Gil alzò gli occhi.
«Ne hai parlato prima…»
Ingold annuì.
«Lui è il Capo del Consiglio dei Maghi di Quo, colui che governa tutta la Magia del mio mondo. La sua comprensione delle cose è molto maggiore della mia, così come i suoi poteri. Se qualcuno può aiutarci, quell’uomo è lui.
«Riuscii a parlare a Lohiro appena prima che i Guerrieri del Buio irrompessero a Gae. Mi disse che l’intero Consiglio dei Maghi, in pratica tutti coloro che praticano la Magia nell’emisfero occidentale, si era riunito a Quo. La Magia è conoscenza, lo sapete… Unendo insieme tutta la Magia, tutta la conoscenza, e tutto il potere esistente in questa parte del mondo, potremmo anche trovare un modo per sconfiggere il Buio…
«Cingerò Quo tra le pareti dell’aria e ne farò una fortezza che nessuna Oscurità potrà penetrare… Qui saremo al sicuro e, da questa fortezza, amico mio, torneremo alla luce…
«Queste furono le ultime parole che ho ascoltato da lui…»
Gli occhi di Ingold a quel ricordo persero un po’ della loro durezza e la sua voce mutò acquistando un tono ed una cadenza diversi. La sua mano sfiorò il cristallo posato sul davanzale e le sfaccettature rosee della pietra brillarono nella luce.
«Ogni tanto credo di riuscire a centrare un contatto, un collegamento… ho l’impressione di vedere la sagoma delle colline intorno alla città, e i contorni della Torre di Forn che emergono dalla foschia. Ma non ho saputo nulla, né da Lohiro, né da qualche altro Mago. Si sono racchiusi in un cerchio di incantesimi che è possibile spezzare soltanto percorrendo le strade dell’Illusione… e solo un vero Mago può farlo.»
«Poi ci lascerai partire?», chiese gentilmente Gil.
Lo sguardo di Ingold tornò veloce verso di lei.
«Non immediatamente,» disse. «Ma intanto andremo via da Karst. Domani all’alba Alwir condurrà la gente a sud, verso il vecchio torrione di Dare a Renweth, vicino al Passo di Sarda… Ne avete sentito parlare in Consiglio… Era la fortezza più antica costruita dagli uomini del Vecchio Regno contro il Buio, molte migliaia di anni fa, al tempo della prima invasione di quelle malvage creature. Sarà un viaggio lungo e faticoso, ma a Renweth sarete al sicuro… non meno comunque di qualunque altro posto su questo mondo.
«Io andrò con gli altri a Renweth. Anche se non faccio più parte del Consiglio dei Reggenti, sono pur sempre legato al giuramento fatto a Eldor prima della sua morte. Gli promisi di portare il Principe Tir in un posto sicuro, e non posso venir meno alla parola data, con o senza l’approvazione di Alwir. Temo che voi due, ragazzi miei, vi siate alleati ad un emarginato, a qualcuno che la gente non vede di buon occhio!»
«Alwir può anche andare all’inferno, per quanto mi riguarda!», disse Gil seccamente.
«Non considerarlo troppo male: lui ha i suoi sistemi… è solo che mi trova un po’ troppo… imprevedibile,» disse Ingold scuotendo il capo. «Sulla strada di Renweth Tir sarà in costante pericolo a causa del Buio. Non posso lasciarlo quindi, ma Renweth per me sarà soltanto una tappa di un viaggio più lungo e con molte incognite.»
«Sono d’accordo con te…», si intromise Rudy che fino a quel momento aveva riflettuto sulle parole dello Stregone. «Ma non potremmo accompagnarti fino a Quo? Se venissimo fin là, non correremmo alcun pericolo da parte del Buio: se è così sicuro, sarebbe l’unico posto nel quale i Guerrieri del Buio non oserebbero mettere… piede.»
«È vero,» assentì Ingold. «Se voi decideste di venire a Quo sareste al sicuro. Ma non ve lo consiglio. Pochissime persone hanno avuto il coraggio, o l’incoscienza, di avventurarsi nella pianura e nel deserto d’inverno. Si tratta di attraversare circa duemila miglia di lande desolate. In aggiunta al Buio ci sarà anche il pericolo dei Razziatori Bianchi, una delle tribù barbare che hanno intrapreso da secoli una feroce lotta ai confini del Regno.»
«Ma tu ci stai andando!», esclamò Rudy, puntando l’indice verso la figura seduta del Mago.
La mano di Ingold continuò a giocherellare con il cristallo sul davanzale della finestra.
