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Il Falcone di Ghiaccio, armato di un sottile bastone di legno, studiò il suo avversario, una robusta Guardia che stringeva tra le mani una pesante canna di bambù, un’arma capace di ferire — se usata con perizia — quanto una vera lama.

Il giovane Capitano era stato colpito alle mani ed al volto. Rudy, seduto al bordo del campo, stava tremando, e notò che Gil, vicino a lui, stava invece osservando il combattimento con vivo interesse. Sembrava che avesse già preso parte ad una seduta di esercitazioni e ne fosse uscita malconcia.

Ragazza testarda, pensò. Dovranno ammazzarla prima di riuscire a farla rinunciare!

«Attaccalo, stupido vigliacco!», gridò ancora Gnift. «Non devi farci l’amore!»

Il contendente più alto vacillò, e il Falcone di Ghiaccio si girò per abbandonare lo spiazzo. Gnift, esasperato, avanzò verso di lui, lo afferrò per la tunica e lo spinse di nuovo verso il suo avversario. Il risultato fu un combattimento sanguinoso, doloroso, e che regalò soltanto fatica alle due Guardie.

«Uno di questi giorni, qualcuno darà una lezione a quel piccolo bastardo!», mormorò Rudy tra sé.

«A Gnift!» Gil alzò le sopracciglia con stupore divertito. «Stai fresco!»

Rudy ricordò Gnift che si esercitava con Tomec Tirkenson, il Capo di Gettlesand, la sera precedente verso il tramonto, e ripensò alle sue parole. Forse Gil aveva ragione…

Stettero ancora un po’ a guardare, seduti vicini sul quadrato di terra ai bordi del campo d’addestramento improvvisato. Intorno era stato piantato il campo per trascorrere la notte.

Presto sarebbe giunta l’ora del rancio, e sarebbero state distribuite le solite, misere razioni. Poi sarebbero stati accesi i fuochi.

Gil sembrò a Rudy stanca ed esausta, ridotta ad un’ombra esile, quasi asessuata, con la lunga capigliatura nera ora tutta arruffata. Sapeva che, oltre a marciare e ad espletare i doveri di Guardia, si addestrava ogni notte nonostante il poco cibo e la ferita al braccio non ancora cicatrizzata, quasi avesse deliberatamente deciso di sfinirsi.

Il vento soffiava dalle montagne e spazzava il campo come la marea montante. Le cime sopra di loro cominciarono ad oscurarsi: erano un vero e proprio muro roccioso che si ergeva enorme ad occidente. Proprio quel mattino erano transitati per un incrocio dove si ergeva una grande croce di pietra, e lì avevano preso il sentiero che conduceva direttamente al Passo di Sarda. All’ombra delle colline il freddo era diventato più intenso, e la sensazione di gelo era accresciuta dall’assenza di abitazioni e di uomini.

Nella pallida luce del crepuscolo, il Falcone di Ghiaccio continuava a resistere, schivando i colpi di spada del suo avversario. Il sudore gli bagnava il viso pallido, e gli occhi offuscati rivelavano i primi segni di stanchezza. Sputando maledizioni ed ingiurie, Gnift girò intorno ai guerrieri fino a che venne a trovarsi alle spalle del Capitano. Lo sgambettò con un movimento rapido. Il Falcone di Ghiaccio cadde, ed il suo avversario gli si lanciò addosso senza mollarlo un secondo. Ci fu una visione confusa di gambe e braccia che si aggrovigliavano. Il più giovane schivò un colpo di spada rispondendo con un pugno secco al ventre della grossa Guardia. Il colpo la catapultò a terra dove giacque nel fango. Il giovane Capitano si rialzò stringendo in pugno entrambe le spade. Gnift non perse l’occasione per ricominciare ad urlare.

«Quando metti giù il tuo uomo, fà qualcosa. Non prendergli la spada per poi rimanere in piedi come uno sciocco. Se lo facessi…»

Rudy era rimasto impressionato da quest’ultima mossa.

«Tutti i guerrieri devono farlo?», sussurrò. «Anche le Guardie di Alwir e le truppe della Chiesa?»

«Il metodo è lo stesso,» rispose Ingold. «Gnift però è il più severo, e le Guardie hanno la reputazione di possedere il miglior istruttore dell’Occidente. Naturalmente esistono metodi di preparazione diversi a seconda dei modi di combattere. Ad Alketch, per esempio, addestrano la loro famosa cavalleria legando uno schiavo per un polso ad un anello di ferro situato nel centro del campo di addestramento. Poi gli mettono una spada nella mano libera, e i cavalieri si addestrano caricandolo con le loro sciabole.»

