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«Eldor era uno studioso, e previde tutto questo. Sapeva cosa era successo migliaia di anni fa grazie alle proprie memorie ancestrali, e conosceva bene i secoli della superstizione e dell’oscurità del pensiero quando regnava la paura dell’ignoto, una vera calamità per quegli uomini. Alwir e Govannin sanno perfettamente quale sia il rischio che corre la loro autorità… nulla potrebbe più ristabilirla… Per questo motivo Quo potrebbe essere la nostra ultima speranza!»

Rudy alzò il capo e interloquì incuriosito.

«Alwir non ha parlato di un progetto per chiedere aiuti o alleanza allo scopo di invadere i covi del Buio? Cosa ne è stato della sua idea?»

«Si…» rispose Ingold con voce improvvisamente debole. «Ha mandato dei messaggeri per questo scopo a sud, al grande Impero di Alketch… Non dubito che riuscirà a ottenere un aiuto…»

Il tono piatto ed inespressivo della voce dello Stregone turbò Rudy, che iniziò a giocherellare con il cristallo facendolo roteare tra le dita e tentando di dargli la giusta angolazione per raccogliere la luce del sole calante.

«Non mi sembra una cattiva idea», disse.

Ingold scosse le spalle.

«Non lo sarebbe,» disse, «se non ci fossero due buone ragioni per non farci affidamento. La prima è che dobbiamo ammettere che la nostra civiltà ha ricevuto un colpo mortale. Anche se riuscissimo ad allontanare il Buio, a quale tipo di Luce potremmo aspirare? Ho visto con il mio cristallo, e con altri mezzi, che le devastazioni del Buio a sud sono nettamente inferiori a quelle avvenute qui. L’Impero di Alketch è un regno giovane e forte: possono certamente aiutarci in questa impresa proposta da Alwir, ma saremo noi quelli che subiremo la maggior parte delle perdite. Il nostro territorio allora rimarrà spopolato ed indifeso, ed avremo assoluto bisogno delle forze di Alketch… Alwir così riuscirà soltanto a cambiare la morte in schiavitù… Molti pensano che questo non sia certamente un destino migliore!»

Gli occhi del Mago luccicarono sotto le sopracciglia.

«Conosco bene Alketch!», continuò con più calma. «L’Impero Meridionale aspetta da tempo l’occasione giusta per impadronirsi delle nostre terre… Conosco bene Alketch ripeto… e conosco bene anche il Buio…

«Alwir può avere da ridire su alcune cose, ma ha ragione sul fatto che la mia è l’unica soluzione possibile. Per quanto riguarda il Buio, la mia è l’unica conoscenza valida ora che Eldor è morto ed il solo erede della Casa di Dare è ancora troppo giovane per poterci aiutare. So con certezza assoluta che un attacco contro i Covi è destinato ad un sicuro fallimento! …Io sono stato in una di quelle tane… ed ho visto con i miei occhi il Buio e le sue città sotterranee!»

Lo Stregone si appoggiò al muro. La stanza ora era stata invasa dalle ombre. La sua voce era calma, distante, e condusse i suoi ascoltatori in un luogo lontanissimo, in un altro tempo…

«Molti anni fa ero il Dispensatore di Incantesimi in un piccolo villaggio sperduto vicino a Gettlesand. Era un villaggio ordinato e pacifico, ma non tanto grande da attirare l’attenzione del Signore di Gettlesand… Mi stavo nascondendo allora, ma questa è tutta un’altra storia…

«In quella parte del paese i doic vivono da selvaggi in tribù nomadi. Solitamente preferiscono le pianure, ma amano nascondersi tra le colline e sono ben noti per la loro propensione ai rapimenti, in particolare di bambini. Uno dei bambini del mio villaggio era scomparso, ed io mi gettai all’inseguimento di un gruppo di quei selvaggi per una notte ed un giorno intero. In una cava, durante quell’inseguimento, tra una cresta di colline che si stendeva sotto una catena montuosa, vidi per la prima volta uno dei Guerrieri del Buio. Era notte. La creatura se ne stava appesa al soffitto di una caverna e stava divorando un vecchio doic maschio che evidentemente aveva sbagliato nel cercare rifugio lì. Non si accorse di me.

