Al di là della sua voce gentile, Rudy ebbe l’impressione di riascoltare l’eco di un’altra voce, quella di Gil che diceva:
«Vi rendete conto di quanti capolavori dell’antica letteratura sono sopravvissuti? Tutto perché qualche monaco cristiano non pensava che fossero tanto importanti da dover essere conservati!
Aveva dimenticato il contesto nel quale aveva sentito quelle parole, ma le ricordò ugualmente ed azzardò un’osservazione.
«Molto probabilmente saranno parecchie le persone alle quali interessa la filosofia e la teologia…»
E Dio sa che non vorrei essere rinchiuso per anni senza avere altro da leggere che la Bibbia!, pensò.
«È vero», disse Alde soppesando i libri che teneva in mano, quasi stesse paragonando il piacere ed i sentimenti ai geometrici cavilli scolastici. Poi girò la testa e la sua chioma scura sfiorò il ginocchio di Rudy che si era seduto sul bordo del letto alle sue spalle. «Medda?», chiamò.
La robusta cameriera, che fino a quel momento era rimasta a lavorare chiusa nella sua silenziosa disapprovazione per la sconveniente presenza di Rudy, si avvicinò con quel suo fare impercettibilmente svenevole.
«Si, mia Signora?»
«Potresti andare nel ripostiglio a vedere se riesci a trovare un altro baule? Uno piccolo?»
La donna si inchinò.
«Certo, mia Signora.»
Il rumore dei suoi passi pesanti echeggiò a lungo nella stanza anche dopo che se ne fu andata.
Rudy pensò tra sé:
Un punto a favore di Gil e dell’antica luce!
Alde gli sorrise tra lo sfavillio degli orli dorati.
«Non ti accetta: non può farlo. È troppo presa dal fatto che io sia la Regina. È stata la mia nutrice fin da quando ero piccola, ed ha accumulato molta esperienza nel suo ruolo. Non è così quando siamo sole… non farti impressionare da lei.»
Rudy le sorrise a sua volta.
«Lo so. La prima volta che vi vidi insieme, pensai che tu fossi una giovane cameriera, dato il modo con cui lei ti dava degli ordini.»
Le belle sopracciglie nere si alzarono, ed una luce divertita brillò nei suoi occhi.
«Se tu avessi saputo fin da allora che io ero la Regina di Darwath, mi avresti parlato?»
«Beh… voglio dire…», Rudy esitò. «Veramente non lo so. Se qualcuno mi avesse detto: «Guarda quella è la Regina…», forse non ti avrei neppure guardata.» Il giovane scosse le spalle. «Nel mio paese non esistono Re e Regine.»
«Davvero?» Alde aggrottò le ciglia, confusa da quella novità, impensabile per lei. «Chi vi governa allora? E la tua gente, chi ama ed onora? E poi, ancora: chi difende l’onore del tuo popolo?»
La domanda risultò incomprensibile per Rudy; la maggior parte del tempo trascorso a scuola lo aveva passato a cercare di evitare le lezioni, ed aveva soltanto una pallida idea di come funzionasse il sistema politico degli Stati Uniti. Cercò però di farne un quadro approssimativo per Minalde, raccogliendo quel poco che ricordava, e la Regina lo ascoltò con espressione attenta, le mani strette intorno alle ginocchia accostate.
«Non penso che riuscirei a sopportarlo,» disse alla fine della spiegazione di Rudy. «Non tanto perché sono la Regina, quanto perché sembra tutto così distante, impersonale!» Appoggiò la testa alla spalliera del letto, vicino al ginocchio di Rudy. Il bagliore ambrato del fuoco la faceva sembrare giovanissima, anche se accentuava i segni della fatica e della stanchezza sui suoi fragili lineamenti. «Io però non sono più una Regina», aggiunse con tono triste. «Oh, si, vengo ancora onorata, tutti si inchinano davanti a me… E tutto questo nel nome mio ed in quello di Tir… ma è tutto finito, non è rimasto nulla…»
La sua voce si interruppe di colpo quasi stesse lottando contro qualche violenta emozione.
