Minalde si alzò ed attraversò l’oscurità della stanza per accendere un candeliere d’argento sulla tavola.
«Questo è accaduto perché non riuscivo a sopportare il fatto», continuò a voce bassa, quasi stesse parlando di un’altra persona, «che mio figlio potesse morire. Fino al momento in cui Ingold non venne da me qualche notte fa, cioè fino al momento in cui mi riportò Tir, io non sapevo nemmeno se fosse sopravvissuto. Tutto il resto, i Guerrieri del Buio che si scaraventano contro di noi, il loro contatto, i loro artigli simili a lame affilate, il viso del Falcone di Ghiaccio che si china su di me per raccogliermi dal pavimento delle Volte, mi sembra soltanto un sogno, qualcosa di irreale… Quello che ha contato per me in tutto questo tempo è stato che avevo abbandonato il mio bambino, l’unica persona, l’unica cosa che rimaneva, al di là di qualsiasi altra, nella mia vita…»
Le sue mani e la sua voce iniziarono di nuovo a tremare; Rudy si alzò e le si avvicinò nell’alone delle candele, prendendole le mani per fermarle.
Quel contatto bastò a calmarla, e sorrise, guardando lontano, oltre il viso del ragazzo.
«Alwir mi ha detto che sono stata in delirio per lo spavento,» disse dolcemente. «Sono felice però di non ricordare nulla del viaggio da Gae fino qui. Mi dicono che la città è stata distrutta… meglio così, perché potrò ricordarla in tutto il suo splendore!»
Alde fissò di nuovo Rudy e sulle sue labbra ricomparve quel dolce sorriso ironico.
«Quasi tutto quello che vedi qui appartiene ad Alwir: c’è ben poco di mio e, soprattutto, non ci sono le cose che avrei portato con me se avessi lasciato Gae ancora nel pieno della mia carica…»
«Non devi preoccupartene.»
«La scorsa notte, però,» continuò quasi senza prendere fiato, «penso che ti avrei ucciso se avessi cercato di ostacolarmi mentre stavo andando a prendere Tir: non volevo lasciarlo ancora! Ti sarò per sempre grata per il tuo aiuto, per essere sceso con me nelle Volte e per averci protetti tutti e due… anche se credo che avrei avuto il coraggio di scendere nei sotterranei da sola.»
«Continuo a pensare che saresti stata una pazza a farlo!», disse Rudy dolcemente.
Lei sorrise.
«Non ti ho mai detto di non esserlo.»
La pioggia era cessata completamente. Accanto a loro il nitido bagliore delle candele si diffondeva tranquillo, e la luce sembrò diventare più intensa in quel silenzio profondo ed immobile. Per qualche attimo furono circondati da una pace assoluta, ed essa donò loro un momento, curioso e isolato, di felicità, in quel mondo nel quale dominavano la confusione e la paura.
Rudy divenne consapevole, più di quanto lo fosse stato in ogni altro momento della sua vita, delle dita di Alde intrecciate delicatamente con le sue. Gli giunse il profumo dei suoi capelli, un misto di erba ed alloro, che si andò a confondere con quello di cera delle candele e con il cedro e la lavanda delle suppellettili e degli abiti.
Quasi fossero stati rinchiusi in un istante eterno, staccato dal tempo, erano soli ed in pace, l’uno con gli occhi fissi in quelli dell’altro, in una cornice morbida di ombre.
Guardandola, Rudy seppe — così come lo seppe Alde — cosa stava per accadere. Quella consapevolezza lo colpì come un fulmine, ma senza che ne fosse realmente sorpreso… Era una cosa che sapeva da sempre…
Rimasero così a lungo, impietriti da quell’improvvisa consapevolezza. Il solo rumore nella stanza era quello del loro respiro affrettato.
Poi si aprì una porta da qualche parte, e lasciò entrare un soffio d’aria gelida che fece piegare la fiamma delle candele portando con se l’eco lontana della voce di Alwir:
«… i ponies intorno al cortile. Ci vorrà tutta la notte per caricarli… le vostre cose andranno nel terzo carro.»
A quella voce si aggiunse anche quella di Bektis, incomprensibile, che rispondeva e quella più querula di Medda, accompagnata dall’improvviso tintinnio delle cinture con le spade e di maglie di ferro.
Alde si scostò come per andarsene, e Rudy la trattenne. I loro sguardi si incontrarono di nuovo, confusi, cercando ognuno una risposta a quel momento di profonda intimità che si era creato fra di loro. Il loro legame era cambiato, ed ora non era più possibile negare ciò che era avvenuto.