«Sapevo già molto sui Guerrieri del Buio, almeno quello che avevo potuto leggere da alcuni antichi volumi e da molte leggende che avevo ascoltato e che mi aveva tramandato, insieme a questo gioiello, il mio Capo, Rath. Capii che quell’esemplare doveva appartenere a qualche gruppo isolato dei Guerrieri del Buio sopravvissuti al primo attacco, durante il quale avevano quasi distrutto il genere umano per poi scomparire dalla faccia della Terra. Probabilmente quella creatura si nascondeva nei recessi più impenetrabili delle montagne e del deserto, da tempo immemorabile. Io sono stato sempre posseduto da una curiosità insaziabile, e quell’incontro la stimolò ancora di più, per cui decisi di inseguirlo, e fui condotto attraverso tunnel tanto ripidi da costringermi ad aggrapparmi alle pareti ed al terreno per non scivolare a capofitto nell’oscurità. Ricordo, pensandoci bene, l’epoca in cui molti Guerrieri del Buio furono costretti ad una fuga precipitosa continuando a vivere così, come reietti. Erano gli ultimi resti di una potenza che aveva dominato l’intero mondo cambiando il corso stesso della storia!

«Seguii il piccolo Guerriero del Buio: era appena grande così», le mani di Ingold si allargarono a mostrarne la misura, «sempre più in giù nel cuore della Terra, strisciando, scalando, ed arrampicandomi per non perderlo di vista. In quei momenti riuscii anche a provare una sorta di piacere per quella razza che era scomparsa in quello che credevo essere un esilio senza ritorno. Poi il tunnel si aprì davanti a me, e finalmente entrai nella loro città.»

La voce dell’anziano Stregone era diventata quasi ipnotica, e i suoi occhi brillavano mentre si perdevano nel vuoto ad inseguire le immagini del ricordo.

«Era completamente buio, naturalmente», continuò, «ma io riesco a vedere chiaramente al buio. La cavità che conteneva la città doveva essere lunga perlomeno un miglio e continuava, sprofondando nel centro della Terra. Il tunnel dal quale ero uscito la dominava e, da quel punto, riuscivo a malapena a scorgere l’altra estremità di quella caverna che si perdeva nella tenebra più fitta. Le stalattiti del soffitto che riuscivo a distinguere, erano letteralmente coperte dai loro corpi, mentre il picchiettio dei loro artigli sulla pietra calcarea sembrava il rumore di una violenta grandinata. Lungo la parete alla mia destra si apriva, a livello del pavimento, l’entrata di un altro passaggio, grande abbastanza da permettere ad un uomo di entrare. C’era un fiume di Guerrieri che entrava ed usciva da un sotterraneo ancora più profondo… capii che sotto quella caverna se ne apriva un’altra uguale oppure anche più grande. E, al di sotto di quella, forse, ce ne doveva essere ancora un’altra. Quella era soltanto una delle loro città, sperduta nel deserto, e probabilmente non era neanche la più grande…»

Il ricordo di quell’impatto con la cultura aliena e sconosciuta del Buio, rese più profonde le rughe sul volto di Ingold; l’età e la vita avevano segnato i suoi lineamenti, rendendo il suo viso simile a quello di un profeta biblico, consapevole dello sfacelo della sua civiltà e della sua incapacità di impedire che ciò avvenisse.

Rudy capì, osservandolo, che — in quell’istante — Ingold non stava osservando quella stanza o i suoi compagni di un altro universo, ma stava invece osservando la moltitudine dei Guerrieri del Buio: li sentiva vivere sotto di sé, nelle profondità della Terra, non in esilio o in quanto costretti, ma per pura e semplice scelta di un luogo dove stare. E non era possibile in alcun modo impedir loro di salire alla superficie… come, del resto… avevano già fatto una volta…

La voce del giovane ruppe il silenzio che era seguito al racconto dello Stregone.

«Hai detto che vivevano appesi al soffitto di quella caverna,» disse. «Ma cosa c’era sul pavimento?»