«Lo faranno?», chiese Janus in tono dubbioso.
«Se pensano di potersela cavare fuggendo con un buon bottino, si.» Ingold gli si avvicinò scuotendosi via la rugiada dalle maniche della tunica. Rudy si accorse di quanto fosse leggero il suo passo che lasciava nell’erba una traccia quasi impercettibile. «Le forze riunite delle Guardie, delle truppe di Alwir, delle truppe della Chiesa ed i resti dell’esercito, oltre agli uomini di Tirkenson, sono superiori ai Razziatori almeno di venti a uno. Ma il convoglio è quasi a sette miglia, e ne mancano ancora quattro ad un luogo adatto per piazzare il campo. Potrebbero colpirci in qualsiasi punto.»
Le Guardie erano già montate in sella, pronte ad andar via. Soltanto Janus ed Ingold erano rimasti a terra e parlottavano animatamente. La sagoma del Comandante dai capelli rossi sovrastava abbondantemente quella del Mago. Dalla sua instabile posizione in groppa al suo irrequieto pony, Rudy li guardò meravigliandosi dell’amicizia che legava quei due uomini, evidente anche a dispetto della posizione della Chiesa contro i Maghi. Gli sembrò che, a parte se stesso e Gil, Janus dovesse essere l’unico amico su cui Ingold potesse contare nel convoglio.
La gente comune, seguendo la strada verso il mitico rifugio a Sud, trattava il vecchio Stregone con un misto di soggezione, sfiducia e timore, quasi rappresentasse qualcosa di soprannaturale. Persino Minalde, la cui vita insieme a quella del bambino era stata salvata da morte sicura, era timida e taciturna alla sua presenza. Rudy si chiese quale legame stringesse in maniera così forte Ingold alle Guardie.
«Quando siamo in pericolo?»
Nella luce diffusa, il viso di Ingold era pensieroso, ed il suo sguardo lasciò il Comandante per scrutare il paesaggio che si stava lentamente rivelando allo sguardo mentre la nebbia si dissolveva nella luce pallida ed incolore del giorno. Lontano, alla base delle colline rotonde, si scorgeva la lunga fila scura dei profughi. I corvi si ingobbirono sui rami spogli degli alberi e fissarono le Guardie con i loro piccoli occhi scuri. Tutt’intorno, verso tutti i punti cardinali, c’era una distesa desolata di erba rinsecchita, e Rudy si accorse di non aver mai visto in vita sua una terra così triste.
«Più di quanto immaginiamo!», disse all’improvviso il Mago rispondendo alla precedente domanda. «Abbiamo avuto una buona luna la notte scorsa, ma riuscivo a sentirli lontani. Ai piedi delle montagne c’era un loro vecchio Nido che una volta era ostruito dalle rocce. La strada lo costeggerà…» Janus gli fece un cenno con gli occhi, ma Ingold non lo capì. Continuò invece a dire: «La velocità e la tempestività sono i nostri unici alleati. Dobbiamo raggiungere il Torrione al più presto: ogni giorno che restiamo sulla strada fa aumentare i pericoli! È probabile che, quando ci arriveremo, dovremo difendere il Torrione non soltanto dagli attacchi del Buio…»
CAPITOLO UNDICESIMO
Una profonda sensazione di inquietudine si diffuse per tutto il convoglio. La presenza invisibile dei Razziatori Bianchi si faceva sentire durante il giorno così come la minaccia dei Guerrieri del Buio era presente durante la notte. Rudy visse in quell’ansia per tutta la notte ed il giorno successivo, continuando a marciare con gli altri: era possibile coglierla in ogni frammento di conversazione, e vederla nei movimenti prudenti dei profughi che ancora si aggrappavano, come un’orda vasta e cenciosa, a ciò che rimaneva del Governo del più grande Regno d’Occidente.
Piccoli gruppi, famiglie ed uomini soli, tutti aumentavano la loro andatura; davanti a lui, un uomo stava spingendo una carriola incredibilmente colma di oggetti, ed imprecava contro una donna esausta con un bambino in braccio e contro una capra legata ad una corda sfilacciata, urlando di correre, correre, correre, di andare avanti prima che qualcosa — il Buio, i Razziatori, o i lupi — potessero raggiungerli.
Rudy li incontrò di nuovo, più tardi. Erano seduti, stanchi e accaldati, su una pietra miliare: il bambino piangeva per la fame, mentre l’uomo e la donna fissavano in silenzio le lontane terre desolate ed il cammino che restava ancora da percorrere. La loro collera era finita.
