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Il ragazzo, con le spalle appoggiate all’alta ruota del carro, tremando di freddo per il vento che portava nuova pioggia e piegava le cime più alte degli alberi scuri che si scorgevano oltre i neri tetti della città, osservava l’enorme confusione davanti a lui. La gente, impiastricciata di fango, si dava da fare per conquistare anche un solo centimetro di spazio in più su un carro, legava piccoli fardelli sulla schiena dei muli o cercava di sistemarli su rozze carriole, e continuava intanto a discutere di ciò che doveva portare con sé o lasciare per sempre.

Guardando quell’umanità confusa, Rudy, con la pelle del volto screpolata dal soffiare incessante del vento, ricordò improvvisamente la California con un distacco simile a qualcuno che ascolti una storia narrata da qualcun altro.

«Là!»

La voce fredda e rauca del Falcone di Ghiaccio lo strappò da quella contemplazione. Si voltò, e scorse il Capitano che stava indicando a Gil la piccola fila di carri che stavano uscendo dal palazzo del Vescovo accanto alla chiesa sull’altro lato della piazza. Alcuni monaci vestiti di rosso stavano terminando di caricarne due con ceste che erano certamente piene di materiale molto pesante sotto i comandi imperiosi ed arroganti dello stesso Vescovo.

«Lo trovo tipico», disse la Guardia. «Affermano di lavorare per la salvezza delle anime, ma il loro unico compito è quello di raccogliere decime, e di tenere la registrazione dei loro crediti, di chi nasce e di chi muore, di chi è stato battezzato, di chi è venuto a confessarsi… quasi stessero facendo una semplice conta di denaro! Anche adesso che stanno fuggendo per salvarsi la vita, si caricano di carte piuttosto che di viveri che potrebbero essere utili a tutti.»

«Loro?…», fece eco Gil lanciando un’occhiata incuriosita all’alto giovane con le lunghe trecce bianche che gli cadevano sulle spalle, lucide di pioggia. «Non sei credente?»

L’uomo rispose con uno sbuffo sdegnoso.

Oltre i carri della Chiesa, la famiglia di Alwir ed i resti dei governanti del Regno si stavano ordinatamente preparando e stavano scendendo dalle scale del palazzo del Municipio. Rudy scorse Alde seduta di fronte ad uno dei carri. La Regina, avvolta in una folta pelliccia scura, guardava attraverso le ombre del pesante cappuccio; in grembo cullava un gran fagotto di coperte anch’esse scure, nel quale qualcosa si agitava. Pur non scorgendo il faccino roseo e sorridente del Principe, Rudy capì che si trattava di Tir.

Medda, con il viso gonfio dal pianto, si arrampicò per prendere posto accanto alla sua Signora. In quel momento, Alde girò il capo scrutando la folla: nell’immensa confusione, riuscì ugualmente ad incontrare lo sguardo di Rudy, e tornò immediatamente a girarsi quasi avesse vergogna di essere stata scoperta a cercarlo.

Alle sue spalle, Bektis stava salendo su un altro carro; il suo viso aguzzo era incorniciato da un grande e prezioso collo di pelliccia di martora, mentre osservava altezzosamente la folla riunita nella piazza al di sotto del suo nobile naso…

Qualcuno urlò degli ordini: era la voce dura e decisa del Comandante Janus che si elevò sopra il picchiettio costante della pioggia ed il chiasso delle discussioni e dei preparativi.

Alwir comparve da dietro l’angolo del Palazzo Municipale. Montava una giumenta saura dalle zampe esili. Il suo mantello sventolò come una bandiera non appena si chinò per impartire le ultime istruzioni a qualcuno vicino ai carri.

Le Guardie si muovevano in file ordinate: una doppia fila di uomini cenciosi e coperti da divise rattoppate circondavano entrambi i lati dei carri del Cancelliere.