Nel viso di lei Rudy vide riflettersi il desiderio e la paura per questo sentimento appena trovato e, accanto a questo, lo stupore che stava provando per un espressione di affetto che non avrebbe mai creduto di poter dimostrare.
Il volto della giovane Regina si imporporò improvvisamente: ritrasse le mani e si allontanò, balbettando.
«Io… io non posso…»
«Alde…», la voce di Rudy era dolce e, udendola, la ragazza si fermò, con il respiro affannoso e irregolare quasi avesse corso a lungo. «Ci vedremo sulla strada domani.»
Lei sussurrò: «Va bene…», e distolse lo sguardo. Un attimo dopo, Rudy sentì l’eco dei suoi passi che si allontanavano dalla stanza.
CAPITOLO DECIMO
Era passato molto tempo da quando aveva visto un film intitolato «I Dieci Comandamenti» che, tra le altre cose, conteneva una scena memorabile nella quale i Figli di Israele fuggivano dalla terra d’Egitto. Ma Rudy ne conservava ancora un buon ricordo: ad un certo punto del film, Charlton Heston aveva alzato il suo bastone, e la sua gente si era trovata pronta a partire. L’intera fuga era durata meno di tre minuti di pellicola. Capre, vecchi, bambini e tutto il resto: sulle strade di Tebe non era rimasto nulla, né una carta straccia né un escremento di cane.
Karst invece era in agitazione da molte ore prima dell’alba. Rudy, stando accanto al carro con il contrassegno delle Guardie destinato a trasportare le vettovaglie della milizia, aveva una buona visuale della piazza, ed ebbe l’impressione che non si sarebbe riusciti a partire prima di mezzogiorno, se non dopo.
Iniziò di nuovo a piovere, come se ce ne fosse bisogno, e il terreno diventò simile ad una farinata. Le ruote dei carri si impantanavano, e la gente correva dappertutto senza uno scopo preciso, agitando la melma ad ogni passo. Il fango e la pioggia coprivano tutto, Rudy si ritrovò con il mantello infangato e zuppo così come erano impiastricciati gli sparuti gruppetti di profughi dallo sguardo depresso che il giovane vedeva passare instancabilmente. Anche Alwir, splendido ed elegante all’inizio, cominciò lentamente a diventare una figura simile a tutte le altre, logora e sporca.
A metà della mattina, la piazza era invasa da una totale confusione di persone, merci e mezzi di trasporto. I bambini si allontanavano dai loro genitori e si perdevano; i maiali che riuscivano a fuggire dovevano ugualmente essere inseguiti nel dedalo di carri, bestie ed averi personali, creando ulteriore scompiglio ed agitazione. Le famiglie ed i gruppi più numerosi, così come le famiglie dei Nobili minori, erano impegnate in riunioni dell’ultim’ora per risolvere qualche problema. Allora si creava un vero marasma di bestemmie, braccia agitate, discussioni sul miglior partito da prendere: se andare a nord nel Torrione di Lord Harl Kinghead, a sud verso le montagne seguendo Alwir ed il Consiglio dei Reggenti, oppure oltrepassare il Sarda Pass verso Gettlesand rischiando la minaccia dei Razziatori Bianchi nei Torrioni di Lord Tomec Tirkenson.
Rudy riuscì anche a scorgere quest’ultimo, che svettava sulla folla, sfregiato, brutto, e che era impegnato a maledire i suoi uomini con un vocabolario di imprecazioni che avrebbe fatto rizzare i capelli ad uno scaricatore di porto.
Rudy si era preparato ad abbandonare la città al primo ordine di sgombero. Dai resti delle vettovaglie degli scomparsi aveva raccolto una serie di vestiti asciutti — una tunica marrone, una camicia, dei calzoni, stivali, un mantello con cappuccio più grande di almeno una misura, ed un paio di guanti a maglie metalliche con applicazioni in oro e smeraldi. I suoi abiti californiani erano però stati ordinatamente riposti nel suo fagotto e facevano compagnia all’attrezzatura da barba che aveva rubacchiato, come tutte le altre cose, a quelli che non erano sopravvissuti all’attacco del Buio a Karst, al suo coltello da caccia fabbricato in America, ad un cucchiaio di osso e ad un grande pettine di plastica blu. A bilanciare il fagotto, c’era il peso, insolito per Rudy, di una spada che portava appesa al fianco.