Rudy scorse il brillìo di una lacrima nei suoi profondi occhi viola.
«È accaduto tutto così in fretta. Non è l’onore, Rudy, che cerco, né l’avere servi pronti ad ogni mia necessità… È la gente! Non mi interessa che ci sia qualcuno che mi prepara i bagagli: c’è sempre stato qualcuno che lo faceva per me. Ma quei servi, la gente del Palazzo, mi sono stati vicini per anni. Alcuni di loro appartengono alla nostra Casa fin dalla mia infanzia… sono stati con me fin da quando sono nata. La gente ama le Guardie che sorvegliano le mie stanze; io non le conosco bene, ma fanno parte della mia vita, una parte alla quale non ho mai pensato seriamente ma, adesso che costoro sono morti, mi accorgo di quanto mi pesi la loro assenza!»
La sua voce vacillò, poi ritornò più dura.
«Sai, c’era un vecchio schiavo doic che lavava i pavimenti nella sala del Palazzo. Probabilmente lo aveva fatto per tutta la vita e non doveva avere più di vent’anni, un’età molto avanzata per loro. Anche lui mi conosceva: borbottava e mi sorrideva quando mi vedeva passare. Nell’ultima battaglia nella Sala del Trono a Gae, afferrò una torcia e si gettò contro i Guerrieri del Buio, agitandola come gli uomini agitano le loro spade… L’ho visto morire. E con lui ho visto morire tante persone che conoscevo…»
Una lacrima scese lungo la curva della sua guancia, e i suoi occhi si alzarono ad incontrare quelli del giovane, cercando conforto e riparo contro la paura e la rabbia che la stavano invadendo.
«Non è l’essere Regina o non esserlo più!», continuò, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. «È conservare qualcosa di tutta una vita. Tir è tutto ciò che mi è rimasto, ma nell’ultimo combattimento ho dovuto lasciare anche lui. Io e la mia cameriera lo rinchiudemmo in una stanzetta dietro il trono… in quel momento c’era bisogno di ogni braccio e, anche se nessuno di noi l’aveva maneggiata prima, di ogni spada. Era come un incubo, qualche sorta di pazzo sogno… fuoco e oscurità. Penso di aver perso in quegli istanti parte della mia ragione. Credevo di morire e non mi interessava, ma ero spaventata dal fatto di aver abbandonato Tir e dal fatto che, forse, quegli esseri se ne sarebbero impadroniti…»
La giovane Regina pronunciò quelle parole immersa in una sorta di disperazione stupita.
«L’ho lasciato solo… e io… io dissi a Ingold che lo avrei ucciso se non avesse portato via Tir, anche se voleva rimanere e combattere con noi fino alla fine. Con la spada che avevo in pugno… l’avrei ucciso con quella!»
Per un istante i suoi occhi si persero, e sembrò non vedere nulla del riflesso dorato del caminetto, quanto piuttosto una scena troppe volte rivista.
Rudy disse gentilmente:
«Probabilmente non ti credette.» Fu ricompensato da un piccolo sorriso di derisione e dal ritorno alla realtà di quegli occhi ossessionati. «E comunque non credo che saresti riuscita a fargli del male…»
«No, hai ragione…» Alde sorrise ancora, tremante, come fanno le persone quando ricordano qualche passione disperata il cui ricordo sia stato stemperato dal tempo. «Ma non puoi capire come sia stato imbarazzante incontrarlo dopo.»
La memoria di quei sentimenti e della gaffe compiuta dalla Regina, come Ingold aveva detto, furono sufficienti a spezzare il cerchio di orrore di quel momento ed a far svanire quel ricordo funesto.
Fuori aveva quasi smesso di piovere, e il persistente picchiettio dell’acqua era diminuito fino a diventare un leggero fruscio sugli spessi vetri della finestra. Il bagliore dei carboni nel braciere si era trasformato in un chiarore diffuso come quello dell’ultima luce del tramonto.