelerò i battiti. Attese di essere più calma prima di rispondere.

«Vuoi dire, rimanere qui per sempre, ed essere una Guardia come voi?»

«Non abbiamo molti rincalzi…»

La ragazza tacque di nuovo, anche se sentiva crescere dentro di sé un genere del tutto nuovo di tensione che le bloccava i muscoli e la rendeva sempre più confusa. Gettò uno sguardo verso il piccolo uomo calvo che continuava a camminare quasi senza interessarsi delle lame che oscillavano, per poi fermarsi di colpo e piegare in due una Guardia colpendola allo stomaco e continuare ancora, pronto a correggere la sua prossima vittima. Infine, dopo un’altra lunga pausa, disse:

«Non posso.»

«Sei sicura?», rispose il Falcone di Ghiaccio.

«Sto per ritornare nel mio mondo…»

L’uomo la guardò sollevando un sopracciglio.

«Mi dispiace…», mormorò Gil.

«Anche a Gnift dispiacerà ricevere questa notizia», disse il Falcone di Ghiaccio.

«Gnift?»

L’uomo indicò l’istruttore calvo nella piazza.

«È lui che insegna alle Guardie. Ti ha visto la notte scorsa e nelle sale di Gae. Dice che potresti diventare molto brava…»