Come una pentola d’acqua giunge alla fine della bollitura, così la folla nella piazza — gruppi isolati, famiglie, uomini soli — afferrò le proprie cose e cercò, sgomitando, un posto vicino a quella fila di uomini armati per ottenere subito, in caso di bisogno, un po’ di protezione. Coloro che si erano attardati, si affrettarono a radunare le loro cenciose suppellettili per cercare di raggiungere quel gruppo: qualunque fosse la loro destinazione, il Nord, Gettlesand o Renweth, lo stare accanto ad un convoglio armato era preferibile al percorrere quel cammino isolati e senza nessuna speranza di una difesa contro i più che probabili pericoli che li attendevano.

Rudy fu sorpreso dal numero dei profughi una volta raggiunta la strada. Era una sorta di organismo vivente che si muoveva autonomamente, quasi senza ordini, una vasta accozzaglia di carri per i viveri, per trasportare la mobilia del Cancelliere o per i documenti del Governo, capi di bestiame e, qua e là, cavalli bradi che i più fortunati sarebbero riusciti ad accaparrarsi per poterli cavalcare fino a Renweth. Insieme a tutto questo c’era anche una folla di servi umani e i pochi doic rimasti a qualche famiglia benestante che era riuscita a trascinarli via.

Le famiglie si erano perlopiù accodate ai carri Reali; portavano con loro stie piene di polli ed un branco confuso di cani vocianti che badavano in qualche modo a piccoli greggi di pecore ed a qualche maiale isolato. Era sorprendente quanti di questi gruppi fossero riusciti a rimanere uniti nella confusione pazzesca delle ultime settimane, anche se molti di essi erano stati decimati da malattie e dall’attacco dei Guerrieri del Buio.

I padri e le madri si erano caricati degli involti più pesanti, ed i ragazzi più grandi invece si incaricavano di badare ai bambini piccoli, mentre qualcuno di loro guidava il poco bestiame sopravvissuto o comprato. Non mancavano neanche i vecchi — qualcuno, con grande stupore di Rudy, aveva raggiunto una venerabile età —, ma forse questi sarebbero stati i primi a cadere, incapaci di correre abbastanza per sfuggire al Buio. Essi erano comunque là, appoggiati ai loro bastoni o affidandosi alle spalle robuste dei loro nipoti e pronipoti, chiacchierando tra di loro con una calma simile a quella di chi ha cessato di sorprendersi degli scherzi del destino.

Appena uscita da Karst, quella folla vociante e male in arnese passò accanto a numerose famiglie che stavano ancora caricando i loro averi sulle schiene di somari o di carretti trascinati da cani. Queste cercavano di sistemare le ultime cose essenziali, discutendo ed osservando con occhi apprensivi il convoglio che sfilava loro accanto oltre la cortina grigiastra della pioggia.

Con ogni probabilità, secondo quanto sembrò a Rudy, la gente avrebbe impiegato l’intera giornata per lasciare Karst.

Un vecchio inzaccherato con un fagotto malandato ed un robusto bastone, cadde davanti a Rudy mentre stavano raggiungendo gli ultimi sobborghi della città. Il sentiero in quel punto scendeva ripido ed era coperto da un manto di fanghiglia e di sterco scivoloso. Lo stesso Rudy riuscì a malapena a mantenere l’equilibrio, e sarebbe certamente caduto, se una mano robusta non lo avesse sorretto per il gomito.

«Tagliati un bastone da quelle macchie di arbusti,» lo avvertì una voce familiare e graffiante. «Il cammino diventerà sempre più difficile una volta raggiunte le montagne intorno a Renweth.»

«Ma noi le montagne le stiamo lasciando», disse Rudy, seguendo attentamente il percorso di Ingold. «Questa non è la catena che dobbiamo raggiungere?»

«No, non è la stessa,» rispose Ingold. «Prenderemo la Grande Strada del Sud appena fuori di Gae e la seguiremo fino alla Valle del Fiume Marrone che scorre attraverso il cuore del Regno. La strada che conduce a Sarda Pass l’attraversa e, da lì, saliremo fino alle Grandi Nevi. È quella la grande parete di montagne che divide in due la nostra terra, il Regno di Wath, separando le valli del Fiume dalle pianure e dal deserto di Gettlesand. Renweth si trova appena sopra Sarda Pass… attento a dove metti i piedi!»