«E voi potreste essere al sicuro viaggiando con me. Ma dovete credermi se vi dico che le possibilità di rivedere il vostro mondo sono di gran lunga maggiori rimanendo nel Torrione di Dare.»
Gil era rimasta in silenzio: le sue mani stringevano con forza le ginocchia, ed i suoi occhi erano persi nella tenebra intorno alla porta. Cercò di immaginare quella fortezza tra le montagne: settimane, forse sei mesi da sola, senza conoscere nessuno, una vera vita da reclusa. La sua mascella si indurì.
«Tu ritornerai però, vero?»
«Vi ho portati su questo mondo contro la vostra volontà», disse calmo Ingold. Appoggiò le mani su quelle di lei, e il calore di quel contatto l’attraversò riscaldandola come faceva sempre. «Per questa ragione, già sufficiente da sola, sono responsabile della vostra incolumità. Lohiro può avere una risposta migliore di quella che potrei trovare io. Ed è anche probabile che torni al Torrione in sua compagnia.»
«Va bene!», disse Rudy con un tono incerto di voce. «Ma cosa accadrà se non riuscirai a trovare i Maghi? Cosa accadrà se non riuscirai a oltrepassare il cerchio magico dentro il quale si sono rinchiusi? Cosa accadrà se — ed è soltanto una supposizione — l’Arcimago dovesse essere morto?»
Quest’ultima frase gli uscì a fatica dalle labbra. Non avrebbe voluto pronunciarla dal momento che Ingold faceva molto affidamento sulle capacità dell’Arcimago, ma il cipiglio dello Stregone non fu tanto di ansietà quanto di considerazione per quell’ipotesi.
«È possibile,» ammise con calma Ingold. «Ci avevo pensato, si, ma… lo saprei… se Lohiro fosse morto.»
L’ultima luce del crepuscolo scintillò sulle sue folte sopracciglia aggrottate.
«Gli incantesimi che circondano Quo potrebbero nasconderlo… però, anche in questo caso riuscirei a saperlo. So che lo saprei.»
«Come?», chiese Rudy incuriosito.
«Per un motivo semplicissimo: lui è l’Arcimago, ed io sono un Mago.»
«È per questo che Alwir ti ha cacciato dal Consiglio?», chiese a sua volta Gil rammentandosi degli occhi gelidi del Vescovo e del modo in cui Alwir aveva parlato di Ingold davanti al cancello del cortile. «Perché sei un Mago?»
Ingold sorrise e scosse la testa.
«No,» rispose. «Io e Alwir siamo nemici da lunga data. Lui non ha mai potuto digerire la mia amicizia con Eldor. E temo che non riuscirà mai a perdonarmi di aver avuto ragione circa i pericoli che avremmo incontrato insistendo a rimanere qui a Karst. Alwir, come avrete potuto immaginare, non ha mai voluto considerare seriamente l’idea di portare la popolazione nei Torrioni. Sono fortezze sicure contro gli attacchi del Buio, ma con una funzione prevalentemente difensiva. Ritirarsi in esse significa frantumare il Regno oltre ogni logica possibilità di ricostruzione e cancellare migliaia di anni di civiltà umana. Un destino simile è però inevitabile in una società isolata nella quale non esistono mezzi di scambio e di comunicazione oltre quelli che si possono utilizzare giorno per giorno. Il sapere diminuirà certamente, e dominerà una diffusa ignoranza; la capacità dell’uomo di guardare lontano, di progettare per il futuro, sarà sostituita da una meschina ottusità che non riuscirà a pensare a qualcosa che possa oltrepassare i confini della sua conoscenza immanente. Come sai bene dai tuoi studi, la legge del singolo genera inevitabilmente abusi e malversazioni: senza un centro dal quale diffondersi, raccogliendo idee ed esperienze, la Chiesa degenererà, ed i suoi teologi o sacerdoti si trasformeranno in scrivani santificati, semplici dispensatori di Sacramenti di cui non conosceranno neanche più il significato, ad una popolazione rozza e superstiziosa. Temo che anche l’arte della Magia avrà a soffrirne, inquinata dalle mille piccole necessità quotidiane alle quali può far fronte fino a perdere completamente di vista il suo fine ultimo che è quello di acquisire la conoscenza dell’intero Cosmo. Tutto ciò che richiede un complesso di conoscenze svanirà lentamente: le Università, la medicina, ogni forma evoluta d’arte, diventeranno semplici ombre del passato del quale nessuno saprà nulla…