Al guado del fiume Mabigee, il ponte era stato danneggiato da qualche tempesta fuori stagione, e lì Alwir ed il Vescovo Govannin quasi vennero alle mani per il carico di documenti che la donna aveva portato con sé da Gae. Le registrazioni potevano benissimo essere abbandonate: i carri sarebbero serviti per i malati, i feriti, gli anziani, ed i bambini, la cui forza veniva via via scemando a causa della cattiva nutrizione e della stanchezza.
Il Vescovo inveì violentemente:
«Si! E allora tutte le registrazioni dei secoli passati che sanciscono il dominio di Dio al di sopra dell’autorità umana devono andare perdute per quando raggiungeremo il Torrione?»
«Non essere sciocca donna!», ringhiò Alwir. «Dio preferisce di certo le anime a tutta quella tua maledetta carta ammuffita!»
«Egli ha già le loro anime!», rispose il Vescovo. «E ne avrà ancora di più. Se sono le anime che ti interessano, mioSignor Cancelliere, elimina il tuo insulso specchio di Satana,il tuo prediletto Mago, e lascia venire al suo posto i tuoi preziosi malati. Un uomo che segue il consiglio di un Mago dovrebbe essere l’ultimo a poter parlare di anime!»
Dopo aver attraversato il fiume, i profughi si ritrovarono bagnati fradici ed esausti, e nessuno riuscì a proseguire la marcia se non per poche miglia. Il grosso del convoglio si fermò presso un villaggio abbandonato al riparo delle cave di pietra semidiroccate o bruciate dai fuochi che i loro proprietari avevano acceso per difendersi dall’attacco del Buio.
Il resto dell’enorme carovana si sparse invece nella pianura creando una vera e propria città, un agglomerato disciplinato di tende e ripari improvvisati, racchiuso nel perimetri dei falò accesi al sopraggiungere della notte.
Rudy accese il suo fuoco su una piccola pendenza del terreno, ad una cinquantina di metri da un edificio lontano dalla strada. Aveva trovato una capannuccia nascosta sul fianco della collina che, in giorni migliori, doveva essere stata adibita a deposito di legname, e dove trovò ancora dei grossi ciocchi, buoni per il fuoco.
La collina stessa, fronteggiando la strada ed il campo, creava un buon riparo contro i venti freddi e taglienti che venivano da Occidente.
Le montagne erano rimaste visibili per l’intera giornata, ed ora si levavano maestose lungo tutto l’orizzonte, da ovest a sud. Nell’ultima luce del tramonto si stagliavano come una parete scura contro il cielo serale di nuvole, con le vette avvolte dai lampi di temporali lontani e coperte da uno spesso strato di neve che veniva rivelato dal vento che, di quando in quando, spazzava via le nubi. Rudy osservò a lungo quello spettacolo con preoccupazione: qualcuno gli aveva detto che il Passo di Sarda si trovava proprio sulle montagne. Pensò alla neve e tremò.
Aveva sempre avuto una fame da lupo, ma sorprendentemente ora il suo fisico si era adattato a quelle lunghe giornate di cammino ed alla stanchezza che veniva dal poco riposo concesso dalle veglie notturne. Soltanto, da quando era giunto nel Regno di Darwath, era sempre stato cosciente di soffrire terribilmente per il freddo, e si chiese quando sarebbe riuscito a riscaldarsi a dovere.
Quando la notte scese del tutto, Alde e Medda si fecero vive portandogli un po’ di vino caldo. Rudy lo bevve riconoscente, ma tra sé pensò che avrebbe preferito qualche tazza di caffé caldo. Quel gesto di Alde però gli confermò, mentre fissava gli occhi della ragazza al di sopra dell’orlo dorato della tazza, che lei si interessava a lui e che, forse, provava anche qualcosa.
Alde, Minalde, pensò con disperazione, tu sei la Regina di Darwath, ed io soltanto un vagabondo capitato qui per caso! Ma perché doveva succedere proprio a me?
Il suo desiderio per lei era palpabile, pressante, ma non potevano far altro che stare lì a toccarsi di nascosto le mani. Medda vegliava, con la solita smorfia di disapprovazione dipìnta sul viso, seduta dall’altro lato del falò, lontana abbastanza da non riuscire ad origliare la loro conversazione, ma solo se avessero parlato a bassa voce. La sua presenza però conferiva ai loro incontri quel crisma di rispettabilità senza il quale Alde non avrebbe neanche potuto avvicinarsi a lui.