«Qual’è il bilancio delle sostituzioni?», si informò compuntamente Rudy. «Ricordo di non aver visto nessuno di Aiketch…»

«Veramente?» Gli occhi di Ingold luccicarono per una risatina trattenuta. «Bene. Come sai, sono stato in molti posti ed ho fatto molte cose stupide nella mia vita. Ora, se mi concedi un minuto, Rudy, vorrei parlarti in privato.»

Il Mago si alzò e si avviò attraverso la confusione del campo sul quale si andava spandendo la luce arancione del tramonto, con Rudy alle calcagna. Quando passarono davanti ai carri di Alwir, Rudy riconobbe gli stemmi neri della Casa di Dare. Minalde era lì, con il suo bambino.

Aveva parlato pochissimo con la giovane Regina durante il giorno. Lei si era allontanata da lui più silenziosa e timida di prima, quasi volesse sfuggirlo dopo i momenti di intimità della notte. Rudy ne era rimasto confuso, ma non sorpreso. Erano stati avvinti dalla passione, e ad essa si era mescolato il terrore e la paura. Il mattino seguente, quelle impressioni potevano benissimo essere state cancellate. Poteva anche essere conseguenza del dolore per la morte di Medda, che era seguita all’allontanamento della fedele nutrice condotta dalle Guardie fuori del campo come uno zombie balbettante. Poteva anche essere la vergogna per l’atto d’amore da loro compiuto e per l’implicito tradimento verso il Re morto.

Rudy continuava a chiedersi quale fosse la ragione del comportamento di Alde. Lei parlava molto raramente di Eldor, e mostrava una strana vergogna al solo sentirne il nome. Forse si trattava di vergogna per aver ceduto ad un comune cittadino — anche se, come Rudy era riuscito a sapere, la cosa sembrava non importare molto alle rappresentanti femminili della Casa Regnante — o più probabilmente era paura e reazione alla scoperta dell’inconsueto potere di Rudy. Alde era una buona figlia della Chiesa, ed il giovane ricordò lo sguardo di paura che aveva letto nei suoi occhi attraverso la chiara luminosità delle fiamme.

Qualunque fosse la ragione che aveva tenuto lontano Alde, Rudy sentiva che non c’era rabbia nei suoi confronti, solo una terribile confusione emotiva. E, allo stesso modo, il ragazzo sapeva, fissando la parte superiore del carro che si stagliava contro lo sfondo rosa pallido del cielo, che doveva aspettare il suo momento.

Rudy sapeva abbastanza del mondo per aver capito che si poteva andare a letto con una ragazza e che questo poteva benissimo non contare nulla. Era la seconda volta, ed erano quelle successive, che avevano importanza. La sua impazienza di stare di nuovo con lei poteva riuscirgli fatale: ormai conosceva Alde, ed aveva compreso che dietro i suoi modi gentili e arrendevoli si nascondeva un cuore di acciaio. Non poteva pensare a lei solamente come una ragazza con la quale era piacevole fare l’amore…

E sarebbe bello, pensò, mentre il respiro gli diventava difficoltoso, che fosse lei la sola a rimanere coinvolta in questa storia…

Obbligò se stesso a guardare altrove, e riprese a seguire Ingold.

Il Mago si fermò sul campo aperto ed erboso tra il margine del campo e la linea di guardia, dove erano stati sistemati i grandi falò notturni. Erano soli: il campo era deserto, e le ombre della sera tracciavano righe spettrali sul terreno. Il vento portava con sé l’odore freddo della pioggia e spingeva l’erba tra le nude macchie di pietra sotto i loro piedi.

«Mi hai detto che la notte scorsa sei riuscito a chiamare il fuoco. Mostrami come hai fatto,» disse.

Rudy raccolse alcuni ramoscelli, rimasugli della legna accatastata per i falò, e cercò un pezzo di terra asciutta. Con l’unghia del pollice scalfì la corteccia secca per farne stoppa, si sedette incrociando le gambe accanto a quel piccolo mucchio, e si avvolse nel mantello. Rilassò il corpo e la mente allontanando gli stimoli esterni, gli odori del campo, il fumo, l’odore dell’erba bagnata ed il muggito dei bovini. Con la mente si concentrò soltanto sui ramoscelli e sulla corteccia pensando a come quel materiale si sarebbe acceso.